La
battaglia dei convogli
A cura di Enrico
Paradies
1. Introduzione
A
differenza di quanto si era verificato nella Grande
Guerra, quando il potere marittimo era stato
saldamente nelle mani dell’Intesa, nel secondo
conflitto mondiale, con la scelta politica
dell’alleanza continentale, all’Italia si era posto
il problema delle comunicazioni marittime.
Se
l’interruzione delle linee di traffico commerciale,
mediterranee e transoceaniche, poteva essere
compensata con l’aumento degli scambi terrestri con
i paesi d’oltralpe controllati dall’Asse, invece
sarebbero rimaste sempre obbligate le linee di
rifornimento militare con i vari teatri di
operazione che si sarebbero aperte nel corso della
guerra (Libia, Egeo, Tunisia). Tale scenario avrebbe
imposto un inedito confronto aeronavale tra la Regia
Marina e la Royal Navy.
Il
compito principale della Regia Marina era diventato
la protezione e il mantenimento delle comunicazioni
marittime “con andamento per meridiano”, cioè dai
porti nazionali a quelli libici, ed il contrasto dei
traffici di rifornimento avversari “con andamento
per parallelo”, lungo la direttrice
Gibilterra-Malta-Alessandria. Gibilterra e
Alessandria erano le serrature per l’accesso agli
oceani, Malta per le comunicazioni mediterranee.
Tutte le chiavi erano detenute dai britannici.
Ufficialmente conosciuta come “Difesa del Traffico”,
la “Battaglia dei Convogli” può essere definita come
l’insieme delle operazioni aero-navali che, dal
Giugno del 1940 al Settembre del 1943, aveva visto
confrontarsi nel Mediterraneo da una parte le unità
militari e mercantili italiane, impegnate a
rifornire di uomini e materiali i fronti d’oltremare
e dall’altra parte le forze navali britanniche,
prima, ed Alleate, poi, che a tali azioni si erano
opposte. I rifornimenti venivano assicurati con
l’impiego sia di navi militari, quando il trasporto
aveva particolare carattere di urgenza, sia di navi
mercantili; quest’ultime talvolta in forma isolata
ma, più spesso, in gruppi scortati, ossia in
“convoglio”.
Nel complesso si era trattato di un’attività
imponente che, per tutti i trentanove mesi del
conflitto, aveva visto organizzare da e per i porti
italiani d’oltremare oltre 4000 convogli, ben pochi
dei quali erano sfuggiti all’offesa dei mezzi navali
e aerei del nemico, soprattutto fra quelli diretti
in Africa Settentrionale. La locuzione “Battaglia
dei Convogli” è di solito riferita ai convogli
diretti o provenienti dall’Africa Settentrionale,
perché soprattutto su questa rotta si erano
registrati gli scontri più cruenti e le perdite
maggiori.
Per completare la trattazione almeno un cenno merita
il traffico di cabotaggio svolto lungo le coste
libiche, dai porti principali di sbarco ai terminali
costieri a ridosso delle retrovie della linea di
combattimento, e che aveva visto l’organizzazione di
756 convogli.
Sia per la ristrettezza del teatro operativo, sia
per l’unicità dello scopo, sia perché non aveva
avuto mai sosta, la “Difesa del Traffico” per il
rifornimento dell’Africa Settentrionale è
solitamente trattata come un’unica “Battaglia dei
Convogli”, articolata in cinque periodi, secondo un
approccio esclusivamente cronologico. Invece, in
funzione dell’effettivo contrasto sostenuto, si
individuano tre distinte “Battaglie dei Convogli”.
Questa seconda interpretazione consente una più
puntuale analisi dei risultati. Infatti la “Difesa
del Traffico” non aveva avuto uguale intensità
nell’arco dei 39 mesi di guerra. Fino alla primavera
del 1941 e nella prima metà del 1942 l’insidia
nemica era stata inesistente o modesta mentre negli
ultimi mesi di guerra era venuta meno la necessità
di rifornire il fronte africano.
La
storiografia ha sempre affrontato le “Battaglie dei
Convogli” circoscrivendole alle attività della sola
Regia Marina e focalizzando l’analisi solo al
tragitto via mare dei rifornimenti. Solo
recentemente si è iniziato ad ampliare tale analisi
in un’ottica interforze e considerando anche
l’apporto tedesco. Scorte, difesa antiarea dei
porti, afflusso, carico e scarico dei materiali nei
porti ecc., avevano coinvolto tutte e tre le Forze
Armate, anche se in mancanza di una specifica
organizzazione interforze. Il Regio Esercito, per
esempio, era coinvolto sia negli Uffici Imbarchi e
Sbarchi sia nelle Commissioni Allestimento e Imbarco
presenti nei principali porti, con sovrapposizioni
di poteri con la Regia Marina. Non può essere
inoltre trascurato il ruolo fondamentale del potere
aereo, che ha fatto delle “Battaglie dei Convogli”
una questione aeronavale e non solo navale. Tra
l’altro i convogli aerei avevano rappresentato,
specie durante la campagna di Tunisia,
un’alternativa indispensabile al trasporto degli
uomini piuttosto che dei materiali. Per fare un
confronto se in trentacinque mesi di guerra erano
giunti in Africa settentrionale via mare circa
261.000 uomini e circa 2.200.000 tonnellate di
materiali, per via aerea invece erano stati
trasportati 240.000 uomini e 20.000 tonnellate di
materiali (oltre ai 40.000 uomini e alle 14.000
tonnellate di materiali dei Transportgruppen
tedeschi).
2. La quarta sponda
Con la guerra italo-turca del 1911-1912 l’Italia
aveva acquisito prima le due province ottomane della
Tripolitania e della Cirenaica, accomunate poi sotto
il nome di Libia, e successivamente il Dodecaneso
(1920). I nuovi impegni difensivi derivanti
dall’occupazione del litorale libico avevano
accentuato la debolezza complessiva della posizione
marittima dell’Italia, aggravando i problemi di
difesa delle coste. La Libia, la cosiddetta “quarta
sponda”, da quando dall’ottobre del 1938 era
diventata territorio nazionale, non poteva essere
autonoma e la sua conservazione dipendeva dai
collegamenti marittimi con la madrepatria. In tempo
di guerra la difesa delle rotte tra l’Italia e la
Libia sarebbe stata condizionata soprattutto da
esigenze di natura logistica e dalla prevedibilità
delle stesse.
Nell’organizzazione dei rifornimenti marittimi per
la Libia mentre criteri operativi consigliavano, ai
fini della concentrazione delle difese e
dell’economia delle forze, di riunire i mercantili
da avviare oltremare in convogli opportunamente
scortati, la logistica richiedeva che in ciascun
convoglio fosse riunito soltanto quel numero di
mercantili che potevano essere scaricati
contemporaneamente nel porto di arrivo.
