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La battaglia dei convogli

A cura di Enrico Paradies

 

 

 

1. Introduzione

A differenza di quanto si era verificato nella Grande Guerra, quando il potere marittimo era stato saldamente nelle mani dell’Intesa, nel secondo conflitto mondiale, con la scelta politica dell’alleanza continentale, all’Italia si era posto il problema delle comunicazioni marittime.

Se l’interruzione delle linee di traffico commerciale, mediterranee e transoceaniche, poteva essere compensata con l’aumento degli scambi terrestri con i paesi d’oltralpe controllati dall’Asse, invece sarebbero rimaste sempre obbligate le linee di rifornimento militare con i vari teatri di operazione che si sarebbero aperte nel corso della guerra (Libia, Egeo, Tunisia). Tale scenario avrebbe imposto un inedito confronto aeronavale tra la Regia Marina e la Royal Navy.

Il compito principale della Regia Marina era diventato la protezione e il mantenimento delle comunicazioni marittime “con andamento per meridiano”, cioè dai porti nazionali a quelli libici, ed il contrasto dei traffici di rifornimento avversari “con andamento per parallelo”, lungo la direttrice Gibilterra-Malta-Alessandria. Gibilterra e Alessandria erano le serrature per l’accesso agli oceani, Malta per le comunicazioni mediterranee. Tutte le chiavi erano detenute dai britannici.

Ufficialmente conosciuta come “Difesa del Traffico”, la “Battaglia dei Convogli” può essere definita come l’insieme delle operazioni aero-navali che, dal Giugno del 1940 al Settembre del 1943, aveva visto confrontarsi nel Mediterraneo da una parte le unità militari e mercantili italiane, impegnate a rifornire di uomini e materiali i fronti d’oltremare e dall’altra parte le forze navali britanniche, prima, ed Alleate, poi, che a tali azioni si erano opposte. I rifornimenti venivano assicurati con l’impiego sia di navi militari, quando il trasporto aveva particolare carattere di urgenza, sia di navi mercantili; quest’ultime talvolta in forma isolata ma, più spesso, in gruppi scortati, ossia in “convoglio”.

Nel complesso si era trattato di un’attività imponente che, per tutti i trentanove mesi del conflitto, aveva visto organizzare da e per i porti italiani d’oltremare oltre 4000 convogli, ben pochi dei quali erano sfuggiti all’offesa dei mezzi navali e aerei del nemico, soprattutto fra quelli diretti in Africa Settentrionale. La locuzione “Battaglia dei Convogli” è di solito riferita ai convogli diretti o provenienti dall’Africa Settentrionale, perché soprattutto su questa rotta si erano registrati gli scontri più cruenti e le perdite maggiori.

Per completare la trattazione almeno un cenno merita il traffico di cabotaggio svolto lungo le coste libiche, dai porti principali di sbarco ai terminali costieri a ridosso delle retrovie della linea di combattimento, e che aveva visto l’organizzazione di 756 convogli.

Sia per la ristrettezza del teatro operativo, sia per l’unicità dello scopo, sia perché non aveva avuto mai sosta, la “Difesa del Traffico” per il rifornimento dell’Africa Settentrionale è solitamente trattata come un’unica “Battaglia dei Convogli”, articolata in cinque periodi, secondo un approccio esclusivamente cronologico. Invece, in funzione dell’effettivo contrasto sostenuto, si individuano tre distinte “Battaglie dei Convogli”. Questa seconda interpretazione consente una più puntuale analisi dei risultati. Infatti la “Difesa del Traffico” non aveva avuto uguale intensità nell’arco dei 39 mesi di guerra. Fino alla primavera del 1941 e nella prima metà del 1942 l’insidia nemica era stata inesistente o modesta mentre negli ultimi mesi di guerra era venuta meno la necessità di rifornire il fronte africano.

La storiografia ha sempre affrontato le “Battaglie dei Convogli” circoscrivendole alle attività della sola Regia Marina e focalizzando l’analisi solo al tragitto via mare dei rifornimenti. Solo recentemente si è iniziato ad ampliare tale analisi in un’ottica interforze e considerando anche l’apporto tedesco. Scorte, difesa antiarea dei porti, afflusso, carico e scarico dei materiali nei porti ecc., avevano coinvolto tutte e tre le Forze Armate, anche se in mancanza di una specifica organizzazione interforze. Il Regio Esercito, per esempio, era coinvolto sia negli Uffici Imbarchi e Sbarchi sia nelle Commissioni Allestimento e Imbarco presenti nei principali porti, con sovrapposizioni di poteri con la Regia Marina. Non può essere inoltre trascurato il ruolo fondamentale del potere aereo, che ha fatto delle “Battaglie dei Convogli” una questione aeronavale e non solo navale. Tra l’altro i convogli aerei avevano rappresentato, specie durante la campagna di Tunisia, un’alternativa indispensabile al trasporto degli uomini piuttosto che dei materiali. Per fare un confronto se in trentacinque mesi di guerra erano giunti in Africa settentrionale via mare circa 261.000 uomini e circa 2.200.000 tonnellate di materiali, per via aerea invece erano stati trasportati 240.000 uomini e 20.000 tonnellate di materiali (oltre ai 40.000 uomini e alle 14.000 tonnellate di materiali dei Transportgruppen tedeschi).

 

2. La quarta sponda 

Con la guerra italo-turca del 1911-1912 l’Italia aveva acquisito prima le due province ottomane della Tripolitania e della Cirenaica, accomunate poi sotto il nome di Libia, e successivamente il Dodecaneso (1920). I nuovi impegni difensivi derivanti dall’occupazione del litorale libico avevano accentuato la debolezza complessiva della posizione marittima dell’Italia, aggravando i problemi di difesa delle coste. La Libia, la cosiddetta “quarta sponda”, da quando dall’ottobre del 1938 era diventata territorio nazionale, non poteva essere autonoma e la sua conservazione dipendeva dai collegamenti marittimi con la madrepatria. In tempo di guerra la difesa delle rotte tra l’Italia e la Libia sarebbe stata condizionata soprattutto da esigenze di natura logistica e dalla prevedibilità delle stesse.

Nell’organizzazione dei rifornimenti marittimi per la Libia mentre criteri operativi consigliavano, ai fini della concentrazione delle difese e dell’economia delle forze, di riunire i mercantili da avviare oltremare in convogli opportunamente scortati, la logistica richiedeva che in ciascun convoglio fosse riunito soltanto quel numero di mercantili che potevano essere scaricati contemporaneamente nel porto di arrivo.

Secondo uno studio del 1938 dello Stato Maggiore della Marina italiana la ricettività teorica dei porti libici consentiva lo scarico di 5 navi da carico e 4 per trasporto truppe a Tripoli, 3 navi da carico e 2 per trasporto truppe a Bengasi e 3 navi da carico e 2 navi da trasporto truppe a Tobruch. In quanto ai porti di partenza era previsto che a Napoli potessero essere caricati contemporaneamente 14 mercantili, a Bari e a Brindisi 5. Tali capacità si riferivano alle condizioni dei porti in tempo di pace, sarebbero state molto minori in guerra a causa delle prevedibili distruzioni.

Le linee di comunicazione erano inoltre obbligate. Per raggiungere dall’Italia il porto di Tripoli, che per tutta la durata del conflitto in Libia sarebbe stata la più grande base portuale italiana sulla sponda africana, erano possibili soltanto due rotte (figura 1). La prima passava a ponente di Malta, nel corridoio che costeggia la costa tunisina lungo le isole Kerkennah attraversando zone ristrette di mare tra le secche, gli scogli e i prevedibili campi minati, la seconda a levante dell’isola. L’una e l’altra di tali vie marittime convergevano dalle due Sirti, ad imbuto, sul porto di Tripoli.

La rotta di levante rispetto a quella di ponente aveva un percorso più lungo, maggiori difficoltà di protezione aerea ed era più esposta alle azioni offensive a sorpresa provenienti dal Mediterraneo orientale e, come sarebbe accaduto per lunghi periodi, anche dalla Cirenaica conquistata dai britannici. Malgrado ciò, dopo un primo periodo, la rotta di levante era stata preferita all’altra, specialmente per i convogli veloci (velocità superiore ai 10 nodi), per una maggiore elasticità di movimenti per dirottamenti e manovre non essendo le rotte legate ai campi minati, per la minore prevedibilità della rotta effettivamente seguita, per non passare in fondali facilmente minabili e per la maggiore distanza dall’offesa degli aerosiluranti basati a Malta. Infatti, nell’estate del 1941 erano cominciati ad entrare in servizio a Malta aerosiluranti Swordfish con raggio d’azione incrementato da 100 fino a 160 miglia dalla base. Successivamente, nel dicembre del 1941, sarebbero entrati in azione i Blenheim che avevano più di 300 miglia di raggio d’azione, infine i Beaufort (agosto 1942) sarebbero stati in grado di operare ad oltre 400 miglia dall’aeroporto di partenza.

Figura 1: Malta e le rotte del traffico italiano per la Libia.

(da A. Petacco “Le battaglie navali del Mediterraneo nella seconda guerra mondiale” – Mondadori 1976)

 

3. I mezzi navali

Il 10 giugno del 1940 la Regia Marina disponeva di una flotta che per dislocamento complessivo occupava il quinto posto tra quelle mondiali. Con caratteristiche specificatamente di scorta ai convogli possedeva però solo quattro avvisi scorta (nota 1) della classe “Orsa” e il cacciasommergibili sperimentale Albatros. Questa situazione era la conseguenza degli orientamenti dell’ammiraglio Cavagnari, Sottosegretario dall’8/11/33 e Capo di Stato Maggiore della Marina dall’1/6/1934, che durante il suo mandato ai vertici della Forza Armata aveva privilegiato la costruzione di unità “da battaglia”. Egli infatti era assertore del principio che solo la battaglia navale era risolutiva nella guerra sul mare.

