Regio Esercito
Nozioni
generali
Nozioni generali sul
materiale di artiglieria
1. - La pratica dei materiali
di artiglieria si acquista soltanto con l'esame diretto dei
materiali stessi; tuttavia essa è molto facilitata dalla
preventiva conoscenza dei principali requisiti costruttivi
che le artiglierie e le loro munizioni debbono possedere per
rispondere alle esigenze dell'impiego in guerra. Tale
conoscenza costituisce lo scopo di questo articolo.
2. - Le caratteristiche che
distinguono le artiglierie dalle altre areni da fuoco non
sono molto nettamente definite: proietti scoppianti possono
essere lanciati anche da armi portatili; artiglierie vere e
proprie (piccoli cannoni, obici, mortai e lanciabombe di
piccolo calibro) fanno parte dell'armamento della fanteria.
Taluni autori non comprendono
tra le artiglierie i lanciabombe, che pure non sono armi
portatili e lanciano proietti scoppianti.
Possiamo tuttavia considerare
- attualmente - come artiglierie tutte le armi da fuoco
capaci di lanciare proietti scoppianti e che, al momento
dello sparo, non prendono appoggio alcuno sull'uomo.
3. - Nel leggere le pagine che
seguono è vantaggioso aver sott'occhio una bocca da fuoco
possibilmente scomposta. Le artiglierie someggiabili (65/17;
75/13) si prestano, meglio delle altre, allo scopo.
4. - A prima vista, anche
questi modesti materiali ci sembrano complicati e poco
facilmente studiabili nei loro particolari; la difficoltà,
scompare se si segue, nell'esame obiettivo, un procedimento
metodico.
Cominciamo col considerare lo
scopo di queste artiglierie : quello di lanciare proietti:
ad esempio una granata che agisce con la violenza dello
scoppio e con le schegge irradiate dalla carica interna, od
uno shrapnel che agisce lanciando, come un piccolo cannone,
delle pallette di ferro o di piombo indurito sospinte da una
carica interna.
Ecco la sezione schematica di
questi proietti (fig. 1).
La granata contiene una carica
interna di alto esplosivo; la carica interna dello
«shrapnel» è invece di polvere nera, il cui fumo segnala il
punto di scoppio mediante una nuvoletta bianca (o rossastra
per aggiunta di terra rossa o di minio). Esiste per certe
artiglierie un terzo proietto, detto granata-shrapnel (fig.
12), che si può considerare come uno «shrapnel» il quale,
nello scoppiare in aria, lanci oltre alle pallette anche una
piccola granata, che esplode picchiando a terra.
5. - Scoppi in aria a tempo e
scoppi a percussione si ottengono mediante ordigni detti
spolette, che, nei proietti ora visti, si trovano nella
parte anteriore, appuntita, detta ogiva. In altri,
perforanti, la cui punta cioè deve essere in acciaio molto
duro e massiccio (palle e granate perforanti) le spolette
sono applicate posteriormente; in taluni casi, rari per ora,
sono poste all'interno del proietto.
Talune funzionano soltanto a
percussione e sono applicate alle palle, alle granate
perforanti, semiperforanti, mine.., da impiegarsi contro
obiettivi resistenti; altre soltanto a tempo e servono per
proietti di artiglierie contraerei; altre in fine, capaci di
funzionare sia a tempo sia a percussione, si dicono a doppio
effetto: e sono usate con gli «shrapnel», e con alcune
granate da impiegarsi contro obiettivi terresti (v. fig. nn.
11-12).
6. - Le spolette a percussione
sono costituite nella parte essenziale da uniti capsula
fulminante (contenente una piccola quantità di fulminato di
mercurio), e da uno spillo portato da ulta massa alquanto
pesante (massa battente).
Quando
lo spillo urta contro la capsula, avviene una detonazione
che, volt l'aiuto di cariche esplosive (cariche di rinforzo
e detonatori) provoca l'esplosione della carica interna del
proietto. L'urto fra spillo e capsula può avvenire o
direttamente per l'urto dell'uno o dell'altra contro un
ostacolo (a schiacciamento, fig. 2, a spina, fig. 3) o per
concussione, ossia per effetto dell'inerzia di una delle due
parti, che, mentre il proietto si arresta, continua ad
avanzare (fig. 4). In talune spolette, ad esempio in quelle
tipo Guerritore (fig. 5) avvengono tutti e due i fenomeni;
in altre si ha concussione doppia (fig. 6), ossia il
movimento per inerzia non può avvenire all'arrivo del
proietto se, alla partenza di questo, una prima concussione
non ha messo la parte inerte in condizioni di poter muovere
entro il suo alloggiamento quanto basti per far avvenire
l'urto fra spillo e capsula (discesa della ghiera, per
inerzia.,vincendo la resistenza della molla ad alette).