Secondo uno studio del 1938 dello Stato Maggiore
della Marina italiana la ricettività teorica dei
porti libici consentiva lo scarico di 5 navi da
carico e 4 per trasporto truppe a Tripoli, 3 navi da
carico e 2 per trasporto truppe a Bengasi e 3 navi
da carico e 2 navi da trasporto truppe a Tobruch. In
quanto ai porti di partenza era previsto che a
Napoli potessero essere caricati contemporaneamente
14 mercantili, a Bari e a Brindisi 5. Tali capacità
si riferivano alle condizioni dei porti in tempo di
pace, sarebbero state molto minori in guerra a causa
delle prevedibili distruzioni.
Le
linee di comunicazione erano inoltre obbligate. Per
raggiungere dall’Italia il porto di Tripoli, che per
tutta la durata del conflitto in Libia sarebbe stata
la più grande base portuale italiana sulla sponda
africana, erano possibili soltanto due rotte (figura
1). La prima passava a ponente di Malta, nel
corridoio che costeggia la costa tunisina lungo le
isole Kerkennah attraversando zone ristrette di mare
tra le secche, gli scogli e i prevedibili campi
minati, la seconda a levante dell’isola. L’una e
l’altra di tali vie marittime convergevano dalle due
Sirti, ad imbuto, sul porto di Tripoli.
La
rotta di levante rispetto a quella di ponente aveva
un percorso più lungo, maggiori difficoltà di
protezione aerea ed era più esposta alle azioni
offensive a sorpresa provenienti dal Mediterraneo
orientale e, come sarebbe accaduto per lunghi
periodi, anche dalla Cirenaica conquistata dai
britannici. Malgrado ciò, dopo un primo periodo, la
rotta di levante era stata preferita all’altra,
specialmente per i convogli veloci (velocità
superiore ai 10 nodi), per una maggiore elasticità
di movimenti per dirottamenti e manovre non essendo
le rotte legate ai campi minati, per la minore
prevedibilità della rotta effettivamente seguita,
per non passare in fondali facilmente minabili e per
la maggiore distanza dall’offesa degli aerosiluranti
basati a Malta. Infatti, nell’estate del 1941 erano
cominciati ad entrare in servizio a Malta
aerosiluranti Swordfish con raggio d’azione
incrementato da 100 fino a 160 miglia dalla base.
Successivamente, nel dicembre del 1941, sarebbero
entrati in azione i Blenheim che avevano più di 300
miglia di raggio d’azione, infine i Beaufort (agosto
1942) sarebbero stati in grado di operare ad oltre
400 miglia dall’aeroporto di partenza.

Figura 1:
Malta e le rotte del traffico italiano per la Libia.
(da A. Petacco “Le
battaglie navali del Mediterraneo nella seconda guerra mondiale” –
Mondadori 1976)
3. I mezzi navali
Il
10 giugno del 1940 la Regia Marina disponeva di una
flotta che per dislocamento complessivo occupava il
quinto posto tra quelle mondiali. Con
caratteristiche specificatamente di scorta ai
convogli possedeva però solo quattro avvisi scorta
(nota 1) della classe “Orsa” e il cacciasommergibili
sperimentale Albatros. Questa situazione era la
conseguenza degli orientamenti dell’ammiraglio
Cavagnari, Sottosegretario dall’8/11/33 e Capo di
Stato Maggiore della Marina dall’1/6/1934, che
durante il suo mandato ai vertici della Forza Armata
aveva privilegiato la costruzione di unità “da
battaglia”. Egli infatti era assertore del principio
che solo la battaglia navale era risolutiva nella
guerra sul mare.
Inoltre, poiché le tre Forze Armate erano
imbrigliate nelle gabbie concettuali di tre guerre
distinte ed ancorate al principio del valore
decisivo della guerra nel rispettivo elemento, non
esisteva né un’aviazione navale né una specifica
preparazione dell’Aeronautica ad operare sul mare in
collaborazione con le unità navali.
Prima della guerra Cavagnari aveva ipotizzato che
all’eventuale scorta dei convogli potevano essere
destinate solo le navi più antiquate. Nel
dopoguerra, aveva sostenuto che la guerra dei
convogli non era stata né l’epicentro della guerra
del Mediterraneo né il compito principale della
Marina ma, aveva rappresentato solo un “ingente
gravame, tanto deprecato fin da lontani tempi”,
quasi inaspettato, non gradito che addirittura
avrebbe dovuto e potuto essere evitato (biblio 10).
A
guerra iniziata, a causa della mancanza di
specifiche unità, per la scorta dei convogli più
importanti era stato quindi giocoforza ricorrere ai
cacciatorpediniere delle classi più anziane quali i
“Sella”, i “Turbine”, i “Freccia”, i “Navigatori”,
in quanto non più idonei al servizio di Squadra.
Tutti erano però caratterizzati da scarso armamento
antiaereo e antisommergibile che sarebbe stato
gradualmente sostituito e migliorato. La scorta
degli altri convogli e la caccia vera e propria alle
unità subacquee nemiche era stata affidata alle
torpediniere (nota 1) che non erano però
particolarmente adatte al compito assegnato per
autonomia, qualità nautiche e manovrabilità.
Dal dicembre 1940, il nuovo responsabile della
Marina, l’ammiraglio Riccardi avrebbe impostato la
futura politica costruttiva della Regia Marina su
basi decisamente diverse rispetto al passato. Molto
più fiducioso rispetto al suo predecessore circa le
capacità tecniche ed industriali dei cantieri
italiani, avrebbe assegnato la priorità del suo
mandato alla difesa del traffico, mirando di
conseguenza a realizzare un programma d’emergenza
centrato sulle unità di scorta, un tipo di nave
pressoché ignorato nei precedenti vent’anni.
Rispondeva a questo programma l’impostazione delle
sedici torpediniere di scorta classe “Aliseo”, delle
sessanta vedette antisommergibile (V.A.S.) e di un
numero analogo di corvette della classe “Gabbiano”.
Queste ultime si sarebbero dimostrate ottime unità.
Oltre ai motori a combustione interna per la marcia
normale erano dotate di due motori elettrici per la
marcia silenziosa. Questo consentiva durante la
prima fase della caccia al sommergibile immerso, di
eseguire la ricerca idrofonica ed ecogoniometrica in
condizioni migliori per la quasi totale assenza di
vibrazioni e di sorgenti rumorose. Rendeva inoltre
più facile avvicinarsi all’obbiettivo senza essere
scoperti.
Sarebbero entrate in servizio fino all’armistizio,
dal marzo 1942 51 V.A.S. di due differenti tipi,
mentre dall’ottobre successivo 29 corvette.