Inoltre, poiché le tre Forze Armate erano imbrigliate nelle gabbie concettuali di tre guerre distinte ed ancorate al principio del valore decisivo della guerra nel rispettivo elemento, non esisteva né un’aviazione navale né una specifica preparazione dell’Aeronautica ad operare sul mare in collaborazione con le unità navali.

Prima della guerra Cavagnari aveva ipotizzato che all’eventuale scorta dei convogli potevano essere destinate solo le navi più antiquate. Nel dopoguerra, aveva sostenuto che la guerra dei convogli non era stata né l’epicentro della guerra del Mediterraneo né il compito principale della Marina ma, aveva rappresentato solo un “ingente gravame, tanto deprecato fin da lontani tempi”, quasi inaspettato, non gradito che addirittura avrebbe dovuto e potuto essere evitato (biblio 10).

A guerra iniziata, a causa della mancanza di specifiche unità, per la scorta dei convogli più importanti era stato quindi giocoforza ricorrere ai cacciatorpediniere delle classi più anziane quali i “Sella”, i “Turbine”, i “Freccia”, i “Navigatori”, in quanto non più idonei al servizio di Squadra. Tutti erano però caratterizzati da scarso armamento antiaereo e antisommergibile che sarebbe stato gradualmente sostituito e migliorato. La scorta degli altri convogli e la caccia vera e propria alle unità subacquee nemiche era stata affidata alle torpediniere (nota 1) che non erano però particolarmente adatte al compito assegnato per autonomia, qualità nautiche e manovrabilità.

Dal dicembre 1940, il nuovo responsabile della Marina, l’ammiraglio Riccardi avrebbe impostato la futura politica costruttiva della Regia Marina su basi decisamente diverse rispetto al passato. Molto più fiducioso rispetto al suo predecessore circa le capacità tecniche ed industriali dei cantieri italiani, avrebbe assegnato la priorità del suo mandato alla difesa del traffico, mirando di conseguenza a realizzare un programma d’emergenza centrato sulle unità di scorta, un tipo di nave pressoché ignorato nei precedenti vent’anni. Rispondeva a questo programma l’impostazione delle sedici torpediniere di scorta classe “Aliseo”, delle sessanta vedette antisommergibile (V.A.S.) e di un numero analogo di corvette della classe “Gabbiano”. Queste ultime si sarebbero dimostrate ottime unità. Oltre ai motori a combustione interna per la marcia normale erano dotate di due motori elettrici per la marcia silenziosa. Questo consentiva durante la prima fase della caccia al sommergibile immerso, di eseguire la ricerca idrofonica ed ecogoniometrica in condizioni migliori per la quasi totale assenza di vibrazioni e di sorgenti rumorose. Rendeva inoltre più facile avvicinarsi all’obbiettivo senza essere scoperti.

Sarebbero entrate in servizio fino all’armistizio, dal marzo 1942 51 V.A.S. di due differenti tipi, mentre dall’ottobre successivo 29 corvette.

Anche le unità maggiori della Regia Marina avevano partecipato alle “battaglie dei convogli”, come scorta indiretta ai maggiori convogli. Su 50 missioni belliche effettuate dalle corazzate e su 422 missioni belliche degli incrociatori le missioni di protezione al traffico erano state rispettivamente 14 (28%) e 150 (35,5%). Gli incrociatori in 22 missioni (5,2%) erano stati anche vettori per il trasporto di materiali.

 

Cacciatorpediniere

Torpediniere

Classe

anno

Classe

anno

Mirabello

2

1916

Audace

1

1916

Leone *

3

1924

Pilo

7

1915

Sella

2

1927

Sirtori **

4

1917

Sauro *

4

1926

La Masa

7

1917

Turbine

8

1927

Palestro

4

1921

Navigatori

12

1931

Generali

6

1921

Freccia

4

1931

Curtatone

4

1923

Folgore

4

1932

Spica

30

35-38

Maestrale

4

1934

Orsa (di scorta)

4

1938

Oriani

4

1937

 

 

 

Soldati

12

1939

 

 

 

TOTALI

59

 

 

67

 

                                                * unità dislocate a  Massaua in Mar Rosso

                                                ** due unità dislocate a  Massaua in Mar Rosso

                                                N.B.: l’anno si riferisce a quello di completamento dell’unità.

 

Tabella 1: cacciatorpediniere e torpediniere della Regia Marina all’inizio delle ostilità.

 

Durante la guerra le siluranti avevano svolto una intensa attività subendo sensibili perdite. Nella riunione con Mussolini del 29 gennaio 1943, quando la seconda battaglia dei convogli era appena terminata, l’ammiraglio Riccardi aveva dichiarato per i cacciatorpediniere le seguenti cifre: esistenza (nel 1940) 59, perduti 33, costruiti 8, perdita del 56%; per le torpediniere: esistenza (nel 1940) 55, perdute 27, costruite 17, perdita del 50% (biblio 5).

Le percentuali delle perdite riferite da Riccardi erano calcolate sulle siluranti in servizio all’inizio del conflitto e non rispetto al totale entrato in servizio al 29 gennaio, comprensivo di quelle costruite fino ad allora (tra le quali erano incluse le prede belliche) e, comunque, comprendevano anche le unità perse in Mar Rosso. Invece, l’Audace e le 11 unità delle classi “Pilo” e “Sirtori” non erano comprese tra quelle esistenti perché non utilizzabili per la scorta d’altura a causa della loro obsolescenza.

Le cifre dell’Ufficio Storico della Marina riferite all’intera guerra in tutti i teatri e su tutte le rotte, e quindi non solo verso l’Africa Settentrionale, danno come perdite 45 cacciatorpediniere (comprendendo anche il secondo affondamento sia del Lampo sia del Pancaldo, le 7 unità del Mar Rosso e il Lubiana ex-jugoslavo) e 44 torpediniere (comprendendo 2 siluranti di quelle escluse dal computo di Riccardi perché obsolete, 2 del Mar Rosso e 3 ex-francesi cedute ai tedeschi) a fronte di rispettivamente 5 e 16 nuove costruzioni (biblio 21 e biblio 22 pag. 130). Queste precisazioni possono sembrare eccessive ma spiegano le frequenti discrasie che si verificano tra i dati forniti dai diversi autori, pur basati sulle stesse fonti. L’aggregare o disaggregare gli stessi dati originali, secondo specifici criteri, facendo emergere un particolare piuttosto che un altro, può comportare una diversa interpretazione più o meno corretta o condivisibile degli avvenimenti.

 

4. I mezzi aerei

La Regia Marina non possedeva velivoli offensivi. In base alla Legge n. 98 del 6 gennaio 1931 sul nuovo ordinamento della Regia Aeronautica (costituita come Forza Armata nel 1923) tutti i reparti aerei, compresi quelli cooperanti con le altre Forze Armate, erano stati unificati nella Regia Aeronautica. Rispetto al precedente ordinamento del 1925 i compiti dell’aviazione “per” la Regia Marina erano stati limitati alla sola ricognizione ed erano stati abrogati i compiti di protezione del traffico marittimo e di difesa della coste metropolitane e coloniali. I piloti provenivano dai quadri della Regia Aeronautica mentre gli osservatori erano ufficiali di Marina. Gli aerei cioè appartenevano all’Aeronautica ma dipendevano operativamente dalla Marina.

Tale normativa era stata riconfermata con il successivo ordinamento (Regio Decreto Legge del 22 febbraio 1937 n. 220 convertito nella legge n. 1501 del 22 giugno 1937).

Nel giugno del 1940 l’aviazione per la Regia Marina era suddivisa in una componente da ricognizione marittima ed in una componente imbarcata. Alla ricognizione marittima erano assegnati 237 idrovolanti: 202 Cant Z.501 (più 5 in A.O.I.) e 30 Cant Z.506, questi ultimi appartenenti agli ormai anacronistici stormi da bombardamento marittimo in via di riconversione. Il Cant Z.501 “Gabbiano” era un monomotore a scafo centrale dalla notevole autonomia ma lento, scarsamente armato e poco adatto al mare grosso. Il Cant Z.506 “Airone” era invece un trimotore a due scarponi che superava le limitazioni del Cant Z.501, in particolar modo per la sensibile capacità di carico. All’aviazione ausiliaria però, malgrado le crescenti necessità di lotta ai sommergibili, sarebbe stato assegnato solo il ruolo di sorveglianza e non quello offensivo. Una volta segnalata la presenza di sommergibili nemici, con fumate o tiro delle armi, per mancanza di apparati per il collegamento in fonia, l’attacco era demandato alle unità navali di superficie. Per tale motivo nessun sommergibile Alleato sarebbe stato perso per azione aerea (malgrado il 70% delle missioni avesse avuto finalità antisom), e questa condotta operativa avrebbe contribuito al successo dei battelli avversari responsabili del 56% del tonnellaggio dell’Asse affondato in navigazione (esclusi autoaffondamenti e cause accidentali) dagli Alleati (biblio 32).

La componente imbarcata era invece costituita da 105 biplani Ro.43, di cui 44 in carico alle unità da guerra maggiori (due o tre per ciascuna), ad eccezione delle corazzate rimodernate. I Ro.43 erano dei piccoli idroricognitori (a scarpone centrale e galleggianti sub-alari) catapultabili da bordo delle navi, anche ferme, ma non recuperabili dalle stesse dopo il lancio.

Esisteva una sola nave, il Miraglia, in grado di trasportare idrovolanti (diciassette), di lanciarli a mezzo catapulte, e di recuperarli con apposite gru. Le sue limitate prestazioni operative ne impedivano, però, l’impiego con la squadra da battaglia.