Come appare dalle figure, le
spolette contengono anche: carichette di rinforzo per
accrescere la fiammata prodotta dalla capsula; dispositivi
di sicurezza per impedire lo scoppio quando il proietto cada
dalle mani di un servente o comunque urti senza essere
uscito dalla bocca da fuoco, o prima di aver percorso a
grande velocità un dato tratto in aria.
Alle
spolette per proietti carichi d'alto esplosivo è annessa una
appendice contenente un detonatore: un tubo pieno di
sostanza esplosiva sensibile all'azione della spoletta e
destinata a provocare, con il suo scoppio, quello della
carica del proietto.
7. - Le spolette a tempo (fig.
7) possono funzionare per mezzo di miccia, oppure di
movimenti di orologeria (spolette meccaniche).
La miccia viene
preventivamente graduata in modo da farne bruciare solo un
determinato tratto; in tal modo essa comunica il fuoco alla
carica dopo un tempo che può essere stabilito volta per
volta, a seconda del punto della traiettoria nel quale si
vuole che avvenga lo scoppio.
Essa, viene accesa all'altra,
estremità da un sistema a concussione semplice funzionante
al momento della partenza del colpo ed analogo a quello
della fig. 4, rovesciato (v. fig. 7).
La graduazione della miccia
avviene: a mano o con graduatoci meccanici; mediante taglio
della miccia stessa o mediante spostamento, lungo essa, del
foro (focone) che dà passaggio alla fiamma della miccia
verso la carica interna.
Le
spolette meccaniche sono assimilabili ad una sveglia in cui
l'inizio del movimento avvenga allo sparo e lo scatto al
momento fissato (tanti secondi e frazioni di secondi dopo lo
sparo). Non sempre la forza motrice è data da una molla
preventivamente caricata; talora è data dalla inerzia di un
peso che tende a star fermo mentre il proietto ruota attorno
al proprio asse; tal altra è data dalla forza centrifuga, o
dalla resistenza dell'aria, o dalla inerzia di un corpo
(solido, liquido o polverulento) rispetto al movimento di
avanzata del proietto.
8. - Le spolette a doppio
effetto (fig. 8) sono composte di due parti distinte, delle
quali una funziona a tempo e l'altra a percussione. Al più
le due parti hanno in comune la carica di rinforzo, quando
esista.
9.
- La forma esterna delle spolette ha una notevole
importanza: in quelle anteriori essa deve continuare il
profilo ogivale del proietto, in modo da facilitarne la
penetrazione nell'aria, e talora assume a tale scopo forme
molto appuntite; nelle spolette posteriori essa deve
impedire ai gas della carica di lancio di penetrare
nell'interno del congegno stesso o del proietto. Talora si
aggiungono, a questo scopo, coppe di lamiera od altri mezzi
protettivi.
10. - Le granate hanno la loro
cavità interna ripiena di un esplosivo destinato a produrre
effetti di distruzione oppure proiezione delle schegge
provenienti dalla rottura delle pareti del proietto stesso.
Questo esplosivo deve essere
poco sensibile agli urti esterni; racchiudere molta energia
in poco volume; presentare stabilità chimica, consistenza e
conservabilità anche in aria molto calda e molto umida;
produrre, scoppiando, fumo ben visibile da lontano; non
essere sensibile a scoppi che avvenissero nelle vicinanze;
non presentare pericoli durante la lavorazione od il
maneggio.
Il più usato è oggi il tritolo
(o trinitrotoluene); meno vantaggiosa è la pertite (acido
picrico) perché forma con i metalli con i quali viene in
contatto composti molto instabili e capaci di scoppiare
anche sotto l'azione di urti moderati; essa quindi non può
essere introdotta nei proietti senza una custodia che la
separi dalle pareti metalliche.