Anche le unità maggiori della Regia Marina avevano
partecipato alle “battaglie dei convogli”, come
scorta indiretta ai maggiori convogli. Su 50
missioni belliche effettuate dalle corazzate e su
422 missioni belliche degli incrociatori le missioni
di protezione al traffico erano state
rispettivamente 14 (28%) e 150 (35,5%). Gli
incrociatori in 22 missioni (5,2%) erano stati anche
vettori per il trasporto di materiali.
Cacciatorpediniere |
Torpediniere |
Classe |
n° |
anno |
Classe |
n° |
anno |
Mirabello |
2 |
1916 |
Audace |
1 |
1916 |
Leone * |
3 |
1924 |
Pilo |
7 |
1915 |
Sella |
2 |
1927 |
Sirtori
** |
4 |
1917 |
Sauro * |
4 |
1926 |
La Masa |
7 |
1917 |
Turbine |
8 |
1927 |
Palestro |
4 |
1921 |
Navigatori |
12 |
1931 |
Generali |
6 |
1921 |
Freccia |
4 |
1931 |
Curtatone |
4 |
1923 |
Folgore |
4 |
1932 |
Spica |
30 |
35-38 |
Maestrale |
4 |
1934 |
Orsa (di scorta) |
4 |
1938 |
Oriani |
4 |
1937 |
|
|
|
Soldati |
12 |
1939 |
|
|
|
TOTALI |
59 |
|
|
67 |
|
*
unità dislocate a
Massaua
in Mar Rosso
** due unità dislocate a
Massaua
in Mar Rosso
N.B.:
l’anno si riferisce a quello di completamento
dell’unità.
Tabella 1:
cacciatorpediniere e torpediniere della Regia
Marina all’inizio delle ostilità.
Durante la guerra le siluranti avevano svolto una
intensa attività subendo sensibili perdite. Nella
riunione con Mussolini del 29 gennaio 1943, quando la
seconda battaglia dei convogli era appena terminata,
l’ammiraglio Riccardi aveva dichiarato per i
cacciatorpediniere le seguenti cifre: esistenza (nel
1940) 59, perduti 33, costruiti 8, perdita del 56%; per
le torpediniere: esistenza (nel 1940) 55, perdute 27,
costruite 17, perdita del 50% (biblio 5).
Le
percentuali delle perdite riferite da Riccardi erano
calcolate sulle siluranti in servizio all’inizio del
conflitto e non rispetto al totale entrato in servizio
al 29 gennaio, comprensivo di quelle costruite fino ad
allora (tra le quali erano incluse le prede belliche) e,
comunque, comprendevano anche le unità perse in Mar
Rosso. Invece, l’Audace e le 11 unità delle classi
“Pilo” e “Sirtori” non erano comprese tra quelle
esistenti perché non utilizzabili per la scorta d’altura
a causa della loro obsolescenza.
Le
cifre dell’Ufficio Storico della Marina riferite
all’intera guerra in tutti i teatri e su tutte le rotte,
e quindi non solo verso l’Africa Settentrionale, danno
come perdite 45 cacciatorpediniere (comprendendo anche
il secondo affondamento sia del Lampo sia del Pancaldo,
le 7 unità del Mar Rosso e il Lubiana ex-jugoslavo) e 44
torpediniere (comprendendo 2 siluranti di quelle escluse
dal computo di Riccardi perché obsolete, 2 del Mar Rosso
e 3 ex-francesi cedute ai tedeschi) a fronte di
rispettivamente 5 e 16 nuove costruzioni (biblio 21 e
biblio 22 pag. 130). Queste precisazioni possono
sembrare eccessive ma spiegano le frequenti discrasie
che si verificano tra i dati forniti dai diversi autori,
pur basati sulle stesse fonti. L’aggregare o
disaggregare gli stessi dati originali, secondo
specifici criteri, facendo emergere un particolare
piuttosto che un altro, può comportare una diversa
interpretazione più o meno corretta o condivisibile
degli avvenimenti.
4. I mezzi aerei
La
Regia Marina non possedeva velivoli offensivi. In base
alla Legge n. 98 del 6 gennaio 1931 sul nuovo
ordinamento della Regia Aeronautica (costituita come
Forza Armata nel 1923) tutti i reparti aerei, compresi
quelli cooperanti con le altre Forze Armate, erano stati
unificati nella Regia Aeronautica. Rispetto al
precedente ordinamento del 1925 i compiti dell’aviazione
“per” la Regia Marina erano stati limitati alla sola
ricognizione ed erano stati abrogati i compiti di
protezione del traffico marittimo e di difesa della
coste metropolitane e coloniali. I piloti provenivano
dai quadri della Regia Aeronautica mentre gli
osservatori erano ufficiali di Marina. Gli aerei cioè
appartenevano all’Aeronautica ma dipendevano
operativamente dalla Marina.
Tale
normativa era stata riconfermata con il successivo
ordinamento (Regio Decreto Legge del 22 febbraio 1937 n.
220 convertito nella legge n. 1501 del 22 giugno 1937).
Nel
giugno del 1940 l’aviazione per la Regia Marina era
suddivisa in una componente da ricognizione marittima ed
in una componente imbarcata. Alla ricognizione marittima
erano assegnati 237 idrovolanti: 202 Cant Z.501 (più 5
in A.O.I.) e 30 Cant Z.506, questi ultimi appartenenti
agli ormai anacronistici stormi da bombardamento
marittimo in via di riconversione. Il Cant Z.501
“Gabbiano” era un monomotore a scafo centrale dalla
notevole autonomia ma lento, scarsamente armato e poco
adatto al mare grosso. Il Cant Z.506 “Airone” era invece
un trimotore a due scarponi che superava le limitazioni
del Cant Z.501, in particolar modo per la sensibile
capacità di carico. All’aviazione ausiliaria però,
malgrado le crescenti necessità di lotta ai
sommergibili, sarebbe stato assegnato solo il ruolo di
sorveglianza e non quello offensivo. Una volta segnalata
la presenza di sommergibili nemici, con fumate o tiro
delle armi, per mancanza di apparati per il collegamento
in fonia, l’attacco era demandato alle unità navali di
superficie. Per tale motivo nessun sommergibile Alleato
sarebbe stato perso per azione aerea (malgrado il 70%
delle missioni avesse avuto finalità antisom), e questa
condotta operativa avrebbe contribuito al successo dei
battelli avversari responsabili del 56% del tonnellaggio
dell’Asse affondato in navigazione (esclusi
autoaffondamenti e cause accidentali) dagli Alleati (biblio
32).
La
componente imbarcata era invece costituita da 105
biplani Ro.43, di cui 44 in carico alle unità da guerra
maggiori (due o tre per ciascuna), ad eccezione delle
corazzate rimodernate. I Ro.43 erano dei piccoli
idroricognitori (a scarpone centrale e galleggianti
sub-alari) catapultabili da bordo delle navi, anche
ferme, ma non recuperabili dalle stesse dopo il lancio.
