La difesa (comandante il Generale Nasi)
si era dovuta restringere raccogliendo l'insieme delle
truppe in vari ridotti fondamentali.
Il totale delle forze a disposizione
era il seguente: 17.000 nazionali e 23.000 coloniali
ripartiti in 12 battaglioni nazionali, 15 battaglioni
coloniali o gruppi bande, 3 squadroni, 4 batterie
someggiate coloniali, 3 sezioni controaeree, 16 batterie
da posizione. Nessun aereo.
L'organizzazione difensiva è così
distribuita: due ridotti staccati ed un ridotto centrale.
1) Ridotto di Uolchefit-Debarech: costituito da due battaglioni
CC.NN. (CXLI e CLXIV), due gruppi bande, 7 cannoni, 1
sezione mitragliere da 20, 4 mortai da 81, 12
mitragliatrici (oltre quelle dei reparti).
Totale 5.000 uomini circa (servizi compresi). Comandante;
Ten. Col. Mario Gonella.
2) Ridotto di Debra Tabor: costituito da: 3
battaglioni CC. NN. (CXVI - CXXXI e DCCXLV), un
battaglione coloniale, un gruppo bande, 6 cannoni, 2
mortai da 81. In complesso 6.000 uomini. Comandante: Col.
I. Angelini.
3) Ridotto Centrale: per la piazza di Gondar e
Azozò, con 4 capisaldi esterni:
-
Blagir-Celgà. C.te: Ten. Col. Domenico Miranda.
-
Tucul-Dinghià. C.te: Ten. Col. Riccardo Casalone.
-
Ualag C.te: Col. Alberto Polverini.
-
Culqualber-Fercaber. C.te Ten. Col. Augusto Ugolini.
La resistenza del sistema difensivo dell'Amhara non
sarebbe stata possibile nel periodo luglio-novembre senza
le tempestive ed intelligenti misure adottate per
protrarre le autonomie logistiche oltre il limite massimo
che era stato previsto per il 15 giugno. Primo
provvedimento adottato fu quello dello sgombero dei civili
(donne, bambini ed invalidi) su Asmara.
Furono impiantati laboratorio che, utilizzando rottami e
materiale fuori uso, provvidero alla fabbricazione di
parti di ricambio per artiglierie ed armi leggere; per
risparmiare carburante si utilizzarono mezzi a trazione
animale.
Con tessuto di agave si improvvisarono finimenti e tasche
per biada, con la tela di agave a trama fitta si
prepararono ghirbe e ghirbette someggiabili. Sei
caterpillar furono trasformati in carri armati, con
corazzatura di vecchie foglie di balestra resistenti
almeno ai colpi di fucile e di mitragliatrice; un 634
fu attrezzato ad autoblindo gigante con 13
mitragliatrici fra leggere e pesanti.
In campo sanitario vennero moltiplicate le possibilità di
ricovero e fu preparato al reimpiego materiale che in
tempi normali sarebbe stato messo fuori uso.
All'insufficienza di alcool disinfettante si provvide con
benzina depurata mediante speciale processo chimico.
La razione vitto giornaliera fu ridotta del 20-30°%. La
farina di grano sempre più scarsa fu gradualmente
sostituita con quella di ceci e cereali vari. Furono
costituite adeguate scorte di bestiame, si impiantarono
orti e allevamenti suini; si costituirono squadre di
specialisti per la costruzione di attrezzi per la pesca
nel lago Tana; alla deficienza di carne bovina si provvide
con la macellazione di cavalli e muletti fiaccati.
Per fronteggiare le gravi deficienze in fatto di vestiario
si escogitarono ogni sorta di adattamenti: 4.000 federe di
tela di canapa furono trasformate in 6.600 giubbe,
diecimila coperte furono ricavate da quelle fuori uso; si
ripararono 5.000 paia di scarpe, si fabbricarono 2.000
paia di sandali per gli ascari. La Milizia forestale fornì
il quantitativo di legna e carbone per il fabbisogno
mensile. In complesso i risultati ottenuti superarono ogni
più ottimistica previsione. Il soldato italiano, abituato
alla scarsezza dei mezzi, aguzzò come sempre il cervello
ed il fatidico verbo « arrangiarsi » ebbe la sua più
grandiosa e gloriosa applicazione col sacrificio e la
buona volontà di tutti.
Attacco al ridotto di Blagir-Celgà.
Fu preceduto, nel febbraio e nell'aprile, da nostre azioni
offensive contro i ribelli, che furono ricacciati lontano.
Il nemico attacca il 16 maggio e prosegue l'azione il 17 e
il 18. Dopo epica lotta, assalti e contrassalti, il nemico
è rigettato con gravi perdite.
Perdite nostre: 900 uomini. L'avversario non tenterà più
nessun assalto al ridotto fino al termine delle operazioni
in A.O.I.
Attacco al ridotto di Debra Tabor. (Btgg. CC.NN.
CXXXI, CXVI, DCCXLV).