I mezzi aerei destinati all’offesa erano invece in organico all’Aeronautica che solo tardivamente aveva iniziato a convertire in specialità più adeguate ad operare contro le navi quella del bombardamento marittimo. Al momento dell’entrata in guerra la Regia Aeronautica possedeva un solo apparecchio siluratore sperimentale (il trimotore terrestre S.M. 79 che sarebbe diventato il velivolo caratteristico della nuova specialità). Al Reparto Speciale Aerosiluranti costituitosi a fine luglio del 1940 (divenuto prima squadriglia sperimentale e denominata ufficialmente 278ª dal 10 febbraio 1941) ne sarebbero seguite altre 10 nel corso del 1941. Alla fine del 1942 vi erano nove gruppi aerosiluranti autonomi. Il rendimento operativo della specialità però si sarebbe rivelato paradossalmente inversamente proporzionale al crescere dei reparti. Il valore del rapporto tra tonnellaggio colpito (danneggiato e affondato) ed attaccanti era decresciuto fortemente dal 1940 al 1942. In particolare, i risultati conseguiti nel 1942 erano in valore assoluto dimezzati rispetto al 1941, pur in presenza di un numero quasi doppio di reparti operanti.

Per quanto riguarda il bombardamento a tuffo la Regia Aeronautica non sarebbe riuscita a mettere in linea un aereo nazionale dalle prestazioni soddisfacenti ricorrendo nel corso della guerra al tedesco Ju 87 Stuka.

 

5. Il contributo tedesco

Allinizio del 1941 i rovesci italiani in Grecia e in Libia avevano spinto i tedeschi ad inviare propri reparti in Mediterraneo per operare su tutti e tre i fronti: aereo, terrestre e marino. Da gennaio e fino a maggio, era stato schierato in Sicilia il X Fliegerkorps (X Corpo Aereo Tedesco), mentre da novembre era giunto sempre in Sicilia il II Fliegerkorps (II C.A.T.) che, pur con organici variabili, sarebbe rimasto fino al termine della guerra. Il contributo aereo tedesco si sarebbe concretizzato nell’attacco alle forze navali britanniche, alle basi navali di Alessandria e di Malta, al traffico marittimo e al canale di Suez mediante la posa di mine.

Sul fronte terrestre l’Afrika Korps era stato schierato in Libia da febbraio mentre dalla fine di settembre anche una componente navale tedesca, soprattutto sottomarina, era stata dislocata in Mediterraneo. Fino all’armistizio italiano avrebbero raggiunto il teatro mediterraneo 49 U-boote: 4 in settembre, 2 in ottobre, 9 in novembre e 11 in dicembre. In seguito, tra il gennaio del 1942 e l’agosto 1943, sarebbero entrati in Mediterraneo altri 23 U-boote. Complessivamente fino all’8 settembre 1943 sarebbero andati perduti 38 U-boote tra quelli operativi nel Mediterraneo. Diversi altri battelli avevano fallito il superamento dello stretto di Gibilterra: alcuni perché affondati nel tentativo, altri perché danneggiati e costretti quindi a tornare indietro.

Modesto era stato invece il contributo delle unità di superficie. Prima dell’armistizio italiano, le unità da guerra di superficie che in Mediterraneo avevano battuto la bandiera navale tedesca si erano limitate a un caccia ex greco (Vassilefs Georgios, denominato dai tedeschi Hermes), tre ex torpediniere francesi (Bombarde, La Pomone e L’Iphigenie) cedute nell’aprile del 1943 dalla Regia Marina, qualche cacciasommergibili (in genere ex pescherecci trasformati), poche navi ausiliarie, alcune squadriglie di motosiluranti (Schnellboote) e di motodragamine (Raumboote), un buon numero di motozattere da sbarco (Marinefahrprahme) e di pontoni semoventi (Farhen-Ferries, tra i quali i Siebel-Farhen) e infine, alcuni trasporti militari armati del tipo “Kriegstransport”, meglio conosciuti come “KT”, montati in cantieri italiani.

Aerei e sommergibili tedeschi avevano ottenuto cospicui risultati ai danni del nemico. In particolare i risultati conseguiti dai sommergibili tedeschi in Mediterraneo erano stati superiori a quelli ottenuti nello stesso teatro bellico dai battelli italiani e pur operando in un arco temporale più breve (dal 09/1941) e in numero minore, avevano affondato oltretutto le maggiori unità da guerra nemiche (corazzata Barham e portaerei Eagle e Ark Royal).

La metà circa di tutte le navi militari e mercantili Alleate complessivamente affondate in Mediterraneo dall’Asse sarebbe stato ottenuto ad opera dei bombardieri della Luftwaffe. L’aeronautica tedesca non credeva nell’uso del siluro contro le navi da guerra, ma solo contro le navi mercantili. Per tutto il 1941 l’aviazione tedesca aveva operato nel Mediterraneo con una sola squadriglia di aerosiluranti e per il resto della guerra con un numero di aerosiluranti molto inferiore rispetto a quello dei bombardieri.

 


 

navi militari affondate

navi mercantili affondate

ad opera di sommergibili

ad opera di aerosiluranti

ad opera di bombardieri

ad opera di sommergibili

ad opera di aerosiluranti

ad opera di bombardieri

successi Italiani

unità

10

8

21

15

15

12

% di tonn.

4,9

3,4

3,1

2,8

5,5

2,8

successi tedeschi

unità

37

1

122

95

12

177

% di tonn.

30,8

0,2

36,6

23,6

5,4

47,5

Totale navi militari affondate: 266 (63 da italiani e 203 da tedeschi, per un totale di 472.866 tonnellate)

Totale mercantili affondati: 362 (68 da italiani e 294 da tedeschi, per un totale di 1.402.442 tonnellate)

 

Tabella 2: naviglio Alleato perduto in Mediterraneo dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943.

Elaborazione dei dati da A. Santoni, F. Mattesini “La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo” - Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri” 1980.

 

6. La prima battaglia dei convogli 

Dal principio della guerra fino a tutto marzo 1941 le perdite di navi mercantili italiane nel Mediterraneo centrale erano state talmente esigue da non incidere praticamente affatto sul volume dei traffici di rifornimento verso la Libia.

In circa dieci mesi di guerra era stato trasportato in Libia tutto ciò che era stato voluto, compresa l’intera Afrika Korps. Il limite ai quantitativi di uomini e materiali trasportati era stato dovuto non al contrasto nemico, limitato e ben contenuto, ma alle difficoltà talvolta incontrate nell’accentramento nei porti di partenza degli uomini e dei materiali, alla insufficiente ricettività dei porti libici e al fatto che fino ai primi mesi del 1941 l’attività bellica in Libia non aveva ancora avuto gli sviluppi operativi che avrebbe avuto in seguito.

La difficile situazione in cui si erano trovate alla fine del 1940 le Forze Armate italiane in Africa, in Grecia e sul mare aveva richiesto l’aiuto dei tedeschi, attuatosi con l’arrivo dell’Afrika Korps e del X Corpo Aereo tedesco. Quest’ultimo avrebbe contrastato efficacemente la supremazia acquisita dalla Royal Navy con i successi ottenuti a Taranto (novembre 1940) e a Matapan (marzo 1941).

Dopo la controffensiva (marzo-aprile) italo-tedesca sino al passo di Halfaya, sul confine libico-egiziano, le operazioni dell’Asse in Mediterraneo avevano conosciuto un periodo di stasi, per il distoglimento verso i Balcani e verso l’URSS degli interessi e delle forze tedesche.

Invece, l’aumento dei traffici italiani e la pericolosità manifestata dall’Afrika Korps avevano spinto i britannici a rinforzare la componente aero-navale di Malta per contrastare più efficacemente i rifornimenti alla Libia. Malgrado ciò le perdite italiane di naviglio mercantile non avevano raggiunto punte rilevanti, anche se si registravano gravi insuccessi, come la distruzione nel Canale di Sicilia, nella notte sul 16 aprile, del convoglio “Tarigo”, composto da cinque trasporti e da tre cacciatorpediniere di scorta. I danni limitati erano anche dovuti alle gravi perdite accusate a fine maggio dalla Mediterranean Fleet, durante le drammatiche giornate dell’evacuazione di Creta. Sarebbero rimaste indenni solo due corazzate e tre incrociatori. Il siluramento della Formidable, in particolare, avrebbe privato di portaerei la squadra di Alessandria fino all’armistizio italiano. Anche i destroyer (nota 2), dislocati a Malta da aprile, sarebbero stati duramente falcidiati nelle acque di Creta e le unità scampate non sarebbero più ritornate sull’isola.

Nel periodo giugno-dicembre 1941 il rafforzamento dei britannici nel Mediterraneo non aveva però avuto rallentamenti. Malta era stata opportunamente rinforzata sia con i convogli, provenienti solo da Gibilterra, di fine luglio (operazione “Substance”) e di settembre (operazione “Halberd”), non contrastati dalla Regia Marina, sia dagli intensificati lanci di aerei da caccia dalle portaerei (4 aviolanci a giugno e 2 a settembre), sia dai sommergibili che nel periodo avrebbero compiuto sedici approdi nei porti dell’isola.

Tutto il Tirreno, fino a settentrione della Corsica, lo Ionio ed il golfo della Sirte e quasi metà dell’Egeo erano nel raggio d’azione dei bombardieri basati a Malta, mentre gli aerosiluranti decollati da quell’isola arrivavano fino a Tripoli, al canale di Sicilia ed al settore meridionale del Tirreno. Gli aerosiluranti britannici erano ormai dotati di apparati radar che consentivano loro di scoprire i convogli e le navi nemiche a qualunque ora della notte o con nebbia fitta. Alcuni Wellington inoltre erano stati armati di radar da 30 miglia di portata (fascia esplorata di 60 miglia) ed avevano emettitori speciali che consentivano agli aerosiluranti di dirigersi su di loro appena avessero scoperto qualche obiettivo sulla superficie del mare.