Al momento dello sparo gli
esplosivi polverulenti tendono ad addensarsi verso il fondo
del proietto; questo fenomeno che si chiama arroccamento
rende irregolare il movimento del proietto nell'aria, e,
quando la spoletta è anteriore, allontana da essa la massa
esplosiva. Per eliminare questi inconvenienti, gli esplosivi
polverulenti vengono compressi; ciò aumenta, al tempo
stesso, l'efficacia del proietto. Nei proietti molto lunghi,
oltre alla compressione dell'esplosivo, si adotta, allo
scopo di evitare l'arroccamento, la ripartizione della
cavità interna in due o più scompartimenti separati da
diaframmi.
La quantità di esplosivo
contenuta in un proietto dicesi carica di scoppio.
11.
- I proietti ad alto esplosivo possono assumere caratteristi
che particolari a seconda degli scopi ai quali sono
destinati (fig. 9).
Per perforare corazze, scudi,
blindamenti di acciaio o di cemento armato occorrono
proietti con ogiva appuntita e massiccia, con carica interna
non sensibile al calore prodottosi durante la perforazione,
con spoletta posteriore, con pareti e fondo molto robusti
(fondello amovibile per introdurre la carica di scoppio
senza indebolire l’ogiva con tappi o simili). Tali sono le
granate perforanti, delle quali una varietà molto massiccia
a scapito naturalmente della carica interna è costituita
dalle palle, usate dalla marina, ed un’altra varietà aventi
le pareti meno spesse e quindi carica più potente, è quella
delle granate semiperforanti1. Nei proietti ora nominati
prevale l'effetto di urto e di perforazione. Invece per
colpire bersagli non protetti da corazze né da scudi né da
parapetti di calcestruzzo, ma al massimo da parapetti in
terra, sono più convenienti proietti ad azione
prevalentemente esplosiva - granate ordinarie, granate
dirompenti, granate torpedini, granate mina, granate bomba,
bombe.
Si danno qui di seguito dati
approssimativi sugli spessori di pareti e sui rendimenti2
dei proietti ad azione d'urto od esplosiva:
-
palle (acciaio indurito):
spessore dell'ogiva in corrispondenza della punta calibri
1 circa; rendimento inferiore al 2 %;
-
granate perforanti (acciaio
indurito): spessore pareti 1/5 del calibro; rendimento 7 %
circa;
-
granate semiperforanti
(acciaio); spessore 1/6 del calibro, rendimento 8 % circa;
-
granate ordinarie (ghisa
acciaiosa): spessore 1/6 del calibro. rendimento 5 % ;
-
granate dirompenti
(acciaio): spessore 1/7 del calibro, rendimento 10 O
circa;
-
granate torpedini (acciaio):
spessore 1/12 del calibro, rendimento 20 % circa;
-
granate mina (acciaio):
spessore e rendimento analoghi a quelli delle
granate-torpedini ma lunghezza maggiore: esigono talora
dispositivi speciali per impedire l'arroccamento della
carica (diaframmi) e per trasmettere la esplosione a tutta
la massa (piccoli detonatori di raccordo, inseriti nei
diaframmi);
-
granate bomba (acciaio):
spessore da 1/15 ad 1/20 del calibro, rendimento dal 35 al
50 % (lanciate da artiglierie a piccola velocità);
-
bombe (acciaio): spessore
minore e rendimento superiore a quello delle granate bomba
(lanciate da bombarde o (la lanciabombe con velocità
iniziale molto piccola).
Le ultime quattro specie si
indicano complessivamente col termine: proietti a grande
capacità.
E'
ovvio che la spoletta deve avere azione tanto più ritardata
quanto più grande é lo spessore della protezione che si
tratta di perforare; e tanto più istantanea invece quanto
più sottili sono le pareti del proietto, il quale altrimenti
si romperebbe prima di scoppiare. I proietti perforanti
hanno spolette munite di apparecchio ritardatore (in genere
cilindretti di polvere compressa) che si può inserire o no
tra la capsula ed il detonatore a seconda che lo spessore da
perforare sia grande o piccolo.
12. - Le granate viste sinora
hanno azione prevalentemente esplosiva vedremo ora altri
tipi di proietti, ad azione proiettiva; essi si distinguono
in shrapnel e granate a frattura prestabilita:
Lo shrapnel moderno (fig. 10)
é una specie di piccola arma da fuoco «cannone nel cannone»
costituita da un bicchiere di acciaio a fondello alquanto
spesso e pareti sottili contenente dall'indietro all'avanti:
una carica di polvere nera, un diaframma mobile, molte
pallette di piombo indurito o di ferro tenute insieme con
colofonia o zolfo fuso, una spoletta a doppio effetto
comunicante con la carica per mezzo di un tubo pieno di
polverine compresso.