Il primo attacco ha luogo il 15 maggio; sono ribelli
comandati da ufficiali inglesi e vengono nettamente
respinti. Gli ascari, sfiduciati e convinti della
inutilità di una resistenza prolungata, chiedono di poter
tornare a casa per evitare le vendette dei ribelli che
sono, solo lì attorno, 8.000.
Il 27 giugno nuovo attacco con concorso dell'aviazione,
anche questa volta respinto mediante deciso contrattacco;
l'azione si ripete con lo stesso risultato nei giorni
successivi. Ma aumenta la crisi nei reparti coloniali
disposti alla resa o alla diserzione, tanto da
consigliarne il disarmo.
In conclusione il ridotto è costretto alla resa per farne
il 4 luglio e la sua funzione ritardatrice viene assunta
dal ridotto di Culqualber-Fercaber.
Attacco al ridotto di Uolchefit - Debarech.
Il presidio di questo ridotto era costituito dai seguenti
reparti:
-
- CXLI Btg. CC.NN., con 530 uomini;
-
- CLXIV Btg. CC.NN., con 650 uomini, al comando del 1°
Sen. Luciano Gavazzi;
-
- II Gruppo Artiglieria mista;
-
- Gruppo Bande dell'altipiano, con 1.500 indigeni;
-
- Gruppo Bande dell'Amhara, con 750 indigeni.
Comandante del caposaldo era il Ten. Col. Mario Gonella.
Già tra il 10 ed il 12 aprile 1941 si verificò la
defezione dei Ras Hayaleu Burrù che si mise alla testa dei
ribelli della zona coi quali si ebbero immediatamente
vivaci scontri nei giorni 12 e 13. I1 18 aprile
l'organizzazione del ridotto poté già considerarsi
completata, ed erano già stati fermati gli elementi
meccanizzati inglesi provenienti da Asmara. Il nemico si
sistemò nella zona di Debivar, piazzò le artiglierie ed
iniziò il quotidiano bombardamento del ridotto. I nostri
rispondevano con parsimonia per non consumare lo scarso
munizionamento.
Il 28 e 29 maggio i ribelli furono ricacciati di slancio,
con gravi perdite, dall'abitato di Debarech che erano
riusciti ad occupare. Disagi, sacrifici e fatiche non
piegavano i difensori nazionali, ma riuscivano ad
incrinare la fiducia dei reparti di colore; cominciavano a
verificarsi diserzioni e richieste di gregari per essere
lasciati in libertà di rientrare alle loro case. Questo
stato d'animo avrebbe avuto gravi conseguenze se non fosse
stato abilmente arginato dall'opera persuasiva del
comandante e dei quadri. Ne è prova l'azione svolta
vittoriosamente il 22 maggio, dopo un'irruzione
avversaria, da due compagnie di CC.NN. e da due gruppi
bande, in uno dei quali maggiore si era manifestata la
crisi morale.
L'azione fu sferrata dalle CC.NN. contro una posizione
difesa da 1.500 armati agli ordini del Ras Hayaleu Burriz;
le formazioni ribelli furono sbaragliate e volte in fuga,
il ras, ferito, fu catturato e, fra i 336 morti nemici
trovati sul terreno, fu rinvenuto anche suo figlio. Nostre
perdite: 42 morti e 102 feriti.
Altra puntata offensiva del presidio di Uolchefit fu
effettuata il 13 luglio; all'avversario furono inflitte
gravi perdite e furono catturati cereali e bestiame.
Intanto il caposaldo veniva continuamente sottoposto a
terrificanti bombardamenti da terra e dalla aria ed il 19
luglio il comando inglese, venuto a conoscenza che il
presidio non aveva quasi più viveri né poteva riceverne,
inviava al colonnello Gonella un secondo messaggio con
intimazione di resa, sdegnosamente respinto.
Il 1° agosto, con una colonna di 800 CC.NN. e di un
piccolo reparto di ascari, il comandante andò in cerca del
nemico a Monte Girambà ed a Zuriè, difesi da diecine di
mitragliatrici inglesi. La vittoriosa azione, oltre che ad
infliggere severe perdite all'avversario, servì a rialzare
il morale dei coloniali, scossi dall'esempio e dal
successo.
Nostre perdite:
Caduti: Ufficiali 2 - CC. NN. 20 - Coloniali 1.
Feriti: Ufficiali 1 - CC.NN. - 38 - Coloniali 3.
Il logoramento fisico produceva intanto immancabilmente i
suoi deleteri effetti: scarsezza di viveri, sofferenze,
sforzi fisici, sbalzi termici a 3.000 metri di altitudine,
casi di sfinimento e di deliquio. Un nostro posto avanzato
fu sopraffatto in breve tempo il 26 agosto, ed i
superstiti catturati; questo ed altri sintomi confermavano
che il presidio di Uolchefit, per quanto sorretto da
eccezionali forze spirituali, era fisicamente logoro.