Grazie all’accresciuto livello delle difese dell’isola di Malta, che in autunno poteva contare su un sistema contraerei particolarmente temibile con altri tre radar in aggiunta a quello esistente dall’inizio della guerra, da ottobre l’ammiragliato britannico aveva ricostituito a La Valletta una nuova formazione navale, denominata “Forza K”, composta ancora di unità di superficie, tutte provviste di radar. Tale formazione navale si rendeva disponibile grazie alla cooperazione fornita alla Royal Navy nel Nord Atlantico dalla “neutrale” marina statunitense.

In questo scenario, nel secondo semestre del 1941, si era sviluppata la cosiddetta “prima battaglia dei convogli” le cui vicende avrebbero quasi interrotto i rifornimenti dell’Asse per la Libia. Questo periodo era stato caratterizzato da una serie di piccoli scontri aeronavali ed era culminato in un trimestre (settembre-novembre), in cui la marina mercantile italiana aveva registrato la più alta percentuale di perdite di tutta l’intera guerra. Proprio a novembre si scatenava l’offensiva di Auchinleck, dopo due precedenti fallimenti, con la riconquista da parte dei britannici, in soli due mesi, di tutta la Cirenaica (op. Crusader).

Le perdite al naviglio mercantile e militare italiano erano state dovute soprattutto ai reparti aeronavali di Malta. Avevano causato, in particolare, sia la perdita delle grandi motonavi passeggeri adibite a trasporto truppe Esperia (agosto), Oceania e Neptunia (settembre), sia la distruzione dei convogli “Duisburg” e “Maritza” (novembre), contribuendo all’affondamento degli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano carichi di fusti di benzina (dicembre). Il caso di questi incrociatori leggeri è rappresentativo di una situazione di grande necessità che aveva indotto la marina italiana a rischiare navi da guerra in compiti impropri, per l’impellenza di far giungere in Libia i necessari rifornimenti.

A queste azioni offensive britanniche aveva fatto riscontro la passività della Regia Marina che aveva continuato a manifestare un atteggiamento rinunciatario anche nelle situazioni più favorevoli e una deficienza di perspicacia e di intuizione nella condotta delle azioni navali.

 

 

uomini

comb.

liquidi

(tonnellate)

materiali

autom.

(tonnellate)

armi e munizioni

(tonnellate)

altri materiali

(tonnellate)

partiti

68.930

160.867

44.928

36.092

330.249

arrivati

60.095

112.651

35.709

30.351

263.767

%

87

70

79

84

80

Tabella 3: trasporti dall’Italia alla Libia nel periodo giugno-novembre 1941

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)

7. La seconda battaglia dei convogli 

All’inizio del 1942 la situazione nel Mediterraneo si presentava per l’Asse particolarmente propizia benché il diretto intervento in guerra degli U.S.A., a seguito del proditorio attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941), ponesse, in prospettiva, inquietanti interrogativi. La Mediterranean Fleet, che già non disponeva più di portaerei, era ora rimasta priva anche di corazzate, per le perdite accusate negli ultimi mesi del 1941 e, tenuto conto delle esigenze sugli altri mari, non aveva potuto ricevere i rinforzi necessari, riducendosi così alla più completa impotenza. Era accaduto, infatti, che la “Forza K” incappasse su uno sbarramento di mine, a margine delle operazioni che avevano portato al cosiddetto “primo scontro del golfo della Sirte” (17 dicembre). Inoltre, l’attacco subito in porto, 19 dicembre 1941 ad Alessandria, ad opera di tre mezzi d’assalto italiani (siluri a lenta corsa o S.L.C., chiamati “maiali”), aveva privato la Mediterranean Fleet di entrambe le corazzate (la Queen Elizabeth e la Valiant) allora disponibili, dopo che l’altra (la Barham) era stata affondata il mese precedente da un sommergibile tedesco in mare aperto.

Pertanto, la Regia Marina, inizialmente in maniera inconsapevole, aveva conseguito il controllo virtuale del Mediterraneo centro-orientale con ovvie e proficue ripercussioni sui trasporti marittimi e sulle operazioni in Africa Settentrionale: Rommel con due successive offensive (gennaio-febbraio e maggio-luglio) sarebbe arrivato alle porte di Alessandria minacciando il Medio Oriente, cuore dell’Impero britannico, e ponendo in serio pericolo di imbottigliamento l’ormai annichilita Mediterranean Fleet.

La reazione dei britannici non poteva perciò farsi attendere. Tra le due grandi operazioni navali per il rifornimento di Malta, di giugno (“Harpoon”) e di agosto (“Pedestal”), i britannici erano passati all’offensiva contro le linee marittime di comunicazione dell’Asse con la Libia.

L’allungamento delle vie di rifornimento, marittime e terrestri, esponeva più facilmente i convogli dell’Asse alle offese avversarie, che non potevano più essere condotte con le navi di superficie, ed erano sostenute dai sommergibili e soprattutto dall’aviazione. I sommergibili britannici erano però costretti ad operare dalla lontana Haifa e solo da fine luglio anche da Malta. Così mentre aerei, commandos e gruppi autocarrati offendevano la lunga strada delle retrovie libiche, agli inizi dell’estate si accendeva in Mediterraneo la “seconda battaglia dei convogli” (luglio-novembre 1942). La schiacciante superiorità aerea degli Alleati ostacolava efficacemente il traffico marittimo dell’Asse con la Libia. L’autonomia (2.750 km) dei grandi bombardieri statunitensi Liberator era più che esuberante per il Mediterraneo e gli aerosiluranti Bristol-Beaufort, da poco giunti a Malta, avevano un raggio d’azione di quasi 400 miglia.

Nel secondo semestre del 1942 gli affondamenti in Mediterraneo, in porto e in navigazione, delle navi mercantili dell’Asse si erano triplicati rispetto al semestre precedente. Il 90% circa dei successi era da ascrivere, in pari percentuale, a sommergibili ed aerei. Le petroliere avevano costituito la preda preferita, incidendo sensibilmente sugli approvvigionamenti di combustibili liquidi per l’Africa Settentrionale. Tra luglio e novembre era giunto a destinazione circa il 65% dei già esigui combustibili partiti, rispetto al 97% circa del semestre precedente. L’insufficienza dei rifornimenti era, infatti, solo in parte da imputarsi agli affondamenti, su di essa incideva anche la scarsità delle risorse disponibili (vettori e materiali) per l’invio in Libia e la limitata ricettività dei porti di sbarco.

 

 

uomini

comb.

liquidi

(tonnellate)

materiali

autom.

(tonnellate)

armi e munizioni

(tonnellate)

altri materiali

(tonnellate)

partiti

9.261

171.153

46.673

44.471

179.799

arrivati

7.851

111.501

34.608

37.708

147.289

%

85

65

75

85

82

Tabella 4: trasporti dall’Italia alla Libia nel periodo luglio-novembre 1942

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)

8. La terza battaglia dei convogli

Dall’11 novembre 1942 iniziava una nuova battaglia dei convogli, combattuta per il rifornimento della Tunisia, che era stata occupata dall’Asse in seguito agli sbarchi degli Alleati in Marocco ed Algeria dell’8 novembre. Nei primi mesi la “terza battaglia dei convogli” (novembre 1942 - maggio 1943) si sarebbe svolta contemporaneamente a quella sempre più circoscritta per il rifornimento della Libia. Settantatre giorni di sovrapposizione: dal 12 novembre, con l’arrivo a Biserta del primo convoglio, fino alla caduta di Tripoli, il 23 gennaio 1943. In seguito allo sfondamento dell’VIII Armata britannica a el Alamein, il 4 novembre, il fronte africano sarebbe indietreggiato, in tre mesi, di 2.500 chilometri verso occidente. Dalla fine di novembre solo il porto libico di Tripoli sarebbe rimasto nelle mani dell’Asse.

Le differenze tra la terza e la seconda battaglia dei convogli non risiedevano però solamente nei porti di destinazione dei rifornimenti (Tunisi e Biserta anziché Tripoli), ma soprattutto nello scenario in cui si combattevano.

La schiacciante superiorità aerea conseguita in concomitanza con l’avanzata in Africa del Nord aveva condotto inevitabilmente gli Alleati alla totale supremazia aeronavale, di cui naturalmente risentivano i traffici marittimi italiani, costretti ad alimentare un esercito ormai in disperata lotta di contenimento. In questo contesto Malta aveva assunto un ruolo determinante.

Malta il 20 novembre del 1942 era stata nuovamente raggiunta via mare da un convoglio di quattro mercantili partiti da Alessandria (operazione “Stoneage”). L’ultimo convoglio, per altro falcidiato, era approdato sull’isola ad agosto. Da allora i pochi rifornimenti arrivati a Malta erano stati dovuti esclusivamente ad azioni isolate di sommergibili ed aerei. Invece, dal mese di novembre Malta aveva incrementato di molto la propria efficienza potendo finalmente contare sulla continuità dei rifornimenti. L’avanzamento del fronte africano verso ovest aveva aperto infatti definitivamente le comunicazioni da Oriente.

L’isola era diventata la base di partenza per bombardieri ed aerosiluranti sempre più numerosi, cui si erano aggiunti quelli provenienti dalle basi egiziane e poi quelli dalle appena conquistate basi cirenaiche ed algerine. Nell’isola dal 27 novembre era stata nuovamente ricostituita la “Forza K” (incrociatori leggeri Cleopatra, Dido e Euryalus e quattro destroyer) e successivamente vi erano stati dislocati sommergibili e motosiluranti britannici ed americani. Nello stesso periodo, alcuni sommergibili avevano operato anche da basi algerine e nella base di Bona era stata creata una nuova formazione navale, denominata “Forza Q” (incrociatori leggeri Aurora, Sirius e Argonaut e due destroyer).