Quando la lunghezza di miccia
predisposta col graduare la spoletta ha finito di bruciare
(il tempo durante il quale la miccia brucia sino allo
scoppio si dice durata di scoppio la fiamma della miccia
stessa da fuoco al polverino compresso che accende la carica
interna, allogata nella parte posteriore: la deflagrazione
di questa ultima spinge avanti con forza diaframma, pallette
e spoletta: le pallette si distribuiscono in un fascio
conico, a cagione del movimento di rotazione del proietto
che imprime ad esse, per inerzia, una certa forza
centrifuga.
Le
pallette sono capaci di mettere fuori combattimento un uomo
finché conservano una forza viva superiore agli 8 kgm.; per
un cavallo occorrono almeno 16 kgm3.
Le pallette di piombo
conservano, meglio che quelle di ferro, la loro velocità,
che all'atto dello scoppio é pari a quella residua del
proietto, aumentata dalla spinta impressa dalla carica
interna dello «shrapnel»; sono però più costose; tutto il
proietto è di non facile lavorazione.
La granata a frattura
prestabilita (fig. 11) è una specie di «shrapnel» con carica
interna centrale, economico: è costituita da un bicchiere di
acciaio contenente una pila di rosette (cd anelli) solcate
da intagli radiali in modo da rompersi facilmente; nella
cavità cilindrica, risultante dalla sovrapposizione dei fori
centrali degli anelli o delle rosette, si dispone la carica
di scoppio.
La spoletta usata con la
granata a frattura prestabilita è a doppio effetto
(artiglierie campali leggere) od a percussione (artiglieria
di medio calibro) od a tempo (artiglierie contraerei).
13. - L'unione di
uno«shrapnel» con una granata in un proietto unico o
granatashrapnel (fig. 12) ha lo scopo di rendere facilmente
controllabile il tiro e colpire le truppe avversarie sia
ferme dietro parapetti sia in moto. Ma il nome di proietto
unico spetterebbe ad un proietto che unisse in sé tanto
l'azione distruttrice su bersagli resistenti quanto quella
proiettiva di pallette o schegge entro bersagli animati.
14. - Dobbiamo infine
menzionare i proietti speciali: quelli cioè il cui
caricamento è costituito da aggressivo chimico (tossico,
soffocante od irritante), da materia incendiaria, da
sostanze fumogene od illuminanti. Una varietà di questi
ultimi è costituita dai proietti traccianti i quali, a
partire da una data distanza, lasciano dietro di sé una scia
di fumo biancastro, visibile anche di notte per la sua
luminosità.
15. - Esaminati così
sommariamente i proietti e cioè gli ordigni che si tratta di
far giungere al nemico, vediamo in qual modo si può
lanciarli. La forza del braccio dell'uomo, sola (bomba a
mano), od accresciuta da congegni semplicemente meccanici
(fionda, arco, balestra, catapulta, lanciabombe a forza
centrifuga); la caduta (bomba d'aereo); il ruzzolamento
(barilotti esplosivi, batterie di sassi in montagna);
l'autopropulsione (razzi, racchette, proietti semoventi,
siluri subacquei) rispondono a casi particolari che per
evidenti ragioni non si possono impiegare contro la quasi
totalità dei bersagli terrestri.
Si é pensato
anche
allo sfruttamento della energia elettrica come forza
propulsiva; ma anche questo procedimento deve limitarsi a
casi particolari di installazioni fisse (difese costiere).
Il mezzo più diffuso e più
comodo in guerra é dato dalla espansione rapidissima di una
grande quantità di gas entro un tubo chiuso da una parte,
mentre dall'altra può scorrere il proietto che si tratta di
lanciare. La subitanea violenta espansione imprime a questo
proietto un movimento di traslazione che dura sino a che,
prevalendo a poco a poco il peso sulla forza viva restante,
il proietto raggiunge la terra, sempre che la, spoletta,
funzionando a tempo, od urtando contro un ramo d'albero, un
aeroplano. ecc., non ne abbia provocato lo scoppio in aria.