Esisteva una sola nave, il Miraglia, in grado di
trasportare idrovolanti (diciassette), di lanciarli a
mezzo catapulte, e di recuperarli con apposite gru. Le
sue limitate prestazioni operative ne impedivano, però,
l’impiego con la squadra da battaglia.
I
mezzi aerei destinati all’offesa erano invece in
organico all’Aeronautica che solo tardivamente aveva
iniziato a convertire in specialità più adeguate ad
operare contro le navi quella del bombardamento
marittimo. Al momento dell’entrata in guerra la Regia
Aeronautica possedeva un solo apparecchio siluratore
sperimentale (il trimotore terrestre S.M. 79 che sarebbe
diventato il velivolo caratteristico della nuova
specialità). Al Reparto Speciale Aerosiluranti
costituitosi a fine luglio del 1940 (divenuto
prima squadriglia sperimentale e denominata
ufficialmente 278ª
dal 10 febbraio 1941) ne sarebbero seguite altre 10 nel
corso del 1941. Alla fine del 1942 vi erano nove gruppi
aerosiluranti autonomi. Il rendimento operativo della
specialità però si sarebbe rivelato paradossalmente
inversamente proporzionale al crescere dei reparti. Il
valore del rapporto tra tonnellaggio colpito
(danneggiato e affondato) ed attaccanti era decresciuto
fortemente dal 1940 al 1942. In particolare, i risultati
conseguiti nel 1942 erano in valore assoluto dimezzati
rispetto al 1941, pur in presenza di un numero quasi
doppio di reparti operanti.
Per
quanto riguarda il bombardamento a tuffo la Regia
Aeronautica non sarebbe riuscita a mettere in linea un
aereo nazionale dalle prestazioni soddisfacenti
ricorrendo nel corso della guerra al tedesco Ju 87 Stuka.
5. Il contributo
tedesco
All’inizio
del 1941 i rovesci italiani in Grecia e in Libia avevano
spinto i tedeschi ad inviare propri reparti in
Mediterraneo per operare su tutti e tre i fronti: aereo,
terrestre e marino. Da gennaio e fino a maggio, era
stato schierato in Sicilia il X Fliegerkorps (X Corpo
Aereo Tedesco), mentre da novembre era giunto sempre in
Sicilia il II Fliegerkorps (II C.A.T.) che, pur con
organici variabili, sarebbe rimasto fino al termine
della guerra. Il contributo aereo tedesco si sarebbe
concretizzato nell’attacco alle forze navali
britanniche, alle basi navali di Alessandria e di Malta,
al traffico marittimo e al canale di Suez mediante la
posa di mine.
Sul fronte terrestre l’Afrika
Korps era stato schierato in Libia da febbraio mentre
dalla fine di settembre anche una componente navale
tedesca, soprattutto sottomarina, era stata dislocata in
Mediterraneo. Fino all’armistizio italiano avrebbero
raggiunto il teatro mediterraneo 49 U-boote: 4 in
settembre, 2 in ottobre, 9 in novembre e 11 in dicembre.
In seguito, tra il gennaio del 1942 e l’agosto 1943,
sarebbero entrati in Mediterraneo altri 23 U-boote.
Complessivamente fino all’8 settembre 1943 sarebbero
andati perduti 38 U-boote tra quelli operativi nel
Mediterraneo. Diversi altri battelli avevano fallito il
superamento dello stretto di Gibilterra: alcuni perché
affondati nel tentativo, altri perché danneggiati e
costretti quindi a tornare indietro.
Modesto era stato invece
il contributo delle unità di superficie. Prima
dell’armistizio italiano, le unità da guerra di
superficie che in Mediterraneo avevano battuto la
bandiera navale tedesca si erano limitate a un caccia ex
greco (Vassilefs Georgios, denominato dai
tedeschi Hermes), tre ex torpediniere francesi (Bombarde,
La Pomone e L’Iphigenie) cedute
nell’aprile del 1943 dalla Regia Marina, qualche
cacciasommergibili (in genere ex pescherecci
trasformati), poche navi ausiliarie, alcune squadriglie
di motosiluranti (Schnellboote) e di motodragamine (Raumboote),
un buon numero di motozattere da sbarco (Marinefahrprahme)
e di pontoni semoventi (Farhen-Ferries, tra i quali i
Siebel-Farhen) e infine, alcuni trasporti militari
armati del tipo “Kriegstransport”, meglio conosciuti
come “KT”, montati in cantieri
italiani.
Aerei
e sommergibili tedeschi avevano ottenuto cospicui
risultati ai danni del nemico. In particolare i
risultati conseguiti dai sommergibili tedeschi in
Mediterraneo erano stati superiori a quelli ottenuti
nello stesso teatro bellico dai battelli italiani e pur
operando in un arco temporale più breve (dal 09/1941) e
in numero minore, avevano affondato oltretutto le
maggiori unità da guerra nemiche (corazzata Barham e
portaerei Eagle e Ark Royal).
La
metà circa di tutte le navi militari e mercantili
Alleate complessivamente affondate in Mediterraneo
dall’Asse sarebbe stato ottenuto ad opera dei
bombardieri della Luftwaffe. L’aeronautica tedesca non
credeva nell’uso del siluro contro le navi da guerra, ma
solo contro le navi mercantili. Per tutto il 1941
l’aviazione tedesca aveva operato nel Mediterraneo con
una sola squadriglia di aerosiluranti e per il resto
della guerra con un numero di aerosiluranti molto
inferiore rispetto a quello dei bombardieri.
|
navi militari affondate |
navi mercantili affondate |
ad opera di sommergibili |
ad opera di aerosiluranti |
ad opera di bombardieri |
ad opera di sommergibili |
ad opera di aerosiluranti |
ad opera di bombardieri |
successi Italiani |
unità |
10 |
8 |
21 |
15 |
15 |
12 |
% di tonn. |
4,9 |
3,4 |
3,1 |
2,8 |
5,5 |
2,8 |
successi tedeschi |
unità |
37 |
1 |
122 |
95 |
12 |
177 |
% di tonn. |
30,8 |
0,2 |
36,6 |
23,6 |
5,4 |
47,5 |
Totale navi militari affondate: 266 (63 da italiani e
203 da tedeschi, per un totale di 472.866 tonnellate)
Totale mercantili affondati: 362 (68 da italiani e 294
da tedeschi, per un totale di 1.402.442 tonnellate)
Tabella 2: naviglio Alleato perduto in Mediterraneo
dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943.
Elaborazione dei dati da A. Santoni, F. Mattesini “La
partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel
Mediterraneo” - Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri” 1980.
6. La prima
battaglia dei convogli
Dal principio della guerra fino a tutto marzo 1941
le perdite di navi mercantili italiane nel
Mediterraneo centrale erano state talmente esigue da
non incidere praticamente affatto sul volume dei
traffici di rifornimento verso la Libia.