Invece, la Regia Marina combatteva la “terza battaglia dei convogli” esclusivamente con le unità minori di ogni tipo. Le navi maggiori, al comando delle quali dal 5 aprile sarebbe subentrato l’ammiraglio Carlo Bergamini al posto di Iachino, erano del tutto assenti perché la mancanza di nafta, l’allontanamento dalle basi meridionali e le caratteristiche del nuovo teatro bellico, ne avevano impedito quell’impiego a protezione del traffico che tanto spesso era stato effettuato in Mediterraneo centrale.

Perduta definitivamente la Libia (23 gennaio 1943), le ultime speranze di resistenza in Africa erano state concentrate in Tunisia. Le rotte marittime tra l’Italia e l’Africa erano ora ridotte (150 chilometri dalla Sicilia a Capo Bon per circa 10 ore di navigazione) e godevano di una maggiore distanza da Malta. Su questo “braccio di mare”, che separava i reparti del Regio Esercito in terra africana dalla madrepatria si sarebbero consumate, fino al crollo definitivo in Africa (13 maggio 1943), le ultime ed esigue risorse della marina mercantile italiana e delle sempre più assottigliate e logore navi di scorta; per tale ragione sarebbe stato chiamato “rotta della morte”.

I convogli per la Tunisia, in partenza da porti obbligati (Napoli o Livorno), dovevano percorrere rotte obbligate fra i campi minati, per alcuni tratti attraverso varchi molto stretti. Ciò aumentava fortemente, malgrado la navigazione avvenisse di notte, le possibilità dell’offesa avversaria che si sviluppava con mezzi ingenti e molteplici. A nord del Canale di Sicilia, operavano gli aerosiluranti, a ovest della Sicilia, gli incrociatori dotati di radar e, presso Capo Bon e a nord di Biserta, le motosiluranti. I sommergibili agivano, invece, presso i porti di partenza e sulle rotte d’altura. Ovunque incombevano le grandi formazioni di bombardieri. Nessuna nave poteva sfuggire all’una o all’altra offesa. L’insidia aerea si sarebbe dimostrata la più efficace. Il 67% delle perdite (affondamenti o danneggiamenti) di navi da guerra o di mercantili sarebbe stato causato da attacchi aerei, ai quali è anche da ascrivere la causa della maggior perdita di mercantili nei porti piuttosto che in navigazione.

Le difficoltà manifestate dalla Regia Marina nella protezione del traffico tunisino avevano acuito le incomprensioni con la marina tedesca. In primavera i tedeschi avevano finalmente ragione delle resistenze dell’alleato mediterraneo in materia di autonomia operativa. Per la specifica esperienza maturata nel Baltico, il viceammiraglio Ruge col suo Stato Maggiore veniva aggregato a Supermarina con responsabilità operative nell’organizzazione del traffico con la Tunisia. Ufficiali e marinai tedeschi sarebbero stati imbarcati su tutte le unità impiegate nel traffico tunisino e altri sarebbero stati assegnati ai comandi Marina di Napoli, Messina, Palermo, Trapani e Tunisi. Ufficiali tedeschi avrebbero assunto, alternativamente a quelli italiani, l’incarico di capo convoglio. Infine, tutte le navi reperibili e idonee per essere assegnate a compiti di scorta sarebbero state requisite, trasformate e prese in consegna dal personale tedesco. Si trattava di una grave capitolazione di fronte alla sempre meno controllabile arroganza dell’alleato, presagio di quanto di più grave sarebbe accaduto con l’armistizio.

 

 

uomini

comb.

liquidi

(tonnellate)

materiali

autom.

(tonnellate)

armi e munizioni

(tonnellate)

altri materiali

(tonnellate)

partiti

77.741

132.522

73.870

92.149

127.628

arrivati

72.246

94.472

59.440

62.806

89.814

%

93

71

80

68

70

Tabella 5: trasporti dall’Italia alla Tunisia nel periodo novembre1942-maggio1943

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)

9. Il contributo dell’Aeronautica alla protezione del traffico

“Quella della protezione aerea al traffico marittimo fu, unitamente all’altra degli aerotrasporti, una delle attività la cui importanza, la cui intensità, le cui difficoltà non erano state esattamente previste e valutate prima dell’inizio delle ostilità ed alla quale, pertanto, l’Aeronautica italiana non si trovò adeguatamente preparata, soprattutto per quanto riguardava il numero e le caratteristiche dei mezzi che per essa sarebbero stati indispensabili” (biblio 37). Queste considerazioni del generale Santoro, Sottocapo di S.M. della Regia Aeronautica durante tutto l’arco delle ostilità, richiamano alla mente quelle analoghe, precedentemente ricordate, formulate dall’ammiraglio Cavagnari riguardo la Regia Marina. Entrambe finivano per dare ragione alla definizione, attribuita a Mussolini, secondo la quale lo Stato Maggiore è “quell’organo che prepara le guerre di ieri per perdere la vittoria di domani” (biblio 27).

La protezione aerea ad un convoglio doveva opporsi a tre forme di attività del nemico: esplorazione aerea, bombardamento in quota e attacchi di aerosiluranti. Alle tre forme di contrasto si aggiungeva un altro compito della caccia di scorta, quello di segnalare eventuali attacchi di sommergibili.

I caccia di scorta potevano difficilmente opporsi all’azione dei ricognitori nemici che, di solito, agivano a debita distanza dal convoglio ed erano difficilmente avvistabili. Inoltre, l’intercettazione dei ricognitori avrebbe distolto parte della caccia dalla protezione delle navi.

Invece, per opporsi alle altre due forme di offesa, occorreva che il convoglio avesse due distinte formazione di caccia: una ad alta quota, contro i bombardieri, l’altra a bassa quota, contro gli aerosiluranti.

Nei confronti dei sommergibili la caccia era impotente potendo solo segnalare l’eventuale attacco.

La protezione dei convogli ad opera della caccia era pertanto non solo onerosa ma spesso anche soggetta ad errori. Era onerosa a causa dell’autonomia dei velivoli costretti ad operare solo nelle zone di mare più prossime alle coste nazionali e libiche. Per coprire infatti completamente la rotta di un convoglio era stato necessario avvicendare più pattuglie, composte di un numero variabile di aerei a seconda dell’importanza attribuita ad ogni singolo convoglio o nave isolata.

Difficoltà nella protezione del convoglio per mancato avvistamento nascevano invece da diverse cause: dalle cattive condizioni atmosferiche, dalla mancata, ritardata o anticipata e non tempestivamente segnalata partenza del convoglio stesso, da improvvise e non segnalate deviazioni di rotta delle navi, dalla diversa composizione del convoglio da quella originariamente indicata, che determinava incertezze nell’identificazione aerea. Al mancato o non tempestivo intervento aveva contribuito anche l’assenza di un’aviazione imbarcata, argomento tanto controverso e dibattuto prima e dopo la guerra. Infine, nelle ore notturne, dal crepuscolo serale al crepuscolo mattutino, la caccia non aveva potuto operare, per carenze di carattere tecnico e operativo. Questo intervallo temporale sarebbe stato invece preferito dal nemico col crescere delle disponibilità di radar e altre dotazioni.

Dall’11 giugno 1940 all’8 settembre 1943, la Regia Aeronautica aveva effettuato 206.346 voli bellici per complessive 525.000 ore. Nel medesimo periodo, la ricognizione marittima aveva effettuato 31.107 missioni (di cui il 70% antisom) per complessive 125.893 ore di volo. Inoltre, alla data del 10 giugno 1940 i velivoli in reparti operativi della Regia aeronautica erano 3.296 (ad esclusione di quelli in Africa Orientale), di cui 427 idrovolanti. Nel corso del conflitto l’industria aveva prodotto altri 9.288 aerei, di cui il 70% circa di prima linea, cioè 6.500 circa (673 idrovolanti). Complessivamente, quindi avevano operato 9.800 velivoli, solo 1.265 dei quali erano presenti alla data dell’armistizio. Comparativamente gli idrovolanti operativi erano stati 1.100, dei quali 235 erano presenti all’armistizio. Complessivamente l’idroaviazione con l’iniziale 13% circa della forza aerea combattente aveva assicurato il 24% di tutte le missioni della Regia Aeronautica (biblio 30).

Anche i reparti dell’Aeronautica avevano svolto missioni a protezione di unità navali in navigazione. Bombardieri, aerosiluranti e ricognitori strategici avevano svolto complessivamente 3.730 voli per scorta antisommergibile e 11.390 per esplorazioni e per ricognizioni mentre i caccia 33.930 voli per la scorta antiaerea e 2.120 per esplorazioni e per ricognizioni (biblio 37, pag. 436).

Confrontando i circa 37.000 voli di scorta aerea effettuati con tutti i tipi di velivoli e i circa 4.400 convogli navali da e per i porti italiani d’oltremare si ottiene una media di circa 8 velivoli per convoglio. Nel caso limite che tutti i voli di scorta aerea fossero andati a beneficio dei circa 1.250 convogli per l’Africa settentrionale si otterrebbe un rapporto di 30. Valori molto bassi. Infatti, considerando il traffico per la Libia e il caso più favorevole di un convoglio diretto a Tripoli per la rotta di ponente con la scorta di velivoli M.C. 200, sarebbero occorse “10 pattuglie, utilizzando soltanto Pantelleria e per 8 ore, e 13, utilizzando Pantelleria e Lampedusa e per 12 ore e mezza: con pattuglie di 6 velivoli ciascuna, 60 o 78 velivoli complessivi, rispettivamente” (biblio 37, pag. 441).

“Appare pertanto difficile attribuire alla copertura aerea con velivoli da caccia un ruolo decisivo nell’ambito della difesa del traffico italo-tedesco alla volta dell’Africa” (biblio 11).

10. I trasporti aerei

Gli aerotrasporti, che avrebbero dovuto avere carattere eccezionale e che invece avevano finito con l’assumere carattere di normalità e di continuità, sarebbero risultati fondamentali alle “battaglie dei convogli” specie per il trasporto di personale.