16. - Il gas che si espande
può essere costituito semplicemente da aria compressa o
prodotto da un esplosivo. La prima è stata usata a scopo
bellico soltanto con lanciabombe di gittata modesta. Molto
più pratico è l'impiego di esplosivi di lancio (detti
polveri), ossia di sostanze che sotto l'azione di una
fiamma, o di una piccola esplosione d'innescamento,
deflagrano e si convertono totalmente in gas. Questi,
dilatandosi a cagione dell'altissima temperatura sviluppata
nella reazione, producono sulle pareti dell'arma e sul fondo
del proietto la pressione sufficiente per imprimere a quest'ultimo
la velocità necessaria.
Le polveri sono miscele di
corpi diversi che si combinano fra di loro, oppiare sono
composti chimici ben definiti, che,
sotto
l'azione della esplosione di una piccola quantità, di
fulminante, si scompongono in sostanze meno complesse, le
quali poi si ricombinano fra di loro dando luogo a composti
gassosi con sviluppo di molto calore, e quindi tendenti ad
espandersi violentemente.
Le polveri moderne (balistite,
solenite, cordite, nitro-cellulose), di polvere non hanno
che il nome, essendo formate di fili, tubi, placche,
piastrelle, anelli, ecc. Esse producono pochissimo fumo,
così da rendere assai difficile lo scoprire da dove è
partito il colpo. La vampa, assai visibile di notte, si può
attenuare mescolando alla polvere talune sostanze (ad
esempio sali di potassio) in piccole quantità (sali
antibagliore).
La quantità di polvere usata
per un colpo dicesi carica di lancio. È evidente che per una
data arma, variando soltanto la quantità di polvere
costituente la carica, si fanno giungere i colpi a distanze
diverse, ossia si ottengono gittate diverse; i due limiti
massimo e minimo di questa variabilità sono dati: l'uno
dalla resistenza dell'arma, e l'altro dal fatto che, al
disotto di una certa proporzione tra peso di carica e volume
iniziale della camera entro cui avviene la deflagrazione,
(densità di caricamento), questa si compie in modo
irregolare e dà luogo a velocità e quindi a gittate diverse
da colpo a colpo. Quella proporzione-limite si dice densità
di caricamento minima.
17. - Con una data arma, con
un dato suo proietto, con una determinata carica di lancio,
il colpo va più o meno lontano, a seconda della inclinazione
dell'arma rispetto all'orizzonte.
Su terreno pianeggiante e poco
inclinato, un colpo a granata da 75/27 sparato con il
cannone di 75/27, mod. 911, con carica di qualità e peso
determinati e tenendo la bocca da fuoco inclinata di 15
gradi sopra all'orizzonte, giunge sino a 5000 metri circa di
distanza; un altro colpo, sparato con proietto e carica
identici ai precedenti, ma con una inclinazione di 21 gradi,
va a finire a circa 6000 metri; un terzo colpo.. sparato con
inclinazione di 32 gradi giunge a 7000 metri; un quarto, con
inclinazione superiore ai 41 gradi, cadrebbe più vicino del
terzo.
Esiste dunque una
inclinazione, che per il cannone da 75/27 modello 911 è di
41 gradi circa, alla quale corrisponde la gittata massima
ottenibile con un dato proietto ed una data carica.
Inclinazioni maggiori o minori danno sempre gittate
inferiori alla massima su terreno orizzontale.
Per contro, tenendo fissa
l'inclinazione, e diminuendo la carica, si hanno gittate
decrescenti; mentre con l'aumentare successivamente le
cariche si ottengono gittate crescenti.
Entro certi limiti, un dato
punto del terreno può essere raggiunto con una carica forte
ed una inclinazione piccola, oppure con una carica più
debole e con inclinazione in compenso - maggiore della
precedente.
In questo secondo caso, anche
l'angolo sotto il quale il proietto giunge a terra è
maggiore che nel primo caso; conviene usare dunque una
carica piccola quando si tratti di colpire obiettivi
orizzontali
oppure truppe o materiali riparati dietro ostacoli; è da
preferirsi una carica maggiore, quando si vogliano colpire
bersagli verticali non defilati. Questa considerazione,
congiunta a quella della maggior economia di polveri, e del
minor logorio dell'arma ottenibili con cariche ridotte,
inducono ad adottare non una sola ma diverse cariche per
ogni bocca da fuoco. È condizione favorevole alla sicurezza
e celerità di tiro la costituzione delle cariche mediante un
elemento fondamentale (carica minima), cui si uniscono,
eventualmente, uno o più elementi aggiuntivi, eguali fra
loro, per formare le cariche maggiori (fig. 15).