In
circa dieci mesi di guerra era stato trasportato in
Libia tutto ciò che era stato voluto, compresa
l’intera Afrika Korps. Il limite ai quantitativi di
uomini e materiali trasportati era stato dovuto non
al contrasto nemico, limitato e ben contenuto, ma
alle difficoltà talvolta incontrate
nell’accentramento nei porti di partenza degli
uomini e dei materiali, alla insufficiente
ricettività dei porti libici e al fatto che fino ai
primi mesi del 1941 l’attività bellica in Libia non
aveva ancora avuto gli sviluppi operativi che
avrebbe avuto in seguito.
La
difficile situazione in cui si erano trovate alla
fine del 1940 le Forze Armate italiane in Africa, in
Grecia e sul mare aveva richiesto l’aiuto dei
tedeschi, attuatosi con l’arrivo dell’Afrika Korps e
del X Corpo Aereo tedesco. Quest’ultimo avrebbe
contrastato efficacemente la supremazia acquisita
dalla Royal Navy con i successi ottenuti a Taranto
(novembre 1940) e a Matapan (marzo 1941).
Dopo la controffensiva (marzo-aprile) italo-tedesca
sino al passo di Halfaya, sul confine
libico-egiziano, le operazioni dell’Asse in
Mediterraneo avevano conosciuto un periodo di stasi,
per il distoglimento verso i Balcani e verso l’URSS
degli interessi e delle forze tedesche.
Invece, l’aumento dei traffici italiani e la
pericolosità manifestata dall’Afrika Korps avevano
spinto i britannici a rinforzare la componente
aero-navale di Malta per contrastare più
efficacemente i rifornimenti alla Libia. Malgrado
ciò le perdite italiane di naviglio mercantile non
avevano raggiunto punte rilevanti, anche se si
registravano gravi insuccessi, come la distruzione
nel Canale di Sicilia, nella notte sul 16 aprile,
del convoglio “Tarigo”, composto da cinque trasporti
e da tre cacciatorpediniere di scorta. I danni
limitati erano anche dovuti alle gravi perdite
accusate a fine maggio dalla Mediterranean Fleet,
durante le drammatiche giornate dell’evacuazione di
Creta. Sarebbero rimaste indenni solo due corazzate
e tre incrociatori. Il siluramento della Formidable,
in particolare, avrebbe privato di portaerei la
squadra di Alessandria fino all’armistizio italiano.
Anche i destroyer (nota 2), dislocati a Malta da
aprile, sarebbero stati duramente falcidiati nelle
acque di Creta e le unità scampate non sarebbero più
ritornate sull’isola.
Nel periodo giugno-dicembre 1941 il rafforzamento
dei britannici nel Mediterraneo non aveva però avuto
rallentamenti. Malta era stata opportunamente
rinforzata sia con i convogli, provenienti solo da
Gibilterra, di fine luglio (operazione “Substance”)
e di settembre (operazione “Halberd”), non
contrastati dalla Regia Marina, sia dagli
intensificati lanci di aerei da caccia dalle
portaerei (4 aviolanci a giugno e 2 a settembre),
sia dai sommergibili che nel periodo avrebbero
compiuto sedici approdi nei porti dell’isola.
Tutto il Tirreno, fino a settentrione della Corsica,
lo Ionio ed il golfo della Sirte e quasi metà
dell’Egeo erano nel raggio d’azione dei bombardieri
basati a Malta, mentre gli aerosiluranti decollati
da quell’isola arrivavano fino a Tripoli, al canale
di Sicilia ed al settore meridionale del Tirreno.
Gli aerosiluranti britannici erano ormai dotati di
apparati radar che consentivano loro di scoprire i
convogli e le navi nemiche a qualunque ora della
notte o con nebbia fitta. Alcuni Wellington inoltre
erano stati armati di radar da 30 miglia di portata
(fascia esplorata di 60 miglia) ed avevano
emettitori speciali che consentivano agli
aerosiluranti di dirigersi su di loro appena
avessero scoperto qualche obiettivo sulla superficie
del mare.
Grazie all’accresciuto livello delle difese
dell’isola di Malta, che in autunno poteva contare
su un sistema contraerei particolarmente temibile
con altri tre radar in aggiunta a quello esistente
dall’inizio della guerra, da ottobre l’ammiragliato
britannico aveva ricostituito a La Valletta una
nuova formazione navale, denominata “Forza K”,
composta ancora di unità di superficie, tutte
provviste di radar. Tale formazione navale si
rendeva disponibile grazie
alla cooperazione fornita alla Royal Navy nel Nord
Atlantico dalla “neutrale” marina statunitense.
In
questo scenario, nel secondo semestre del 1941, si
era sviluppata la cosiddetta “prima battaglia dei
convogli” le cui vicende avrebbero quasi interrotto
i rifornimenti dell’Asse per la Libia. Questo
periodo era stato caratterizzato da una serie di
piccoli scontri aeronavali ed era culminato in un
trimestre (settembre-novembre), in cui la marina
mercantile italiana aveva registrato la più alta
percentuale di perdite di tutta l’intera guerra.
Proprio a novembre si scatenava l’offensiva di
Auchinleck, dopo due precedenti fallimenti, con la
riconquista da parte dei britannici, in soli due
mesi, di tutta la Cirenaica (op. Crusader).
Le
perdite al naviglio mercantile e militare italiano
erano state dovute soprattutto ai reparti aeronavali
di Malta. Avevano causato, in particolare, sia la
perdita delle grandi motonavi passeggeri adibite a
trasporto truppe Esperia (agosto), Oceania e
Neptunia (settembre), sia la distruzione dei
convogli “Duisburg” e “Maritza” (novembre),
contribuendo all’affondamento degli incrociatori Da
Barbiano e Di Giussano carichi di fusti di benzina
(dicembre). Il caso di questi incrociatori leggeri è
rappresentativo di una situazione di grande
necessità che aveva indotto la marina italiana a
rischiare navi da guerra in compiti impropri, per
l’impellenza di far giungere in Libia i necessari
rifornimenti.
A
queste azioni offensive britanniche aveva fatto
riscontro la passività della Regia Marina che aveva
continuato a manifestare un atteggiamento
rinunciatario anche nelle situazioni più favorevoli
e una deficienza di perspicacia e di intuizione
nella condotta delle azioni navali.
|
uomini |
comb.
liquidi
(tonnellate) |
materiali
autom.