Allo scoppio delle ostilità quasi tutti gli aeromobili civili delle tre compagnie nazionali (Ala Littoria, LATI e ALI) erano stati militarizzati ed erano passati alle dipendenze del Comando Servizi Aerei Speciali (S.A.S.) appositamente costituito presso la Regia Aeronautica. I S.A.S. avevano due compiti, uno specificatamente civile per il mantenimento dei collegamenti nei cieli nazionali e dei paesi alleati e neutrali ed uno più propriamente militare per il trasporto truppe e materiali nell’Impero e negli altri possedimenti oltremare. Perciò i reparti S.A.S. erano stati divisi in due settori: i Nuclei di Comunicazione per i collegamenti di tipo commerciale e i Reparti Trasporto T per i collegamenti militari sui vari fronti. Le esigenze della guerra avrebbero reso solo formale questa differenziazione e ben presto anche i Nuclei di Comunicazione sarebbero stati impiegati in voli di guerra.

Erano stati costituiti tre Nuclei Comunicazione, uno per ogni compagnia aerea. La composizione iniziale al 10 giugno 1940 della flotta dei Nuclei di Comunicazione era eterogenea, come è riportato nella tabella seguente.

 

Nucleo

Ala Littoria

Nucleo

LATI

Nucleo

ALI

SM 75

DC 2

DC 3

SM 71

Fokker 7

Junkers 52

CANTZ 506 (idro)

SM 87 (idro)

SM 86

MC 94 (idro)

MC 100 (idro)

6

1

1

2

1

6

4

1

1

6

4

SM 83

SM 75

SM 82

 

13

2

2

 

Fiat G 12

Fiat G 18V

DC2

APR

SM 73

 

3

6

1

1

1

 

Tabella 7: composizione dei Nuclei Comunicazione all’inizio della guerra.

Dati elaborati da: Civoli M. “S.A.S. I Servizi Aerei Speciali della Regia Aeronautica 1940-1943” - Gribaudo 2000.

 

Invece, sempre alla data del 10 giugno 1940, i Reparti Trasporto T erano formati da 3 Gruppi e 4 Squadriglie autonome, la cui composizione è riportata nelle tabelle seguenti.

 

147° Gruppo T

148° Gruppo T

149° Gruppo T

SM 75

13

SM 73

13

SM 82

12

 

604° Sq.

610° Sq.

611° Sq.

615° Sq.

SM 75

6

SM 75

8

Ba 44

5

SM 83

8

Tabella 8: composizione dei Reparti Trasporto T all’inizio della guerra.

Dati elaborati da: Civoli M. “S.A.S. I Servizi Aerei Speciali della Regia Aeronautica 1940-1943” - Gribaudo 2000.


Questa embrionale composizione sarebbe cresciuta e sarebbe diventata di fatto nel corso della guerra (inizio 1942) una Grande Unità costituita da 4 Stormi Trasporti (44°, 45°, 18° e 48°), oltre ai 3 Nuclei Comunicazione. Le perdite subite ad opera del nemico e per incidenti sarebbero state ripianate continuamente, e gli iniziali problemi di tempestività ed efficacia delle operazioni collegate all’aerotrasporti quali la disponibilità dei carichi, carico e scarico dei materiali e la sistemazione logistica degli equipaggi sarebbero stati risolti da soddisfacenti provvedimenti tecnico-organizzativi, dimostrando l’importanza del ruolo dei S.A.S. nella valutazione dei comandi superiori della Regia Aeronautica.

Sulla attività dei S.A.S. manca e non è possibile ricostruire una documentazione statistica completa, precisa e sicura. Nei trentacinque mesi di guerra i S.A.S. avevano trasportato in Africa Settentrionale circa 20.000 tonnellate di merci, dal carburante, ai viveri, alla posta, ai siluri, alle armi e circa 240.000 uomini, comprese intere divisioni (Folgore, Pistoia, La Spezia).

Nel corso della campagna di Tunisia i S.A.S. erano stati affiancati nel trasporto aereo di uomini e materiali dai Transportgruppen tedeschi.
 

destinazione

periodo

uomini

Materiali (ton.)

Libia

11 giugno 40-gennaio 41

8.469

1.061

Libia

febbraio-dicembre 41

17.658

2.177

Libia

gennaio-dicembre1942

142.986

12.391

Tunisia (S.A.S.)

novembre 42-maggio 43

71.892

5.126

Totale S.A.S

241.005

20.755

Tunisia (Transportgruppen) *

novembre 42-maggio 43

40.000

14.000

Tabella 9: trasporti dei S.A.S e Transportgruppen per l’Africa Settentrionale.

Dati elaborati da: Santoro G. “L’Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale” - Vol. I e II - Edizioni Esse 1957.

* Dati elaborati da: Pedriali F. “Operazione Flax” Storia Militare febbraio 2004.

11. Il contributo del regio Esercito alla protezione del traffico

Il 5 luglio 1941 il Comando Supremo, vista la crescente minaccia dei sommergibili nemici specie nel Tirreno e constatata la situazione della ricognizione marittima falcidiata in un anno di operazioni, aveva consigliato di far concorrere la ricognizione terrestre (Osservazione Aerea) alla esplorazione, limitatamente alle rotte costiere. L’adesione di Esercitavia, l’Aviazione per il Regio Esercito, non poteva mancare, anche perché sul suolo metropolitano stazionavano inoperose varie squadriglie O.A. Il 18 luglio veniva concordata una vigilanza antisom fino a 10 miglia dalla costa con l’impiego dei bimotori Ca.311 (in quanto capaci di trasportare un carico bellico) e proponendo per gli osservatori la frequenza d’un breve corso ad hoc. S’instaurava così un’altra prassi che, al pari di tanti casi analoghi in altri settori dello sforzo bellico, sarebbe andata al di là delle iniziali limitazioni, tanto in durata quanto nell’impiego dei mezzi, protraendosi sino al termine delle ostilità e vedendovi impegnati anche i biplani Ro.37 ben oltre le 10 miglia dalla costa.

Il contributo dell’O.A. alle “battaglie dei convogli” sarebbe stato comunque trascurabile. Complessivamente l’Osservazione Aerea avrebbe accumulato 9.330 ore di volo per missioni belliche, tra il 10 giugno 1940 e il 30 aprile 1942 (biblio 37, pag.459).

12. I mezzi di contrasto britannico

Nella “battaglia dei convogli” mediterranei i britannici avevano impiegato massicciamente soprattutto sommergibili ed aerei provenienti non solo da Malta ma anche da Gibilterra, Creta, Alessandria, dal Medio Oriente e, in alcuni periodi, dalla Cirenaica.

Il Mediterraneo sarebbe stato il principale campo d’azione dell’arma subacquea della Royal Navy, basata ad Alessandria e a Malta con la perdita di 41 battelli, più tre greci e un degaullista. Il consolidamento di Malta nel dispositivo offensivo britannico avrebbe determinato, tra dicembre 1940 e gennaio 1941, il completo rinnovamento dell’iniziale distaccamento di sommergibili, con la sostituzione dei superstiti tre grandi della classe “T”, inviati a Gibilterra a costituire la nuova VIII flottiglia, con sei più piccoli della classe “U”. Successivamente dall’1 settembre 1941 sarebbe stata costituta sull’isola la nuova X flottiglia, non dipendente più dalla I di Alessandria.

La Royal Navy aveva impiegato unità navali di superficie, essenzialmente da Malta, solo per brevi periodi (aprile-maggio 1941, ottobre-dicembre 1941 e dal novembre 1942). Si era trattato però di poche unità navali leggere (cacciatorpediniere e incrociatori) che però, anche grazie alla fonte informativa Ultra, avevano conseguito cospicui risultati.

Il contributo, per quanto discontinuo, degli aerosiluranti imbarcati era terminato alla fine di maggio 1941, quando con il danneggiamento della Formidable tutta l’attività sarebbe ricaduta fino ad ottobre sull’unico reparto (squadron) dislocato a terra, a Malta. Successivamente avrebbero operato al massimo cinque squadron contemporaneamente tra Malta e l’Egitto (in confronto, a fine 1942 la Regia Aeronautica disponeva di 9 gruppi siluranti equivalenti agli squadron britannici).

Dall’autunno del 1942 i britannici avevano beneficiato del supporto strategico dell’aviazione degli Stati Uniti alla “guerra dei convogli” che aveva reso possibile l’allargamento dell’offensiva contro i rifornimenti dell’Asse sul fronte libico, includendo tra i possibili bersagli le principali basi di partenza dei convogli navali che facevano la spola tra la penisola e la “quarta sponda”. La 9ª Air Force dell’USAAF, dopo un primo ciclo di missioni sui porti della Libia (Bengasi e Tripoli), dal 4 dicembre 1942 aveva iniziato ad operare sul territorio italiano bombardando il porto di Napoli. Tale contributo si sarebbe concluso con la caduta della Tunisia il 13 maggio 1943.

Rispetto al totale del tonnellaggio mercantile dell’Asse affondato dagli Alleati (1.278 unità), i sommergibili erano stati (biblio 20) la prima causa dei successi (36,5%), seguiti (23%) dai bombardieri e (10,8%) dagli aerosiluranti (due terzi attribuibili ai velivoli dislocati a Malta).

La maggior parte degli affondamenti con bombe era invece avvenuto in porto (16,5%), e circa il 10% dal novembre del 1942, cioè dalla comparsa degli Americani nel Mediterraneo. Alle unità navali di superficie è invece attribuibile una percentuale molto bassa di affondamenti (5%).

Restringendo il campo ai soli affondamenti in navigazione, ai sommergibili spetta, come già ricordato, più della metà dei successi, mentre alle navi di superficie è attribuibile il 9,6% (esclusi autoaffondamenti e cause accidentali).
 