Anche con una sola carica di
lancio e su uno stesso punto del terreno si possono
ottenere, quando la installazione dell'arma lo consenta, due
diversi angoli di arrivo a terra del proietto; e ciò dando
all'arma due diverse inclinazioni, una minore e l'altra
maggiore di quella corrispondente alla gittata massima. Il
cammino seguito dal proietto nell'aria (traiettoria) ha
pertanto forma assai diversa nei due casi.
Con ciò, però, si dà luogo,
per la traiettoria più curva, ad un maggiore percorso
nell'aria, e quindi a più forti e più disparate deformazioni
della traiettoria da colpo a colpo; il tiro risulta cioè
maggiormente disperso, nonostante la esattezza e la
uniformità del puntamento4.
18. Le cariche di lancio sono
contenute in sacchetti: nelle artiglierie di minor mole sono
racchiuse inoltre in bossoli d'ottone (talora di rame o di
alluminio) destinati ad assicurare la chiusura ermetica al
momento dello sparo; e formano così un cartoccio-bossolo
(fig. 15).
Nelle maggiori artiglierie la
chiusura ermetica è data invece da parti elastiche o
plastiche facenti parte del congegno di otturazione della
bocca da fuoco. come si vedrà in seguito.
Quando s'impiega il bossolo,
questo porta nel suo fondello un cannello (fig. 13),
costituito essenzialmente da una capsula piena di fulminato
di mercurio, e da una piccola carica di rinforzo, destinate
a metter fuoco alla carica di lancio, quando un percussore
appuntito colpisca la capsula.
Se il bossolo non esiste si
usa, invece del cannello, una cartuccia-innesco, od un
cannello a frizione (fig. 14) od infine un cannello
elettrico che si introducono direttamente nell'otturatore
(parte che chiude posteriormente l'artiglieria).
La prima funziona, come il
cannello dei bossoli, per urto di un percussore. Nel secondo
l'accensione è data dallo attrito di uno sfregatoio in forma
di seghetta contro una miscela fulminante. Nel terzo un
filamento reso incandescente dal passaggio della corrente
elettrica, o, più raramente, una scintilla elettrica fatta
scoccare fra due punte metalliche poco distanti fra di loro,
danno fuoco ad una carichetta che con la sua fiammata va ad
accendere la carica di lancio.
Nelle artiglierie a tiro molto
rapido, e facenti uso di una sola carica, i proietti vengono
uniti al bossolo come nelle cartucce nelle armi portatili;
l'insieme del colpo completo si chiama allora cartuccia o
cartoccio-proietto (fig. 15).
19. - Senza entrare in
questioni di balistica interna5, si accenna semplicemente al
fatto che la forma delle polveri (fili, strisce, piastrelle,
anelli, placche, ecc....) e le dimensioni dei loro elementi,
influiscono in modo notevole sull'andamento del fenomeno di
sviluppo dei gas. Ai nostri sensi sembra che dal momento
dello scatto alla partenza del colpo non passi alcun tempo;
eppure in quell'istante si svolgono, uno dopo l'altro:
detonazione della capsula fulminante, accensione della
carichetta di rinforzo, infiammazione di un punto della
carica di lancio, propagazione della combustione nella massa
di questa, sviluppo più o meno progressivo dei gas, i quali
si espandono nello spazio disponibile crescente con
l'avanzar del proietto (assumendo movimenti rapidissimi e
vorticosi - tanto meno regolari quanto maggiore è lo spazio
rispetto al peso della carica), e sospingono il proietto
che, vinte le prime forti resistenze - di cui esamineremo in
seguito la natura - inizia e prosegue accelerandola con
ritmo sempre più vivo, la sua marcia. La velocità è massima
quando il proietto giunge col fondello a pochi centimetri
oltre la bocca dell'arma; più in là, essa diminuisce
gradatamente a cagione della resistenza dell'aria.