Ciononostante, miracolosamente, una volta ancora un
battaglione di legionari ed i due Gruppi Bande attaccavano
le posizioni nemiche il 18 settembre allo scopo di
procurare viveri e munizioni. Dopo un violento e
sanguinoso scontro al passo Ciank, raggiunto sfruttando
abilmente la nebbia, il nemico era sbaragliato e venivano
catturate armi, munizioni e medicinali, ma purtroppo non
viveri o bestiame.
La fame era alle porte ed essa piega qualsiasi proposito
di ulteriore resistenza: quando ogni scorta è esaurita la
capitolazione è ormai inevitabile. Tuttavia questi due
battaglioni di CC.NN. (CXLI e CLXIV), senza ripari, con le
uniformi a brandelli, minacciati dallo scorbuto, tennero
testa per quasi sei mesi agli attaccanti e spesso li
batterono dimostrando al mondo cosa possano e sappiano
fare gli italiani, anche in condizioni di impossibile
inferiorità, quando sono sorretti dall'amore per la
Patria.
Il 25 settembre, spronati dal tormento della fame, gli
assediati facevano un ultimo tentativo giungendo col loro
assalto fino all'abitato di Uogherà, dove sbaragliavano e
mettevano in fuga indiani, sudanesi ed abissini. Ma non
trovarono nulla e da quella stessa località, con
l'autorizzazione del Generale Nasi, chiedevano
all'avversario di cessare la lotta.
Il 28 settembre dopo 165 giorni di eroica battaglia, il
presidio di Uochefit-Debarech ammainava il tricolore
insanguinato al quale gli inglesi rendevano gli onori
militari.
Erano stati sostenuti 30 scontri, in combattimenti
difensivi ed offensivi; erano state inflitte al nemico
perdite valutate in mille morti e tremila feriti, erano
stati catturati oltre 600 fucili, molte munizioni e molti
materiali. Si erano subite 93 incursioni aeree con lancio
di 5.500 bombe, molti spezzonamenti e mitragliamenti aerei
ed incassati 14.000 colpi di artiglieria.
Perdite nostre complessive:
Ufficiali: caduti: 8 - feriti: 9.
Nazionali: caduti: 86 - feriti: 117.
Coloniali: caduti: 280 - feriti: 450.
Uolchefit-Debarech resta un simbolo di eroica strenua
difesa oltre ogni limite di possibilità umana e militare
ed anche una gloria imperitura per i reparti di CC.NN. che
vi parteciparono.
Questo ridotto, costituito dai caposaldi di Cualqualber e
di Fercaber, (di cui il primo a sbarramento della Sella
omonima sulla strada Debra Tabor - Gondar ed il secondo
sul passo di Fercaber, presso il Lago Tana) ai primi di
agosto del 1941 aveva una forza complessiva di circa
2.900 uomini, 2.100 nel primo e 800 nel secondo, tra
nazionali e coloniali.
Del caposaldo di Culqualber facevano parte:
-
il CCXL Btg. CC.NN. (675 legionari, al comando del Seniore
Alberto Cassòli, divisi in 5 compagnie);
-
il I Btg. CC.RR. mobilitato dell'A.O.I. (200 nazionali e
160 eritrei, al comando del Maggiore Serranti. (il Btg.
arrivò il 6/8);
-
il LXVII Btg. coloniale (620 uomini su 4 compagnie al
comando del Maggiore Carlo Garbieri);
-
la 43a batteria nazionale su 3 pezzi da 77/28
(40 uomini);
-
la 44a batteria coloniale su 2 pezzi da 70/15
(314 uomini);
-
il plotone misto del Genio (65 nazionali e 23 coloniali);
-
un ospedaletto da campo (con 2 medici ed l cappellano);
Del caposaldo di Fercaber facevano parte:
-
il XIV Btg. CC.NN. (su 5 compagnie, al comando del Sen.
Lasagni);
-
la la batteria nazionale, su 3 pezzi da 70/15;
-
la 6a compagnia mitraglieri coloniale:
-
un plotone del Genio;
-
un ufficiale medico ed 1 cappellano,
I due caposaldi erano riuniti in un unico ridotto
comandato dal Ten. Col. Augusto Ugolini. Le forze del
ridotto si erano sistemate a difesa sui due passi dopo la
caduta di Debra Tabor. (6 luglio 1941).
Il Ten. Col. Ugoliní, comandante di grande tempra e con
una lunga esperienza coloniale, aveva saputo amalgamare le
forze ai suoi ordini fondendole in un unico blocco
determinato a resistere fino all'impossibile.
Il ridotto fu rafforzato con estenuanti lavori di tutta la
truppa in modo tanto intelligente ed efficiente, da poter
sopportare, come sopportò, coi suoi posti di blocco, colle
sue trincee e piazzole, ai terrificanti bombardamenti da
terra e dal cielo, durati per mesi, fino all'ultimo,
ininterrottamente.