 

navi militari affondate

navi mercantili affondate

ad opera di sommergibili

ad opera di aerosiluranti

ad opera di bombardieri

ad opera di sommergibili

ad opera di aerosiluranti

ad opera di bombardieri

successi

Alleati

unità

44

9

128

325

61

396

% di tonn.

-

-

-

36,5

10,8

23,1

Tabella 10: naviglio italiano perduto in Mediterraneo dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943.

Elaborazione dei dati da “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale - Volume I “Dati statistici” - U.S.M.M. 1972, (pag. 214-226 e 230-239).

13. I convogli britannici

Nella valutazione complessiva della guerra del Mediterraneo, gli sforzi della Regia Marina a sostegno delle proprie linee di comunicazione non possono essere paragonati a quelli esigui sostenuti nello stesso teatro dalla Royal Navy. I convogli britannici infatti avevano potuto beneficiare anche delle rotte alternative transoceaniche, soprattutto per le comunicazioni con l’Egitto.

Fino ai primi di dicembre del 1942 il rifornimento di Malta era stato realizzato dai britannici attraverso solo sedici convogli. Lo sbarco in Marocco ed Algeria dell’8 novembre 1942 rappresenta lo spartiacque nella guerra mediterranea per l’arrivo delle forze statunitensi a supporto dei britannici.

Meno strategici sotto il profilo storico benché coronati da successo, possono essere considerati i complessivi 15 convogli bisettimanali (operazione “Lustre”) che dal 4 marzo al 24 aprile avevano permesso il trasporto dall’Egitto in Grecia dei reparti e degli equipaggiamenti britannici. Solo 7 dei 25 mercantili perduti (più un incrociatore) erano stati affondati in mare, i restanti invece erano stati affondati nei porti greci.

Infine, non meno importante era stato il contributo dell’eterogenea divisione navale (Force W, dal 5 gennaio del 1941 Inshore squadron), costituita in Africa settentrionale dai britannici dal settembre del 1940 come supporto all’Esercito dal mare, ma utilizzata anche per il trasporto di materiali urgenti fin sulle linee del fronte terrestre e la scorta di piccoli convogli costieri.

In occasione del primo assedio di Tobruch (dall’11 aprile al 9 dicembre 1941) i rifornimenti della piazzaforte (distante da Alessandria circa 300 miglia) per mezzo dell’Inshore squadron erano stati integrati da trasporti per l’avvicendamento dei reparti assediati composti prevalentemente da due posamine veloci e altrettanti cacciatorpediniere (quattro operazioni da settembre a novembre di circa dieci viaggi ciascuna). Complessivamente nel periodo dell’assedio erano andate perdute 27 unità da guerra o ausiliarie e 5 mercantili.

Durante il secondo assedio di Tobruch (dal 5 febbraio al 21 giugno 1942) il rifornimento della piazzaforte via mare da Alessandria era avvenuto attraverso 49 convogli nei due sensi (denominati AT e TA) ed aveva comportato la perdita di 6 navi da guerra o ausiliarie e di 9 mercantili.

 

14. Un bilancio della guerra aeronavale

Le “battaglie dei convogli” sono solo uno degli aspetti dell’intera guerra nel Mediterraneo. Non può essere compresa la portata delle “battaglie dei convogli” senza prendere in considerazione gli altri avvenimenti che contestualmente si erano svolti nell’area e che ne venivano condizionati e le condizionavano.

L’abbandono dell’Africa, il 13 maggio del 1943, aveva posto fine a quello che per 35 mesi era stato l’impegno principale della Regia Marina: sostenere l’esercito combattente in Africa Settentrionale. Gli Alleati ormai minacciavano direttamente la penisola ma la Regia Marina non sembrava poter e voler prendere iniziative, pertanto gli avvenimenti successivi sarebbero stati irrilevanti sotto il profilo aeronavale pur richiedendo ulteriori sacrifici. La guerra aeronavale, anche se formalmente sarebbe durata fino all’8 settembre, era perciò virtualmente conclusa.

Il rifornimento dell’Africa Settentrionale era stato più gravoso di quello del fronte greco-albanese, sia per la maggior vicinanza ai porti della madrepatria, sia perché la componente aerea nemica basata a Malta non poteva operare. Sul totale di 4.385 convogli organizzati nei due sensi durante l’intero conflitto, 3.116 erano stati destinati verso l’Albania, la Grecia e l’Egeo, portando a destinazione tutto o quasi.

L’obiettivo di garantire le proprie linee di rifornimento, impedendo quelle del nemico era stato il motivo dominante della guerra. La Royal Navy infatti si era trovata nell’analoga necessità di sostenere soprattutto il caposaldo maltese, diventato ben presto il cardine del dispositivo per annientare i rifornimenti italiani per l’Africa Settentrionale.

Tutte le azioni aeronavali italiane, tranne che in due circostanze (Capo Spada e Gaudo-Matapan, provocate da due iniziative di attacco alle comunicazioni britanniche tra la Grecia e l’Egitto), erano state la conclusione di iniziative tese ad ostacolare le intermittenti necessità britanniche di rifornire Malta, tuttavia non erano riuscite ad annientare la resistenza dell’isola.

L’analisi dei risultati conseguiti da ciascuno schieramento nel contrasto delle linee di rifornimento dell’avversario deve necessariamente far riferimento a tre periodi distinti, in relazione allo svolgersi degli avvenimenti. Fino all’8 settembre del 1943, per il calcolo delle perdite complessive subite, fino al maggio del 1943, per le comunicazioni italiane verso l’Africa Settentrionale, e fino al novembre del 1942, per quelle britanniche verso Malta.

Da un punto di vista quantitativo, fino all’8 settembre 1943, l’esito della guerra aeronavale in termini di perdite materiali accusate da entrambi gli schieramenti militari (affondamenti o danneggiamenti) sarebbe stato sostanzialmente pari Se il tonnellaggio perduto complessivamente dalla Royal Navy risulta largamente superiore a quello della Regia Marina, per la concorrenza di unità di maggior dislocamento, numericamente si è verificato il contrario. Tra l’altro, circa la metà del dislocamento perso in Mediterraneo dalla Royal Navy e, comunque, le navi maggiori affondate (Ark Royal, Barham e Eagle), erano state appannaggio delle forze aeronavali tedesche.

Dal punto di vista degli obiettivi conseguiti dagli italiani nella guerra aeronavale nel Mediterraneo l’analisi deve essere circoscritta agli avvenimenti legati alla difesa del traffico con l’Africa Settentrionale giacché la flotta da guerra italiana era stata impiegata quasi esclusivamente a questo scopo. Se per quanto riguarda la Regia Marina era mancato infatti l’uso strategico della flotta, non tanto come ricerca della battaglia, piuttosto come blocco delle comunicazioni avversarie e pressione sul fronte terrestre, per la Royal Navy non vi era stata questa limitazione. Le incursioni navali della Mediterranean fleet contro le basi costiere cirenaiche e perfino tripolitane, condotte anche con le unità maggiori, erano state numerose ed erano iniziate già nei primissimi giorni della guerra nel Mediterraneo, prendendo di mira non soli i porti e le installazioni costiere litoranee, ma anche le più importanti città costiere, fino a Tripoli.

Alle tre battaglie dei convogli, combattute per sostenere le linee di rifornimento italiane per l’Africa Settentrionale, si erano contrapposte operazioni britanniche meno frequenti ma non meno indispensabili, in alcuni casi effettuate contestualmente. Queste erano state sia i “Malta Convoys”, ossia i convogli britannici per il rifornimento della piazzaforte mediterranea, sia le venticinque missioni di aviolancio effettuate dalle portaerei britanniche per l’Egitto e per Malta (operazioni apparentemente secondarie in realtà fondamentali per la difesa dell’isola), sia gli sporadici convogli di rifornimento destinati all’VIII Armata britannica in Africa Settentrionale.

I convogli effettuati nei due sensi dagli italiani erano stati 993 per la Libia (fino a gennaio 1943) e 276 per la Tunisia (novembre 1942 - maggio 1943): numero di gran lunga superiore a quello dei convogli britannici. Mediamente ogni convoglio italiano era stato composto da due navi, rivelando un sistema di miniconvogliamento a cui si aggiungeva il sottocarico delle navi trasporto (mediamente fino al 50% della portata reale). Questo quasi costante sistema di traffico risultava solo parzialmente giustificabile dalle urgenze, dai modesti quantitativi di rifornimenti disponibili, dalla suddivisione del rischio su più bersagli e dalla scarsa ricettività dei porti di destinazione. Comunque, era in contraddizione con quanto previsto prima della guerra, quando si riteneva che i trasporti con la Libia in caso di guerra avrebbero richiesto grandi convogli a lunghi intervalli tra loro e scortati dal grosso delle forze navali.

I britannici erano ricorsi alla via mediterranea solo in condizioni di emergenza per rifornire soprattutto l’isola di Malta, disponendo in alternativa della via del Capo, più lunga ma più sicura, per rifornire l’Africa Settentrionale o della rotta aerea dall’approdo di Takoradi (in Costa d’Oro oggi Ghana). La prima non permetteva, però, di raggiungere con sicurezza Malta, per la facilità di intercettazione dei convogli da Oriente, da parte della squadra navale italiana dislocata a Taranto. La seconda sarebbe diventata pienamente operativa solamente nel 1941, risultando sempre più importante. Al momento dell’offensiva di Rommel nel 1942, l’Egitto sarebbe stato salvato anche grazie a questa rotta.

Figura 2: la rotta aerea di Takoradi

 

Fino ai primi di dicembre del 1942 il rifornimento di Malta, a parte lo sporadico ricorso ad isolate navi da guerra (posamine veloci classe Abdiel), sommergibili (51 missioni) o singoli mercantili isolati o comunque scortati, era stato realizzato dai britannici attraverso sedici convogli, spesso nell’ambito di complesse operazioni su più direttrici di rifornimento. Dall’11 dicembre 1942 altri convogli avrebbero raggiunto l’isola ma non si sarebbe trattato più di operazioni concepite e condotte esclusivamente per il rifornimento della piazzaforte: essi erano diretti a Bengasi o a Tripoli, oramai in mano britannica, e solo alcune delle navi erano destinate a Malta. Un numero quasi analogo di convogli di navi scariche aveva percorso il Mediterraneo in direzione inversa.