20. - Prendiamo ora uno
qualunque dei proietti da 75/13 e proviamo ad infilarlo
dalla parte del fondello, nella bocca dell'obice da 75/13;
constatiamo che la corona appoggia sull'orlo della bocca
(vivo di volata) impedendo al proietto di entrare
maggiormente, e che di più il diametro esterno della corona
stessa supera alquanto il diametro della bocca da fuoco,
misurata in corrispondenza del fondo di certe scanalature
(righe) che danno al cavo anteriore del pezzo un profilo
simile a quello di una ruota dentata. È evidente che il
proietto dev'essere introdotto nel pezzo dalla parte
opposta, con l'ogiva in avanti e che ad un certo punto la
forza della mano non basterà per farlo avanzare perché anche
di là la corona appoggerà contro i pieni delle righe. Ma lo
sforzo, che la nostra mano non riesce a compiere, sarà certo
compiuto dalla pressione dei gas, col risultato di forzare
le corone entro le righe intagliandole a forma di ruota
dentata e trafilandole alquanto sia in corrispondenza dei
vuoti, sia in corrispondenza dei pieni. Si concepisce così
come i gas non possano sfuggire sul dinanzi del proietto; si
è cioè praticamente soppresso il vento che esisteva sempre
tra le pareti dell'arma ed il proietto quando, come
all'inizio del secolo scorso, le armi da fuoco erano lisce
internamente, ed i proietti non avevano corone.
Si spiega inoltre il motivo
per cui le corone sono fatte di metallo dolce e duttile
(rame).
21. - Ala la soppressione del
vento avrebbe luogo egualmente, anche senza le righe, con
altri sistemi. Artiglierie ad anima liscia, di diametro
alquanto inferiore a quello della corona, assicurerebbero
egualmente, ed anche meglio, forzamento ed ermeticità.
Uno sguardo all'interno
dell'anima ci spiega lo scopo principale della rigatura: le
righe sono inclinate a forma di spirale (fig. 16)
e
la loro inclinazione fa sì che ognuno dei dentini formatisi
nella corona, appena il proietto avanza, strisci contro uno
dei fianchi della riga corrispondente (fianco di sparo),
spostandosi nel senso della inclinazione stessa e
trascinando tutto il proietto in un moto rotatorio attorno
al proprio asse. Il proietto quindi, per un fenomeno analogo
a quello che si riscontra nel giroscopio e nella trottola,
si mantiene sulla traiettoria con l'ogiva in avanti.
La rigatura si dice destrorsa
(od a passo destro) ovvero sinistrorsa (od a passo sinistro)
a seconda che le righe imprimono al proietto che avanza una
rotazione di senso uguale o contrario a quello delle
lancette dell'orologio, rispetto a chi resta vicino all'arma
dalla quale il proietto stesso è uscito.
E' ovvio che il rame della
corona si logori strisciando così sul fianco di sparo,
assottigliando il dente e creando un vuoto tra l'altro
fianco e il dente stesso; tendono così a prodursi sfuggite
di gas, alle quali si pone un ostacolo aumentando la
larghezza od il numero delle corone (i gas in genere
rifuggono dal cacciarsi entro canali sottili e tortuosi) od
aggiungendo, dietro ad esse, una fascia di amianto, od
infine dando alle corone un profilo a scanalature circolari
che vengono riempite di grasso (fig. 17).
22. - Data la forma allungata
del proietto, e la sia pur lieve differenza fra il diametro
del suo corpo cilindrico ed il diametro misurato etra i
pieni delle righe dell'artiglieria, occorre sostenere il
proietto nella parte anteriore, in modo che l'asse di esso
coincida con l'asse della bocca da fuoco; servono a tale
scopo corone anteriori pure di rame, dette corone di
isolamento o di centramento diametro minore di quelle
posteriori, che si dicono invece corone di forzamento (fig.
9).
Nei proietti moderni, usati da
bocche (la fuoco di acciaio molto resistente, si preferisce
sostituire la corona di centramento con una fascia di
centramento (fig. 17), specie di rigonfiamento del proietto,
tornito con particolare accuratezza, ossia con limiti di
tolleranza molto bassi.
23.
- Abbiamo parlato più volte dei diametri di alcune parti del
proietto e della bocca da fuoco; a quali di questi diametri
corrisponde il così detto calibro della artiglieria e dei
suoi proietti?
E' il calibro della
artiglieria e quindi dei suoi proietti, il diametro misurato
fra due pieni opposti della rigatura; una volta si esprimeva
in centimetri arrotondati per approssimazione; ora si
esprime in millimetri, pure arrotondati per approssimazione;
ad esempio l'obice da 149/12 modello 1914 ha, esattamente,
il calibro di millimetri 149,1.