Fin dai primi d'agosto la zona a Nord del ridotto fu
invasa dai guerriglieri che tendevano a troncare le
comunicazioni con Gondar e con esse l'afflusso dei
rifornimenti. Il Ten. Col. Ugolini con efficaci puntate
offensive partenti dal ridotto, cercava di tener libera la
strada. Uno di questi animosi attacchi ebbe l'onore della
citazione sul bollettino delle FF.AA. n. 434.
Un ultimo rifornimento, per il quale si scatenò una
violenta battaglia, costò ai difensori del ridotto dure
perdite per poter far giungere il 24 agosto a Culqualber
pagnotte e granaglie.
Il comandante decise di dare, il 3 settembre, un colpo di
arresto alla pericolosa crescente attività dei ribelli
effettuando un colpo di mano con l'impiego di 3 compagnie
di ascari e 2 compagnie di CC.NN.; tutte le forze erano
poste agli ordini diretti di Ugolini e di Garbieri.
Le compagnie, riuscite a giungere di sorpresa nella notte
agli accampamenti abissini, si lanciarono furiosamente
all'assalto abbattendo circa 300 nemici, mettendo il campo
a ferro e fuoco e catturando un grosso bottino di armi,
munizioni e bestiame. La risposta inglese fu immediata,
dopo il trionfale rientro degli italiani nel ridotto, e si
realizzò sotto forma di un intenso tiro di artiglieria e
con continue incursioni aeree purtroppo incontrastate per
la mancanza di aviazione e di artiglierie contraeree da
parte nostra.
Cominciarono a farsi difficili anche i rifornimenti di
acqua.
Il 28 settembre, con la caduta del ridotto di Uolchefit,
le possibilità di un attacco nemico a fondo contro
Culqualber aumentarono sensibilmente. I difensori, con la
forza della disperazione, malgrado la denutrizione e le
malattie, continuarono i lavori per il rafforzamento delle
difese.
Smunti e sporchi, terribilmente indeboliti, carabinieri,
artiglieri, CC.NN. genieri ed ascari si preparavano
serenamente all'estrema difesa decisi a non accettare la
resa neppure con l'onore delle armi.
Molti degli ascari avevano, come è sempre stato costume
nelle nostre truppe di colore, mogli e figli al seguito.
Le donne erano circa 200 ed anche ad esse quindi non
doveva mancare la scarna razione di farina, ceci o teff;
la poca carne veniva distribuita ai feriti ed agli
ammalati.
Continui erano i martellamenti delle artiglierie ed i
mitragliamenti dal cielo causando sempre nuovi morti e
feriti. Orinai ridotti con le scarpe a brandelli, i
difensori si confezionavano calzari e cioce cori pelli di
bovino disseccate e fasciature di tela di sacco legate con
spago. Soldati così eroici avevano l'aspetto di straccioni
e pagavano la loro tenacia coi sangue e col sudore,
alimentati solo con una acida e muffa burgutta.
La scoperta di una sorgente risolse, in parte, il problema
della sete; ma la fame cresceva e le razioni diminuivano:
ormai si distribuiva agli uomini un misurino dì ceci a
testa al giorno. Nei dintorni del caposaldo non c'era più
nulla da razziare.
Unica soluzione, per non dover essere costretti a cedere
per fame, andare a prendere i viveri con la forza
in casa del nemico. Così il Ten. Col. Ugolini decise di
effettuare per il 18 ottobre un nuovo colpo di mano:
attaccare la base costituita dagli inglesi in un campo di
4.000 abissini presso il villaggio di Dambà Mariam.
All'assalto, dopo una minuziosa preparazione, sarebbero
intervenuti, ad eccezione di pochi uomini lasciatì a
guardia del ridotto, ì tre battaglioni del, presidio: il
CCXL CC.NN., il I Carabinieri, il LXVII coloniale. Il
primo avrebbe circondata la base da est, il secondo
avrebbe attaccato frontalmente, il terzo avrebbe fatto
l'avvolgimento da ovest.
Raggiunta nel cuore della notte, con la protezione delle
alte erbe, le posizioni dalle quali scattare all'assalto,
gli uomini dei tre battaglioni si lanciano come belve
sugli accampamenti dei guerriglieri, annientando con le
bombe ed all'arma bianca quanti tentano di resistere ed
inseguendo quelli che fuggono dopo i feroci corpo a corpo;
gli ultimi ad essere sgominati sono i difensori del grande
deposito.
Mentre una parte degli italiani insegue il nemico in
rotta, gli altri, aiutati dalle donne degli ascari,
raccolgono tutto quello che trovano: sacchi di cereali,
cassette di scatole di carne, armi, munizioni, medicinali.
Il tutto viene caricato sui muli o portato a spalla fino
al ridotto, che peraltro è raggiunto solo dopo aver
sostenuti altri combattimenti contro i ritorni offensivi
dell'avversario. Fra i cadaveri nemici contati
nell'accampamento distrutto erano stati riconosciuti
quelli di vari ufficiali e sottufficiali inglesi. I nostri
caduti ed i feriti, barellati, furono riportati a
Culqualber: l'azione ci era costata 36 caduti e 31 feriti
e fu citata sul bollettino n. 505 delle FF.AA.