All’esiguità dei convogli britannici transitati attraverso il Mediterraneo in circa 27 mesi (dal settembre 1940 al dicembre 1942) fa riscontro l’elevato numero di questi giunti a destinazione senza perdite e talvolta senza contrasto. Solamente a fine settembre del 1941, durante l’Operazione Harberd, cioè in occasione del decimo “Malta Convoys”, i britannici avevano perduto la prima unità da carico sulle rotte per Malta. Successivamente, solo durante le operazioni del 1942 di metà giugno (operazione “Harpoon”) e di metà agosto (operazione “Pedestal”) avrebbero subito rilevanti perdite di unità da carico, rispettivamente 4 su 6 mercantili e 9 su 14.

Dalla figura 3 si evince l’oneroso andamento delle perdite di materiali subite dai convogli italiani per la Libia nel corso delle due battaglie dei convogli. Non altrettanto alte erano risultate, invece, le perdite nei convogli britannici. Se da un lato è plausibile considerare perdite commisurate alla alta densità di traffico italiano, dall’altra invece risulta incomprensibile che rari convogli britannici non abbiano risentito della potenziale concentrazione offensiva nemica.

 

Figura 3: Tonnellate di materiali, compresi i combustibili liquidi,  partiti e non giunti in Libia.

Le percentuali si riferiscono ai materiali non giunti rispetto a quelli partiti.

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)


 

Durata

(mesi)

Periodo

Tonnellate di materiali

arrivati a destinazione


 

12

Giugno 1940 - Maggio 1941


 

669.298

Prima

battaglia dei convogli


6


Giugno 1941 - Novembre 1941


442.478


 


 

7

Dicembre 1941 - Giugno 1942


 

480.780

Seconda battaglia dei convogli


5


Luglio 1942 - Novembre 1942


331.106


 


 

2

Dicembre 1942 - Gennaio 1943


 

6.303

Terza battaglia dei convogli


7


Novembre 1942 - Maggio 1943


306.532


 


 

TOTALI

1.080.116

1.156.381


2.236.497

Tabella 11: trasporti via mare dall’Italia in Africa Settentrionale.

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici).

 

Il fatto che la flotta fosse vincolata dalla difesa al traffico tra la madrepatria e i fronti d’oltremare, compito che si voleva assolto grazie alla semplice permanenza nei porti della squadra da battaglia, secondo la teoria della “fleet in being”, ha portato al paradosso della Regia Marina vincitrice nella sua unica battaglia. Il successo complessivo riportato nella battaglia dei convogli (l’85,9% di materiali e il 91,6% di uomini per la Libia e il 71% di materiali e il 93% di uomini per la Tunisia giunti rispetto ai partiti) ha, infatti, alimentato tale impropria interpretazione dei fatti rivolta essenzialmente alla rivalutazione della Forza Armata attraverso la svalutazione di quella flotta da battaglia sulla quale si addensavano le maggiori delusioni e polemiche da Lissa all’armistizio del 1943. Tale interpretazione costituirebbe pertanto solo “una vittoria statistica”. Vi erano stati, infatti, alcuni periodi cruciali nei quali i rifornimenti erano stati gravemente decurtati dall’offesa nemica, proprio in coincidenza con cicli operativi importanti sul fronte terrestre africano e, spesso, con l’efficace intervento delle forze aeronavali di Malta. Tali periodi si erano avuti in occasione dell’inizio delle offensive britanniche della fine del 1940 (quasi l’11% di carichi complessivi persi nel dicembre) della fine del 1941 (più del 62% di carichi complessivi persi nel mese di novembre, tra cui oltre il 90% dei combustibili) e della fine del 1942 (più del 44% dei carichi complessivi persi nell’ottobre, tra cui oltre il 52% di combustibili).

 

Figura 4: Le offensive in Africa Settentrionale. 

(A)

13 settembre 1940 - 16 settembre 1940:

offensiva di Graziani fino a Sidi el Barrani

(B)

8 dicembre 1940 - 9 febbraio 1941:

offensiva di Wavell e conquista di tutta la Cirenaica (op. Compass)

(C)

22 marzo 1941 - 29 aprile 1941:

offensiva di Rommel fino al confine egiziano

(D)

18 novembre 1941 - 12 gennaio 1942:

offensiva di Auchinleck e riconquista di tutta la Cirenaica (op. Crusader)

(E)

21 gennaio 1942 - 10 febbraio 1942:

offensiva di Rommel fino a Tobruch

(F)

26 maggio 1942 - 1 luglio 1942:

offensiva di Rommel fino a el Alamein

(G)

23 ottobre - 4 novembre 1942:

terza battaglia di el Alamein e sfondamento definitivo di Montgomery (op. Lightfoot).

 

La valutazione dei risultati inoltre non può essere limitata alla sola attraversata via mare dei rifornimenti ma deve estendersi su tutto l’arco di responsabilità. Le statistiche infatti sono riferite al naviglio mercantile giunto nei porti di arrivo e non tengono conto delle perdite per offesa area dei materiali in attesa di essere scaricati nei porti o giacenti sulle banchine. Nelle operazioni di scarico, lunghe e complesse per la limitata capacità dei porti di arrivo, la Marina aveva la sua parte di responsabilità nell’organizzazione e nella difesa antiarea dei porti e nelle operazioni di carico e di scarico delle navi, con propri organismi.

Paradossalmente se fosse vera la tesi della vittoria si dovrebbe concludere che a perdere la guerra sarebbero state esclusivamente le altre due Forze Armate e che la guerra marittima non avrebbe avuto alcuna influenza sull’andamento del conflitto nel Mediterraneo, dato che poi, nel 1943, gli Alleati erano riusciti a sbarcare in Sicilia e a costringere l’Italia alla resa. Viceversa il merito della presunta vittoria andrebbe condiviso sia con tutte le Forze Armate nazionali e tedesche, coinvolte nell’organizzazione e nella difesa dei traffici marittimi, sia con la Marina Mercantile. Relativamente a quest’ultima era andato perduto in Mediterraneo, dal 10 giugno del 1940 all’8 settembre del 1943, un patrimonio immenso, in quantità e qualità: 567 unità (460 con bandiera italiana) con una stazza unitaria superiore alle 500 t.s.l. a fronte di una consistenza iniziale di 786 unità nazionali (di cui 212 perse il primo giorno perché sorprese in porti non nazionali) e 56 tedesche. Le integrazioni ottenute durante il conflitto erano state pari a 210 unità con bandiera italiana e 124 tedesca. Proprio la consistenza delle perdite scredita ulteriormente la tesi della vittoria.

 

Mercantili in

Mediterraneo

Italiani

Tedeschi

TOTALI

al 10/6/1940

786-212

56

630

persi all’8/9/1943

- 460

- 107

- 567

integrazioni

+ 210

+124

+ 334

consistenza all’8/9/1943

324

73

397

Tabella 12: mercantili dell’Asse in Mediterraneo.

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici).

 

Sono passati circa sessant’anni dagli eventi, tutti i principali protagonisti sono ormai scomparsi, eppure gli storici e comunque gli appassionati della storia patria sono ancora divisi nel giudicare il comportamento delle forze aero-navali italiane, soprattutto in particolari momenti della guerra.

Il confronto dialettico tra l’interpretazione “istituzionale” della vittoria nella battaglia dei convogli, enunciata dal Cocchia, medaglia d’oro protagonista degli avvenimenti e poi Capo dell’USMM, e ripresa da altri storici, e quella “revisionista” di questi ultimi anni, si è esteso poi a tutti gli altri aspetti della guerra aeronavale, ritenuta dai più comunque insoddisfacente sotto il profilo militare. L’iniziale isolamento della Gran Bretagna, la posizione centrale della penisola italiana nel Mediterraneo, la ristrettezza del Canale di Sicilia, ed i non trascurabili mezzi aeronavali a disposizione dell’Italia, tutti concentrati nel teatro bellico a differenza dell’avversario, sono riportati come esempi di vantaggi non sfruttati opportunamente. L’impreparazione, la mancanza del radar e di portaerei, la teoria della “fleet in being”, la decrittazione dei messaggi segreti, la penuria di combustibili, ecc., sono invece invocati a giustificazione dei risultati. Molti interrogativi ancora aperti sul piano storico. Molte tessere da comporre per cercare di fare maggiore chiarezza nel mosaico della guerra italiana che ancora oggi suscita atteggiamenti contraddittori tra celebrazione del valore e del sacrificio dei soldati e compiacimento per la loro sconfitta, quest’ultima come condizione per la caduta del fascismo.

 

NOTE

1) I cacciatorpediniere, nati per combattere le torpediniere (da torpedine ossia siluro), finirono per assorbirne i compiti determinandone la scomparsa da quasi tutte le flotte. Nella marina italiana il termine torpediniera sarebbe rimasto, ma solo per indicare una sottoclasse di cacciatorpediniere.

In base ad una disposizione del 1929, le siluranti da mille a tremila tonnellate erano chiamate cacciatorpediniere, quelle di tonnellaggio inferiore erano denominate torpediniere. Nel 1938 le unità fino ad allora denominate “esploratori” furono declassate a cacciatorpediniere, mentre gli “avvisi” e alcuni vecchi cacciatorpediniere, di dislocamento superiore alle mille tonnellate, furono declassati a torpediniere.

2) Destroyer, contrazione di “torpedo boat destroyers”, è un termine inglese, in uso anche presso la marina francese, col quale venivano classificate le siluranti corrispondenti ai cacciatorpediniere italiani.

 

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