(tonnellate) |
armi e munizioni
(tonnellate) |
altri materiali
(tonnellate) |
partiti
|
68.930 |
160.867 |
44.928 |
36.092 |
330.249 |
arrivati |
60.095 |
112.651 |
35.709 |
30.351 |
263.767 |
% |
87 |
70 |
79 |
84 |
80 |
Tabella 3:
trasporti dall’Italia alla Libia nel periodo
giugno-novembre 1941
Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)
7. La seconda
battaglia dei convogli
All’inizio del 1942 la situazione nel Mediterraneo
si presentava per l’Asse particolarmente propizia
benché il diretto intervento in guerra degli U.S.A.,
a seguito del proditorio attacco giapponese a Pearl
Harbor (7 dicembre 1941), ponesse, in prospettiva,
inquietanti interrogativi. La Mediterranean Fleet,
che già non disponeva più di portaerei, era ora
rimasta priva anche di corazzate, per le perdite
accusate negli ultimi mesi del 1941 e, tenuto conto
delle esigenze sugli altri mari, non aveva potuto
ricevere i rinforzi necessari, riducendosi così alla
più completa impotenza. Era accaduto, infatti, che
la “Forza K” incappasse su uno sbarramento di mine,
a margine delle operazioni che avevano portato al
cosiddetto “primo scontro del golfo della Sirte” (17
dicembre). Inoltre, l’attacco subito in porto, 19
dicembre 1941 ad Alessandria, ad opera di tre mezzi
d’assalto italiani (siluri a lenta corsa o S.L.C.,
chiamati “maiali”), aveva privato la Mediterranean
Fleet di entrambe le corazzate (la Queen Elizabeth e
la Valiant) allora disponibili, dopo che l’altra (la
Barham) era stata affondata il mese precedente da un
sommergibile tedesco in mare aperto.
Pertanto, la Regia Marina, inizialmente in maniera
inconsapevole, aveva conseguito il controllo
virtuale del Mediterraneo centro-orientale con ovvie
e proficue ripercussioni sui trasporti marittimi e
sulle operazioni in Africa Settentrionale: Rommel
con due successive offensive (gennaio-febbraio e
maggio-luglio) sarebbe arrivato alle porte di
Alessandria minacciando il Medio Oriente, cuore
dell’Impero britannico, e ponendo in serio pericolo
di imbottigliamento l’ormai annichilita
Mediterranean Fleet.
La
reazione dei britannici non poteva perciò farsi
attendere. Tra le due grandi operazioni navali per
il rifornimento di Malta, di giugno (“Harpoon”) e di
agosto (“Pedestal”), i britannici erano passati
all’offensiva contro le linee marittime di
comunicazione dell’Asse con la Libia.
L’allungamento delle vie di rifornimento, marittime
e terrestri, esponeva più facilmente i convogli
dell’Asse alle offese avversarie, che non potevano
più essere condotte con le navi di superficie, ed
erano sostenute dai sommergibili e soprattutto
dall’aviazione. I sommergibili britannici erano però
costretti ad operare dalla lontana Haifa e solo da
fine luglio anche da Malta. Così mentre aerei,
commandos e gruppi autocarrati offendevano la lunga
strada delle retrovie libiche, agli inizi
dell’estate si accendeva in Mediterraneo la “seconda
battaglia dei convogli” (luglio-novembre 1942). La
schiacciante superiorità aerea degli Alleati
ostacolava efficacemente il traffico marittimo
dell’Asse con la Libia. L’autonomia (2.750 km) dei
grandi bombardieri statunitensi Liberator era più
che esuberante per il Mediterraneo e gli
aerosiluranti Bristol-Beaufort, da poco giunti a
Malta, avevano un raggio d’azione di quasi 400
miglia.
Nel secondo semestre del 1942 gli affondamenti in
Mediterraneo, in porto e in navigazione, delle navi
mercantili dell’Asse si erano triplicati rispetto al
semestre precedente. Il 90% circa dei successi era
da ascrivere, in pari percentuale, a sommergibili ed
aerei. Le petroliere avevano costituito la preda
preferita, incidendo sensibilmente sugli
approvvigionamenti di combustibili liquidi per
l’Africa Settentrionale. Tra luglio e novembre era
giunto a destinazione circa il 65% dei già esigui
combustibili partiti, rispetto al 97% circa del
semestre precedente. L’insufficienza dei
rifornimenti era, infatti, solo in parte da
imputarsi agli affondamenti, su di essa incideva
anche la scarsità delle risorse disponibili (vettori
e materiali) per l’invio in Libia e la limitata
ricettività dei porti di sbarco.
|
uomini |
comb.
liquidi
(tonnellate) |
materiali
autom.
(tonnellate) |
armi e munizioni
(tonnellate) |
altri materiali
(tonnellate) |
partiti
|
9.261 |
171.153 |
46.673 |
44.471 |
179.799 |
arrivati |
7.851 |
111.501 |
34.608 |
37.708 |
147.289 |
% |
85 |
65 |
75 |
85 |
82 |
Tabella 4:
trasporti dall’Italia alla Libia nel periodo
luglio-novembre 1942
Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)
8. La terza
battaglia dei convogli
Dall’11 novembre 1942 iniziava una nuova battaglia
dei convogli, combattuta per il rifornimento della
Tunisia, che era stata occupata dall’Asse in seguito
agli sbarchi degli Alleati in Marocco ed Algeria
dell’8 novembre. Nei primi mesi la “terza battaglia
dei convogli” (novembre 1942 - maggio 1943) si
sarebbe svolta contemporaneamente a quella sempre
più circoscritta per il rifornimento della Libia.
Settantatre giorni di sovrapposizione: dal 12
novembre, con l’arrivo a Biserta del primo
convoglio, fino alla caduta di Tripoli, il 23
gennaio 1943. In seguito allo sfondamento dell’VIII
Armata britannica a el Alamein, il 4 novembre, il
fronte africano sarebbe indietreggiato, in tre mesi,
di 2.500 chilometri verso occidente. Dalla fine di
novembre solo il porto libico di Tripoli sarebbe
rimasto nelle mani dell’Asse.
Le
differenze tra la terza e la seconda battaglia dei
convogli non risiedevano però solamente nei porti di
destinazione dei rifornimenti (Tunisi e Biserta
anziché Tripoli), ma soprattutto nello scenario in
cui si combattevano.
La
schiacciante superiorità aerea conseguita in
concomitanza con l’avanzata in Africa del Nord aveva
condotto inevitabilmente gli Alleati alla totale
supremazia aeronavale, di cui naturalmente
risentivano i traffici marittimi italiani, costretti
ad alimentare un esercito ormai in disperata lotta
di contenimento. In questo contesto Malta aveva
assunto un ruolo determinante.
Malta il 20 novembre del 1942 era stata nuovamente
raggiunta via mare da un convoglio di quattro
mercantili partiti da Alessandria (operazione “Stoneage”).
L’ultimo convoglio, per altro falcidiato, era
approdato sull’isola ad agosto. Da allora i pochi
rifornimenti arrivati a Malta erano stati dovuti
esclusivamente ad azioni isolate di sommergibili ed
aerei. Invece, dal mese di novembre Malta aveva
incrementato di molto la propria efficienza potendo
finalmente contare sulla continuità dei
rifornimenti. L’avanzamento del fronte africano
verso ovest aveva aperto infatti definitivamente le
comunicazioni da Oriente.
