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L'avvenire del commercio in Etiopia

 

 

 

L'on. Mario Racheli, presidente della Confederazione fascista dei Commercianti, quasi subito dopo l'annessione dell'Etiopia all'Italia, a capo di una Commissione speciale si è recato in A. O. I. per studiare alcuni problemi e prendere opportuni provvedimenti riguardi dell'attività commerciale nell'Impero Etiopico. Reduce dal suo viaggio proficuo per le preziose osservazioni fatte sul paese e sul popolo etiope, l’on. Racheli, rispondendo cortesemente a una nostra richiesta, ha dettato l'articolo che qui pubblichiamo.

 

Uno sconfinato serbatoio di risorse potenziali: un'attrezzatura tecnica embrionale e rudimentale, ecco la constatazione di un esperto, dopo una ricognizione rapida ma oculata attraverso la nostra Africa orientale di recente conquista. Una constatazione cotesta da infondere sgomento a qualunque programma colonizzatore non porti le insegne del Fascismo e non batta le vie che i soldati d'Italia hanno tracciato col loro genuino eroismo. Dove avanzarono, impavide le nostre legioni, potrebbero arrestarsi o retrocedere il nostro commercio e la nostra organizzazione industriale?

Naturalmente il primo problema da risolvere in Etiopia è quello stradale. In linea di principio, il rendimento di un territorio coloniale è l rapporto diretto con la vastità e con la praticità della sua rete stradale, oltre che con la sagace utilizzazione delle sue ricchezze naturali. È una verità assiomatica. Nel caso del nostro Impero le strade non debbono solamente servire alla rapida e ordinata circolazione delle merci, ma anche, anzi si potrebbe dire molto di più, ad intensificare i rapporti reciproci fra le diverse popolazioni, a metterle fervidamente in contatto con la civiltà, a toglierle dall'isolamento forastico della loro grama esistenza. Noi non saremo degni di quel luminoso programma di Romanità, che il Duce ha fatto strenuamente balenare dinanzi a nostri occhi, se noi non accoppiassimo sempre la ricerca del moltiplicato benessere all'ideale di una più dignitosa atmosfera di vita civile. Il piano stradale, che il Duce ha tracciato il giorno stesso, può dirsi, della occupazione militare di Addis Abeba, costituirà il sistema colatorio della nuova vita che l'Italia farà pulsare nel suo Impero.

Dovrà   essere sistema agile e libero. Dovranno essere risolutamente mossi e distrutti tutti quei pesanti ostacoli di carattere esosamente fiscale che nel passato, sotto il parassitario regime del Negus Tafari, frazionavano la vecchia economia etiopica in un mosaico pulviscolare di povera anguste e tormentate attività mercantili.

La conquista e la colonizzazione italiane dell'Etiopia introducono per la prima volta nel circolo della economia mondiale un paese vissuto per millenni nell'isolamento e paese senza strade, ma è anche un paese senza case, possiamo renderci conto della vastità del compito che incombe. Non esistono in Etiopia centri dì commercio e dì affari materialmente costruiti con relativi abitati, negozi, uffici, magazzini generali. È indispensabile dare una base urbana al commercio etiopico nel momento della sua vera nascita. D'accordo con il Governo del Viceré, così sensibile a tutte le esigenze dell'occupazione imperiale e dello sviluppo economico del paese conquistato, si è promossa già, senza la costruzione di un quartiere commerciale, che sorgerà, in brevissimo tempo, in una delle zone più centrali di Addis Abeba, composto di padiglioni con annessa abitazione, disposti, esteticamente, intorno ad una piazza e destinati esclusivamente alla esposizione e alla vendita dei prodotti nazionali. Così la Confederazione dei Commercianti si é già installata decorosamente nel cuore del nuovo Impero. Si tratta, é vero, di una sistemazione provvisoria, in attesa che sia risolto l'urgente problema del piano regolatore di Addis Abeba. Ma tale sommaria e precaria sistemazione e il segno della volenterosa sollecitudine del com­mercio italiano ed é un eccellente auspicio per l'attività futura.

La quale, avvivata da quella agile elasticità e da quella duttile capacità di comprensione e di adattamento che è la nostra più cospicua caratteristica, dovrà aderire, pur innalzandole e impinguandole, alle millenarie consuetudini mercantili imposte all'Etiopia dalla sua configu­razione fisica e dai suoi cicli stagionali.

Il commercio abissino sì é svolto sempre, per la massima parte, sui mercati. Il clima prevalentemente secco favorisce la vita all'aperto e lo sciorinamento delle mercanzie nei vasti piazzali, dove le contrattazioni sì svolgono nelle forme vivaci e rumorose, caratteristiche del mondo orientale.

Il commercio italiano si conformerà alle tradizioni del paese e agli abitudinari suoi luoghi di convegno. I grandi magazzini e depositi del commercio grossista, sapientemente e tempestivamente riforniti, faranno rifluire le merci attraverso l'attività capillare del commercio al minuto. Il quale, appunto, dovrà assumere in Etiopia la ferma tipica dell'emporio per i prodotti alimentari e del bazar per le merci v e non specializzate. Una specializzazione commerciale sarebbe, almeno in un' primo tempo, inadatta e infruttifera.