Da quel giorno le popolazioni abissine ancora oggi
ricordano con ammirazione i difensori di Culqualber,
definiti con la loro figurata espressione come i « Leoni
ruggenti del passo delle Euforbie ».
Dal 1° novembre gli inglesi, che ormai avevano terminato
di radunare le masse destinate all'attacco finale contro i
nostri caposaldi, ripresero un ininterrotto martellamento
terrestre ed aereo delle nostre posizioni, causando ai
difensori uno stillicidio di dolorose perdite. Il giorno
2, per la ricorrenza dei Defunti, dinanzi alle
rappresentanze dei reparti, fu celebrata al cimitero la
Messa in suffragio dei Caduti; nel corso di essa una nuova
terribile incursione aerea colpì anche il cimitero,
facendo vittime tra i vivi, squassando le ossa dei Caduti
e colpendo anche l'ospedaletto da campo che pur portava,
ben visibile, la grande croce rossa.
Il 4 novembre riprese sempre più violento il tiro delle
batterie inglesi; i nostri pezzi non potevano
controbattere per le loro minori gittate e per non
sprecare le munizioni che dovevano servire per l'ultima
lotta.
Al tiro delle artiglierie si alternavano massicce ondate
di aerei da bombardamento e da caccia che colpivano ogni
angolo delle posizioni; ma i difensori rimanevano
inchiodati ai loro posti di combattimento e quando
est-africani, sudanesi ed abissini inquadrati dai
britannici tentavano l'inizio di un assalto, trovavano
armi pronte e validi cuori a riceverli.
Alla sera del 5 le masse nemiche, totalmente respinte,
avevano lasciati sul terreno moltissimi caduti. Il 6
novembre arriva a Culqualber il primo messaggio di
intimazione di resa con l'onore delle armi: viene
fieramente e decisamente respinto.
L'azione dell'artiglieria nemica riprende intensa il 10
mattina; verso le ore 12 si presentano agli avamposti due
preti abissini con un altro messaggio, anche questo
rigettato.
Gli inglesi avevano ormai ammassato contro la nostra
difesa:
-
A Nord (Gen. di Brigata W.A.L. James).
-
La 25a Brigata Est Africana su tre battaglioni
del King's African Rifles, varie compagnie mitraglieri, 6
batterie di vario calibro, una compagnia sudanese e circa
6.500 abissini. Complessivamente circa 13.000 uomini.
-
A Sud (Ten. Col. Collins).
-
La Southforce, su due battaglioni di Est Africani, una
batteria su 6 pezzi della Costa d'Oro, una batteria Sud
Afrìcana, varie compagnie mitraglieri e formazioni
abissine: complessivamente 9.500 combattenti.
I1 presidio del ridotto italiano poteva ormai solo opporre
1.800 uomini laceri, affamati, sfiniti e febbricitanti,
dei quali molti già feriti.
Siamo ormai all'ultimo atto della tragedia per i difensori
di Culqualber-Fercaber, decisi più che mai, dai comandante
allo ultimo soldato, a non arrendersi neppure con l'onore
delle armi; piuttosto morire tutti.
Il 12 novembre comincia l'attacco decisivo; esso non
riuscirà ad aver ragione di quel pugno di eroi se non il
21 novembre, dopo nove giornate di durissima lotta.
All'alba del 12 una cinquantina di aerei, in ondate
successive ma continuate, tempestarono di bombe e
mitraglia l'intera area dei capisaldi, procurando forti
nostre perdite in morti e feriti.
Dopo una notte insonne, perché i difensori erano tesi per
cercare di evitare qualsiasi infiltrazione, gli italiani
furono investiti allo spuntare del giorno 13 da un attacco
generale da tutte le direzioni.
Reparti regolari di indiani, di sudanesi e di est africani
con una massa di abissini, tutti inquadrati da ufficiali e
sottufficiali inglesi, si lanciarono all'assalto; il
maggiore sforzo fu esercitato contro il costone dei
Roccioni, sul lato nord, difeso dalle compagnie la e 3a
del CCXL Btg. CC.NN. e dalla 2a del Battaglione
Carabinieri. In qualche punto la linea fu intaccata ma la
situazione fu subito ristabilita da una serie di furiosi
contrassalti.
Il nemico, che aveva subite enormi perdite, fece
scavalcare da nuove masse fresche quelle che erano state
respinte nel primo attacco; questa volta gli abissini
riuscirono ad arrivare fino sul bordo delle trincee ma vi
furono annientati cori la bionetta e le bombe a mano.
Quando, verso le 17, l'avversario abbandonò la partita
ormai perduta, oltre 150 suoi caduti erano disseminati
davanti alle nostre linee; Carabinieri e CC.NN. si erano
battuti da disperati, senza limiti di sacrificio. Presso
la 3a Compagnia CC.NN., caduti tutti i difensori di un
centro di fuoco, essi furono spontaneamente sostituiti da
un gruppo di cucinieri e di scritturali; sottoposto
nuovamente lo stesso centro ad un implacabile
bombardamento di mortai nemici, questi valorosi
combattenti improvvisati si lasciarono massacrare fino
all'ultimo uomo piuttosto che abbandonare il posto che
erano accorsi a difendere e far cessare così il fuoco
delle armi del centro.