Il numero scritto sotto il
segno di frazione indica la lunghezza dell'anima del pezzo
espressa in calibri, ciò che dà una idea della possibilità
d'impiego, con ciascuna artiglieria, di cariche molto
ridotte - poiché, in bocche da fuoco molto lunghe, cariche
molto piccole darebbero luogo a seri inconvenienti in
seguito ai movimenti vorticosi dei gas, o all'esaurimento
della loro forza espansiva nel vincere le resistenze che si
oppongono al moto del proietto nell'anima.
Si conviene di chiamare mortai
le artiglierie più corte in proporzione al calibro e cannoni
le bocche da fuoco più lunghe; obici quelle di lunghezza
intermedia. In Italia i limiti per le tre specie sono di 12
e di 17 calibri:
Così: mortaio da 305/8; obice
da 75/13; cannone da 75/27.
Evidentemente le artiglierie
capaci di lanciare i loro proietti con le velocità iniziali
più elevate sono i cannoni; quelle capaci di dare le più
piccole velocità iniziali sono i mortai,; queste ultime sono
le più convenienti per eseguire tiri molto arcuati a
distanze relativamente piccole, perché la velocità iniziale
(misurata alla bocca dell'artiglieria) è un elemento che
costa molto caro (consumo di polveri; forti spessori,
metalli speciali, costruzioni complesse per le artiglierie,
per i proietti, per le spolette...) e si perde poi
rapidamente nell'aria; è dannoso quindi ch'essa ecceda di
molto il valore sufficiente per dare i risultati voluti caso
per caso, e cioè o grande tensione della traiettoria
(bersagli verticali in terreno scoperto), o grande
componente verticale della forza viva del proietto
all'arrivo (bersagli orizzontali resistenti) od infine
inclinazione della traiettoria, all'arrivo, sufficiente per
colpire un bersaglio nascosto dietro un alto riparo.
I supercannoni del tipo di
quelli che hanno bombardato Parigi nel 1918 hanno lunghezza
attorno ai 150 calibri, velocità iniziali comprese fra 1000
a 1500 metri per secondo; gittate da 100 a 120 chilometri.
L'altezza massima raggiunta
dai loro proietti è di parecchie decine di chilometri, di
modo che parte della traiettoria si svolge in zone ove la
densità dell'aria è minima, ciò che favorisce il
raggiungimento di così grandi distanze.
24. - Per ottenere le velocità
iniziali odierne - di parecchie centinaia di metri al
secondo - occorrono bocche da fuoco molto resistenti; questa
resistenza si può aumentare sino ad un certo limite
ingrossando le pareti dell'artiglieria; ma oltre a quel
limite l'aumento di peso che ne deriva, mentre rende
estremamente difficile lo spostamento ed il maneggio delle
artiglierie stesse, non ne accresce sensibilmente la
resistenza.
Molto
migliore risultato si ottiene cerchiando le artiglierie,
ossia costruendole con un tubo interno (tubo anima) sul
quale sono infilati a caldo cerchi o manicotti esterni che
raffreddandosi restano forzati in modo da esercitare una
compressione sul tubo interno (fig. 18).
Talora, invece di un tal
procedimento, si è seguito quello di preparare la bocca da
fuoco, senza rigatura, con diametro interno inferiore a
quello definitivo e quindi dilatarla con spine
tronco-coniche, o meglio con pressione idraulica (autoforzamento,
fig. 19). Gli strati interni del metallo restano così
compressi ed induriti, mentre quelli esterni, dilatati ma
tendenti a ritornare ancora alle dimensioni primitive, fanno
da cerchiatura forzata rispetto a quelli.
Un
terzo procedimento, usato per alcune grosse artiglierie, è
l'avvolgimento del tubo interno con fili o nastri d'acciaio
molto elastico e resistente, tesi in modo da esercitare una
compressione permanente sul tubo e sugli strati di filo
sottostanti (cerchiatura a nastro). Una camicia esterna
tiene insieme il tubo e ripara il filo, od il nastro, da
rotture.
Infine in talune artiglierie moderne il tubo interno,
sottile, è messo a scorrimento dolce, in modo da potere
essere sostituito facilmente; al momento dello sparo si
dilata prendendo appoggio sul tubo esterno, spesso e
resistente (forzamento iniziale negativo).
Parte 1/2
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Testo tratto da "Nozioni
Generali sul Materiale d'Artiglieria", in Manualetti di
Tecnica Militare a cura della Rivista Esercito e Nazione,
fascicolo VI, Giugno 1930, Istituto Poligrafico dello Stato,
Roma, pagg. 1-22.