Alla complessa e mobile attività del commercio all'ingrosso va strettamente congiunta quella della organizzazione, della raccolta, del selezionamento, del condizionamento dei prodotti indigeni. I quali sono, in pratica, ripartiti e disseminati, a piccole partite, su territori immessi, montuosi, popolati da genti eterogenee, dalle consuetudini mercantili disparate. Tale organizzazione, indispensabile per accumulare e sapientemente convogliare l'esportazione del caffè, delle pelli, della cera, ecc., deve naturalmente trovare la sua equa e proporzionata contropartita. La quale sarà l'organizzazione, so basi affini, della importazione dei prodotti necessari al mercato interno etiopico: cotonate, sale, articoli vari.

Ci sono stazioni di transito, di acca­parramento, e di smistamento, che il commercio italiano dovrà, per il proprio vantaggio, rispettare e conservare. Il più importante dei mercati etiopici è stato sempre Harrar, dove si calcolava, ai tempi di Tafari, un movimento annuo di merci superiore, per valore, ai 20 milioni di franchi. Harrar è la Lipsia abissina per il commercio delle pelli. L'apertura al traffico della ferrovia franco-etiopica non le ha tolto il primato. Da Harrar, le carovane prendevano la via di Zeila e di Berbera, per essere poi concentrate ad Aden, dall'altra sponda del Mar Rosso, dove si svolgeva il fer­vido lavoro di smistamento.

Lo stesso avveniva, in senso inverso, per le merci dirette Etiopia e provenienti dall'Arabia, dalla Palestina, da Bagdad, da Bombay, da Colombo, dal Tanganika e dal Giappone. Aden era casi divenuta la Hong, Kong del Mar Rosso, scalo obbligato di tutti i grandi piroscafi che traversano l'Oceano Indiano il Golfo del Bengala.

Una viva concorrenza franco-inglese si rivelava già negli sforzi tenaci compiuti dalla Somalia Britannica per attrarre verso le pro­prie coste le correnti commerciali etiopiche, fatalmente portate verso Gibuti dalla comodità del trasporto ferroviario. Se le eccellenti linee di navi­gazione in servizio di Aden costituivano alla forte possibilità di successo, i porti di Zeila e di Berbera, mediocri e spesso, a causa dei monsoni, letteralmente inospiti, costituivano un elemento del tutto negativo.

L'occupazione e il regime italiani, con le preesistenti reti commerciali dell'Eritrea e della Somalia, porteranno indubbiamente alterazioni profonde nel quadro organico dei movimenti del traffico in Abissinia.

Per il commercio italiano in Etiopia sì tratta innanzi tutto di stabilire e di garantire un movimento costante di flusso e riflusso verso gli sbocchi di entrata e di uscita dell'Impero. Al volume cresciuto delle importazioni, per la presenza di truppe, di maestranze e di organismi burocratici, deve corrispondere il proporzionato accrescimento del volume delle esportazioni. E si capisce che queste, attendono tutto un lavoro sapiente di sfruttamento e di accaparramento, ma senza intenti monopolistici.

Sarebbe ingenuo e pericolosamente illusorio credere di potere affrontare i grandiosi compiti della conquista economica dell'Impero con mezzi inadeguati e senza un preveggente ed armonico coordinamento di uffici. A buon conto la Confederazione dei Commercianti ha costituito un suo ufficio in Addis Abeba per fornire informazioni sull'andamento dei mercati e per mantenere i necessari collegamenti con le grandi organizzazioni della Madre Patria.

La rinascita economica della Etiopia deve procedere a passi accelerati e senza dispersione di energie, secondo lo stile del Regime corporativo fascista e in conformità ai precisi e gravi doveri che una vittoria così brillantemente conseguita, impone.

Con occhio vigile e sensibilità pronta, il commercio italiano deve rapidamente porre la mano sui gangli centrali del traffico etiopico per captare alle sorgenti i frutti della produzione indigena e farne alimento regolare e ininterrotto del proprio movimento. In pari tempo, con alla mano le statistiche delle importazioni dell'anteguerra e dell'anteconquista, deve sapere abilmente sostituire alle voci straniere dell'importazione etiopica (dalle cotonate, al materiale di costruzione e alla suppellettile domestica), voci e generi italiani. L'eccellenza dei nostri prodotti faciliterà la bisogna.

I commercianti italiani debbono comprendere che ad essi è devoluta una parte cospicua, forse la preponderante, nella messa in valore, in tutto il senso della parola, dell'Impero, che il Duce ha romanamente voluto e i soldati italiani hanno romanamente conquistato.

MARIO RACHELI

 

FONTI

(*) L'Illustrazione Italiana, anno LXIII, n. 40, 4 ottobre 1936-XIV, pag. 575-576.



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