Alla fine della giornata del 13 il CCXL Btg. CC.NN. aveva
già perduto il 45% dei propri effettivi.
Una giornata di sosta. La lotta riprese il 15 con un
ennesimo furioso bombardamento delle posizioni italiane
sia da terra che dall'aria.
Nuovi attacchi nemici si scatenarono il 16: furono tutti
respinti sanguinosamente, ma intanto nuove perdite
assottigliavano le file dei bravi difensori. Il mattino
del 18, nel settore sud, si delineava un attacco coi carri
armati: le mine a strappo ne facevano saltare alcuni e gli
altri si ritiravano. Intanto, contemporaneamente, le
autoblindo attaccavano a nord e venivano ributtate dai
precisi tiri dei pochi pezzi della difesa.
Il 19, dopo una nuova proposta di resa onorevole,
naturalmente anch'essa respinta, ricominciarono i
bombardamenti aerei e continuarono il 20: la sella di
Culqualber era tutta un ribollire di scoppi, di schegge e
di fiammate. Le nostre perdite crescevano. Il Caposquadra
Colagrossi, della 42 Compagnia CC.NN., ferito
gravemente, rifiuta di essere trasportato all'ospedaletto
e aggrappato alla mitragliatrice, continua a sparare
cantando: « Ma la mitragliatrice non la lascio! ».
Alle tre del mattino del 21 novembre grossi nuclei nemici
iniziano l'avvicinamento alle posizioni italiane,
ferocemente investite dal fuoco da ogni direzione.
Prima dell'alba, nel buio, dai posti scoglio e dalle
trincee, si era sollevato sommesso ed accorato e per
l'ultima volta il canto di Culqualber: erano le CC.NN. del
CCXL Battaglione! Davano lo estremo saluto alla Patria ed
alla vita.
Dopo un fuoco spaventoso si sviluppò l'assalto decisivo e
totale, con più violente puntate nei settori del fronte
nord, tenuti dalle Compagnie 1a e 3a
dei legionari e dalla 2a Compagnia Carabinieri.
Contemporaneamente veniva investito il fronte sud (1a
Carabinieri e 2a CC.NN.).
Alle prime luci mucchi di cadaveri nemici coprivano il
'terreno antistante alle nostre posizioni e molti erano i
caduti ed i feriti fra i difensori. Ma non un palmo di
terreno era ancora andato perduto.
Alle ore 6 l'attacco riprese sempre più intenso; il Ten.
Col. Ugolini, dal suo posto di comando bersagliato come le
trincee, si teneva in contatto coi comandanti dei suoi tre
battaglioni. Anche a Fercaber, il XIV Btg. CC.NN. del
Seniore Lasagni era assalito con violenza e si difendeva
accanitamente.
Il secondo attacco della giornata si scatenò soprattutto
contro il settore della 2a Compagnia CC.RR. e
contro le CC.NN. di Calabrese e di Mazzoni. Le forze degli
italiani si andavano assottigliando. I nemici giunti sulle
trincee furono ancora una volta ributtati in furibondi
corpo a corpo. Dalle due parti c'era stata una strage.
L'avversario era però riuscito ad infiltrarsi tra i due
caposaldi di Culqualber e di Fercaber riuscendo così a
separarli: ma il XIV Btg. CC.NN., ormai isolato, resisteva
ancora arroccato alle sue posizioni.
Dopo le 7 l'attacco si faceva sempre più vigoroso. I
carabinieri del capitano Azzari (2a Compagnia)
erano maciullati dai colpi di mortai e dai mitragliamenti
degli aerei a volo radente; un nuovo assalto trovò pochi
superstiti che si difésero fino alla morte ed il nemico
conquistò le trincee ormai deserte. Sommersi i posti
avanzati, i reparti africani inglesi e gli abissini
piombarono alle spalle degli ultimi uomini della 2a
Carabinieri; questi contrattaccarono all'arma banca ma
vennero schiacciati dal numero delle orde avversarie, e la
stessa sorte toccò subito dopo alla 2a
compagnia delle CC.NN.
Perduto anche il costone dei Roccioni, i pochissimi
superstiti dei Carabinieri e dei legionari, sfiniti e
sanguinanti, ripiegarono raccogliendosi intorno al comando
per l'estremo sacrificio.
Sul settore sud intanto CC.RR. e CC.NN., allo sperone ed
alla gola Uorkajè, resistevano senza cedere terreno; il
nemico, ubriaco di alcool e di successo, stava per
invadere l'interno del ridotto; ma le ultime due compagnie
di ascari, con il Maggiore Garbieri alla testa, vennero
gettate al contrattacco. Esse esitarono un istante, ma,
quando videro aggiungersi ad esse gli ultimi resti degli
italiani, si buttarono sull'avversario. Questo non ebbe il
coraggio di affrontare questi uomini trasformati in belve
e si diede alla fuga. Alle 9,30 tutte le trincee erano
riconquistate.