L’isola era diventata la base di partenza per
bombardieri ed aerosiluranti sempre più numerosi,
cui si erano aggiunti quelli provenienti dalle basi
egiziane e poi quelli dalle appena conquistate basi
cirenaiche ed algerine. Nell’isola dal 27 novembre
era stata nuovamente ricostituita la “Forza K”
(incrociatori leggeri Cleopatra, Dido e Euryalus e
quattro destroyer) e successivamente vi erano stati
dislocati sommergibili e motosiluranti britannici ed
americani. Nello stesso periodo, alcuni sommergibili
avevano operato anche da basi algerine e nella base
di Bona era stata creata una nuova formazione
navale, denominata “Forza Q” (incrociatori leggeri
Aurora, Sirius e Argonaut e due destroyer).
Invece, la Regia Marina combatteva la “terza
battaglia dei convogli” esclusivamente con le unità
minori di ogni tipo. Le navi maggiori, al comando
delle quali dal 5 aprile sarebbe subentrato
l’ammiraglio Carlo Bergamini al posto di Iachino,
erano del tutto assenti perché la mancanza di nafta,
l’allontanamento dalle basi meridionali e le
caratteristiche del nuovo teatro bellico, ne avevano
impedito quell’impiego a protezione del traffico che
tanto spesso era stato effettuato in Mediterraneo
centrale.
Perduta definitivamente la Libia (23 gennaio 1943),
le ultime speranze di resistenza in Africa erano
state concentrate in Tunisia. Le rotte marittime tra
l’Italia e l’Africa erano ora ridotte (150
chilometri dalla Sicilia a Capo Bon per circa 10 ore
di navigazione) e godevano di una maggiore distanza
da Malta. Su questo “braccio di mare”, che separava
i reparti del Regio Esercito in terra africana dalla
madrepatria si sarebbero consumate, fino al crollo
definitivo in Africa (13 maggio 1943), le ultime ed
esigue risorse della marina mercantile italiana e
delle sempre più assottigliate e logore navi di
scorta; per tale ragione sarebbe stato chiamato
“rotta della morte”.
I
convogli per la Tunisia, in partenza da porti
obbligati (Napoli o Livorno), dovevano percorrere
rotte obbligate fra i campi minati, per alcuni
tratti attraverso varchi molto stretti. Ciò
aumentava fortemente, malgrado la navigazione
avvenisse di notte, le possibilità dell’offesa
avversaria che si sviluppava con mezzi ingenti e
molteplici. A nord del Canale di Sicilia, operavano
gli aerosiluranti, a ovest della Sicilia, gli
incrociatori dotati di radar e, presso Capo Bon e a
nord di Biserta, le motosiluranti. I sommergibili
agivano, invece, presso i porti di partenza e sulle
rotte d’altura. Ovunque incombevano le grandi
formazioni di bombardieri. Nessuna nave poteva
sfuggire all’una o all’altra offesa. L’insidia aerea
si sarebbe dimostrata la più efficace. Il 67% delle
perdite (affondamenti o danneggiamenti) di navi da
guerra o di mercantili sarebbe stato causato da
attacchi aerei, ai quali è anche da ascrivere la
causa della maggior perdita di mercantili nei porti
piuttosto che in navigazione.
Le
difficoltà manifestate dalla Regia Marina nella
protezione del traffico tunisino avevano acuito le
incomprensioni con la marina tedesca. In primavera i
tedeschi avevano finalmente ragione delle resistenze
dell’alleato mediterraneo in materia di autonomia
operativa. Per la specifica esperienza maturata nel
Baltico, il viceammiraglio Ruge col suo Stato
Maggiore veniva aggregato a Supermarina con
responsabilità operative nell’organizzazione del
traffico con la Tunisia. Ufficiali e marinai
tedeschi sarebbero stati imbarcati su tutte le unità
impiegate nel traffico tunisino e altri sarebbero
stati assegnati ai comandi Marina di Napoli,
Messina, Palermo, Trapani e Tunisi. Ufficiali
tedeschi avrebbero assunto, alternativamente a
quelli italiani, l’incarico di capo convoglio.
Infine, tutte le navi reperibili e idonee per essere
assegnate a compiti di scorta sarebbero state
requisite, trasformate e prese in consegna dal
personale tedesco. Si trattava di una grave
capitolazione di fronte alla sempre meno
controllabile arroganza dell’alleato, presagio di
quanto di più grave sarebbe accaduto con
l’armistizio.
|
uomini |
comb.
liquidi
(tonnellate) |
materiali
autom.
(tonnellate) |
armi
e munizioni
(tonnellate) |
altri
materiali
(tonnellate) |
partiti
|
77.741 |
132.522 |
73.870 |
92.149 |
127.628 |
arrivati |
72.246 |
94.472 |
59.440 |
62.806 |
89.814 |
% |
93 |
71 |
80 |
68 |
70 |
Tabella 5:
trasporti dall’Italia alla Tunisia nel periodo
novembre1942-maggio1943
Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici)
9. Il
contributo dell’Aeronautica alla protezione del
traffico
“Quella della protezione aerea al traffico marittimo
fu, unitamente all’altra degli aerotrasporti, una
delle attività la cui importanza, la cui intensità,
le cui difficoltà non erano state esattamente
previste e valutate prima dell’inizio delle ostilità
ed alla quale, pertanto, l’Aeronautica italiana non
si trovò adeguatamente preparata, soprattutto per
quanto riguardava il numero e le caratteristiche dei
mezzi che per essa sarebbero stati indispensabili” (biblio
37). Queste considerazioni del generale Santoro,
Sottocapo di S.M. della Regia Aeronautica durante
tutto l’arco delle ostilità, richiamano alla mente
quelle analoghe, precedentemente ricordate,
formulate dall’ammiraglio Cavagnari riguardo la
Regia Marina. Entrambe finivano per dare ragione
alla definizione, attribuita a Mussolini, secondo la
quale lo Stato Maggiore è “quell’organo che prepara
le guerre di ieri per perdere la vittoria di domani”
(biblio 27).
La
protezione aerea ad un convoglio doveva opporsi a
tre forme di attività del nemico: esplorazione
aerea, bombardamento in quota e attacchi di
aerosiluranti. Alle tre forme di contrasto si
aggiungeva un altro compito della caccia di scorta,
quello di segnalare eventuali attacchi di
sommergibili.
I
caccia di scorta potevano difficilmente opporsi
all’azione dei ricognitori nemici che, di solito,
agivano a debita distanza dal convoglio ed erano
difficilmente avvistabili. Inoltre,
l’intercettazione dei ricognitori avrebbe distolto
parte della caccia dalla protezione delle navi.