Contemporaneamente la drammatica lotta impegnava la 4a
Compagnia delle CC.NN. In suo soccorso accorreva la la
Compagnia del LXVII coloniale ed insieme i due reparti
riuscivano a disperdere i sudanesi.
Dopo una breve pausa la lotta si riaccende feroce con un
nuovo attacco alla la Compagnia Carabinieri del Capitano
Celi ed al costone dei Roccioni ora difeso dai resti delle
compagnie CC. NN. 1a e 3a del CCXL
Btg.
Maciullati dai colpi delle bombarde i difensori dovettero
ripiegare alquanto; poi, aiutati dagli ultimi ascari, con
un estremo contrattacco ristabilirono l'integrità della
linea.
I caduti si sommavano ai caduti; i sopravissuti avevano
ormai accettato serenamente il loro destino di morte. Il
tempo passava, finivano le munizioni, ma la lotta
continuava inesorabile. Alle 12,50, primo fra gli avanzi
dei suoi ascari, cade il Maggiore Garbieri.
Intanto il presidio di Fercaber, (le CC.NN. del XIV Btg.,
i pochi ascari ed i genieri ed artiglieri), aveva dovuto
soccombere letteralmente sopraffatto. Erano le 13 del 21
novembre ed a Culqualber si lottava ancora stoicamente. Il
Maggiore Serranti, comandante dei Carabinieri, già ferito
e sanguinante, continuava imperterrito a restare cogli
ultimi uomini del suo battaglione. Anche il Ten. Col.
Ugolini perdeva sangue da molte ferite, ma nessuno cessava
di combattere.
Sotto l'impeto di un feroce assalto degli abissini i
difensori, sfiniti, cominciarono a vacillare. Raccolto
l'ultimo pugno di soldati, il Maggiore Serranti ed il
Seniore Cassòli del CCXL Btg. CC. NN. balzano ad un
estremo contrassalto: mescolati, Carabinieri, CC.NN.,
ascari e genieri, al grido di «Savoia», ingaggiano una
lotta furibonda.
In quest'ultimo disperato slancio muore gloriosamente il
Maggiore Serranti trapassato dalla baionetta di un
sudanese; subito dopo, cade fulminato da una pallottola il
Seniore Cassòli, comandante del CCXL Btg. CC.NN.
Raccolti attorno all'eroico comandante del ridotto,
poclirissimi sopravvissuti, sparati gli ultimi colpi,
fatti saltare i pezzi di artiglieria, inutilizzate le
armi, contornati dai corni dei compagni caduti, si
preparano a morire. II Ten. Col. Ugolini fa ammainare la
bandiera e la brucia.
Intanto l'ondata dei nemici arriva al cuore del caposaldo
ed un soldato est africano si lancia con la baionetta
contro il comandante italiano, ma viene fermato, appena in
tempo, da un capitano inglese, che saluta Ugolini e
rinuncia a farsi consegnare da lui la pistola. In
riconoscimento del suo valore, con una, autorizzazione
speciale del Gen. James, Ugolini potrà conservare l'arma
anche in prigionia.
Cade così il sipario sull'epopea di Culqualbcr - Fercaber,
L'eroica superba estrema difesa è costata, tra il 1.3 ed
il 21 novembre, le seguenti perdite:
- su circa 1.580 nazionali: caduti, 513 - feriti, 404.
- su circa 1.200 coloniali : caduti, 490 - feriti, 400.
su circa 200 donne mogli degli ascari, ne perirono oltre
100,
In particolare, il CCXL Btg. CC.NN. si immolò quasi
completamente sul campo.
Il Generale Nasi propose per la Medaglia d'Oro al V.M. il
comandante Ugolini ed i tre comandanti di battaglione.
La battaglia di Gondar.
Subito dopo, il 23 novembre, il nemico poteva così
investire, con colonne motorizzate, la cinta di Azozò
iniziando l'ultima lotta per Gondar.
Le nostre forze di difesa erano:
- A Gondar:
-
1) Settore N.E. (Amba Genio) - Un gruppo bande; una
sezione mortai da 81; una batteria da 65/17; una compagnia
genio. Totale: 1.179 uomini.
-
2) Settore Gondar (Est) - Il Btg. Coloniale; una compagnia
mortai da 81; una batteria da 120/25; una compagnia
coloniale; due compagnie del CLI CC.NN.; una batteria da
104/32. Totale: 858 uomini.
-
3) Settore Gomità (Ovest) - CXLVI Btg. CC.NN.; una
batteria da 75/13; una sezione da 75/28; due sezioni
mortai da 81. Totale: 540 uomini.
- Ad Azozò:
-
1) Settore Azozò .. Tre compagnie del XIII Btg. CC.NN.;
XIV gruppo cavalleria appiedata; una centuria lavoratori;
una batteria da 100/17; una batteria da 77/28; una sezione
da 20. Totale: 1.440 uomini.
-
2) Settore Magasc - CLXVI Btg. CC.NN. più una compagnia
del CLI Btg. CC.NN.; due batterie da 65/17; una sezione
mortai da 81. Totale: 640 uomini.
-
- Riserva: DII Btg. CC.NN. di 530 uomini; XXII Brigata
coloniale di 615 uomini e 615 uomini dei servizi.
Le forze nemiche contrapposte erano:
-
- XXVI Brigata King's African Rifles.
-
- Un Reggimento scozzese su due battaglioni.
-
- Artiglieria e carri leggeri.
-
- Gruppi di armati dell'Ermacciò e del Chernantì cori alt
i-cartiglierie.
-
- Un battaglione etiopico di ex Ascari.
-
- Formazioni di paesani armati.
-
- XXV Brigata del R.ing's African Rifles.
-
- 60 carri armati.
-
- Artiglieria autotrasportata.
-
- Reparti di carri leggeri.
-
- Armati abissini.
-
- Un battaglione Sud Africano.
-
- Un battaglione della Francia libera.
-
- Altri paesani armati.
In tutto, oltre alle forze britanniche e francesi, si
potevano contare: 10.000 abissini al comando di ufficiali
inglesi; 20.000 paesani armati al comando di capi ribelli.
Come è facile constatare, lo squilibrio delle forze era a
noi schiacciantemente sfavorevole, soprattutto in
relazione ai mezzi.
Dal 24 al 26 novembre il nemico effettua esplorazioni e
ricognizioni per saggiare la nostra difesa: con carri
armati, reparti appoggiati da artiglieria mosse all'alba
del 24 a tentare la riconquista del ponte della rotabile
del Magasc e già nel tardo porrmeriggio rinunciava di
fronte alla tenacia dei difensori.
Gli inglesi rinnovano il tentativo il 25 in forma più
estesa ma con lo stesso risultato negativo. Il 26 altro
ritorno offensivo, sempre appoggiato da carri armati e
sempre con esito negativo.
Alle ore 4 del 27 il nemico torna ad investire da sud con
forze preponderanti; l'attacco si estende man mano agli
altri lati del ridotto. Dopo -lotta sanguinosa
condotta eroicamente dai nostri fino ad esaurimento delle
munizioni, verso le 9 la battaglia è già estesa a tutto il
fronte; alle Il ìl fronte meridionale è travolto,
il nemico riesce ad entrare in Azozò e prosegue per
Gondar.
Intanto sul fronte orientale una brigata sud africana con
un battaglione della Francia libera e gruppi di ribelli,
attaccavano e venivano respinti per tre volte consecutive;
magnifica la reazione della eroica XXII Brigata
coloniale sull'Amba Badoglio. Però il tiro delle poche
batterie non poteva frenare ma solo rallentare l'avanzata
dei carri armati che alle 14,30, seguiti dalle autoblindo
riuscivano ad entrare nell'abitato di Gondar. Alle 16,30
era raggiunta la Banca d'Italia, sede del comando di
Scacchiere del Generale Nasi. Una missione di parlamentari
scortata e protetta dalle camionette inglesi si recava ad
Azozò a chiedere una tregua. A causa del ritardo nel
ritorno dei parlamentari la lotta continuava: i nostri,
isolati, accerchiati, continuavano a difendersi bravamente
nei vari punti della città. Masse abissine si davano al
saccheggio tenute a freno molto difficoltosamente dai
Carabinieri, dalle Guardie di Finanza e dagli stessi
inglesi.
L'ordine di resa non poté raggiungere i vari centri; i
capisaldi di Ualag, Chercher, Celgà e Gorgorà, seguitarono
valorosamente a lottare per tutto il 27 e deposero le armi
solo dietro ordine perentorio del nostro comando il
mattino del giorno 28 novembre. Ultimo reparto a deporre
le armi fu il DII Btg. CC.NN.
Le nostre perdite totali furono di:
22 Ufficiali.
495 Nazionali.
1.248 Coloniali.
pari ad un terzo della forza globale. Questo fu l'eroico
sacrificio tributato all'onore militare prima che si
ammainasse in F.O.I. l'ultimo tricolore.
Con questa epica lotta si conclude la guerra in Etiopia.
Nella difesa dell'Impero la Milizia ha sacrificato 30
battaglioni, dodici dei quali furono tra le ultime truppe
nazionali che si batterono fino ai limiti estremi
dell'eroismo e della possibilità umana nel Gondarino.
Frutto di tanta bravura fu l'onore alla nostra bandiera,
reso dal nemico.
Prima della battaglia il Generale Nasi, aveva telegrafato:
«CC.NN. ai miei ordini sono ossatura difesa Gondarina e
danno giornalmente ammirevole prova di tenacia e di
valore».
Non si sarebbero smentite fino alla fine ed all'ultimo
supremo sacrificio.