Invece, per opporsi alle altre due forme di offesa,
occorreva che il convoglio avesse due distinte
formazione di caccia: una ad alta quota, contro i
bombardieri, l’altra a bassa quota, contro gli
aerosiluranti.
Nei confronti dei sommergibili la caccia era
impotente potendo solo segnalare l’eventuale
attacco.
La
protezione dei convogli ad opera della caccia era
pertanto non solo onerosa ma spesso anche soggetta
ad errori. Era onerosa a causa dell’autonomia dei
velivoli costretti ad operare solo nelle zone di
mare più prossime alle coste nazionali e libiche.
Per coprire infatti completamente la rotta di un
convoglio era stato necessario avvicendare più
pattuglie, composte di un numero variabile di aerei
a seconda dell’importanza attribuita ad ogni singolo
convoglio o nave isolata.
Difficoltà nella protezione del convoglio per
mancato avvistamento nascevano invece da diverse
cause: dalle cattive condizioni atmosferiche, dalla
mancata, ritardata o anticipata e non
tempestivamente segnalata partenza del convoglio
stesso, da improvvise e non segnalate deviazioni di
rotta delle navi, dalla diversa composizione del
convoglio da quella originariamente indicata, che
determinava incertezze nell’identificazione aerea.
Al mancato o non tempestivo intervento aveva
contribuito anche l’assenza di un’aviazione
imbarcata, argomento tanto controverso e dibattuto
prima e dopo la guerra. Infine, nelle ore notturne,
dal crepuscolo serale al crepuscolo mattutino, la
caccia non aveva potuto operare, per carenze di
carattere tecnico e operativo. Questo intervallo
temporale sarebbe stato invece preferito dal nemico
col crescere delle disponibilità di radar e altre
dotazioni.
Dall’11 giugno 1940 all’8 settembre 1943, la Regia
Aeronautica aveva effettuato 206.346 voli bellici
per complessive 525.000 ore. Nel medesimo periodo,
la ricognizione marittima aveva effettuato 31.107
missioni (di cui il 70% antisom) per complessive
125.893 ore di volo. Inoltre, alla data del 10
giugno 1940 i velivoli in reparti operativi della
Regia aeronautica erano 3.296 (ad esclusione di
quelli in Africa Orientale), di cui 427 idrovolanti.
Nel corso del conflitto l’industria aveva prodotto
altri 9.288 aerei, di cui il 70% circa di prima
linea, cioè 6.500 circa (673 idrovolanti).
Complessivamente, quindi avevano operato 9.800
velivoli, solo 1.265 dei quali erano presenti alla
data dell’armistizio. Comparativamente gli
idrovolanti operativi erano stati 1.100, dei quali
235 erano presenti all’armistizio. Complessivamente
l’idroaviazione con l’iniziale 13% circa della forza
aerea combattente aveva assicurato il 24% di tutte
le missioni della Regia Aeronautica (biblio 30).
Anche i reparti dell’Aeronautica avevano svolto
missioni a protezione di unità navali in
navigazione. Bombardieri, aerosiluranti e
ricognitori strategici avevano svolto
complessivamente 3.730 voli per scorta
antisommergibile e 11.390 per esplorazioni e per
ricognizioni mentre i caccia 33.930 voli per
la scorta antiaerea e 2.120 per esplorazioni e per
ricognizioni (biblio 37, pag. 436).
Confrontando i circa 37.000 voli di scorta aerea
effettuati con tutti i tipi di velivoli e i circa
4.400 convogli navali da e per i porti italiani
d’oltremare si ottiene una media di circa 8 velivoli
per convoglio. Nel caso limite che tutti i voli di
scorta aerea fossero andati a beneficio dei circa
1.250 convogli per l’Africa settentrionale si
otterrebbe un rapporto di 30. Valori molto bassi.
Infatti, considerando il traffico per la Libia e il
caso più favorevole di un convoglio diretto a
Tripoli per la rotta di ponente con la scorta di
velivoli M.C. 200, sarebbero occorse “10 pattuglie,
utilizzando soltanto Pantelleria e per 8 ore, e 13,
utilizzando Pantelleria e Lampedusa e per 12 ore e
mezza: con pattuglie di 6 velivoli ciascuna, 60 o 78
velivoli complessivi, rispettivamente” (biblio 37,
pag. 441).
“Appare pertanto difficile attribuire alla copertura
aerea con velivoli da caccia un ruolo decisivo
nell’ambito della difesa del traffico italo-tedesco
alla volta dell’Africa” (biblio 11).
10. I
trasporti aerei
Gli aerotrasporti, che avrebbero dovuto avere
carattere eccezionale e che invece avevano finito
con l’assumere carattere di normalità e di
continuità, sarebbero risultati fondamentali alle
“battaglie dei convogli” specie per il trasporto di
personale.
Allo scoppio delle ostilità quasi tutti gli
aeromobili civili delle tre compagnie nazionali (Ala
Littoria, LATI e ALI) erano stati militarizzati ed
erano passati alle dipendenze del Comando Servizi
Aerei Speciali (S.A.S.) appositamente costituito
presso la Regia Aeronautica. I S.A.S. avevano due
compiti, uno specificatamente civile per il
mantenimento dei collegamenti nei cieli nazionali e
dei paesi alleati e neutrali ed uno più propriamente
militare per il trasporto truppe e materiali
nell’Impero e negli altri possedimenti oltremare.
Perciò i reparti S.A.S. erano stati divisi in due
settori: i Nuclei di Comunicazione per i
collegamenti di tipo commerciale e i Reparti
Trasporto T per i collegamenti militari sui vari
fronti. Le esigenze della guerra avrebbero reso solo
formale questa differenziazione e ben presto anche i
Nuclei di Comunicazione sarebbero stati impiegati in
voli di guerra.
Erano stati costituiti tre Nuclei Comunicazione, uno
per ogni compagnia aerea. La composizione iniziale
al 10 giugno 1940 della flotta dei Nuclei di
Comunicazione era eterogenea, come è riportato nella
tabella seguente.
Nucleo
Ala Littoria |
N° |
Nucleo
LATI |
N° |
Nucleo
ALI |
N° |
SM 75
DC 2
DC 3
SM 71
Fokker 7
Junkers 52
CANTZ 506 (idro)
SM 87 (idro)
SM 86
MC 94 (idro)
MC 100
(idro) |
6
1
1
2
1
6
4
1
1
6
4 |
SM 83
SM 75
SM 82
|
13
2
2
|
Fiat G 12
Fiat G 18V
DC2
APR
SM 73 |
3
6
1
1
1 |
Tabella
7: composizione dei Nuclei Comunicazione
all’inizio della guerra.
Dati
elaborati da: Civoli M. “S.A.S. I Servizi Aerei
Speciali della Regia Aeronautica 1940-1943” -
Gribaudo 2000.
Invece, sempre alla data del 10 giugno 1940, i
Reparti Trasporto T erano formati da 3 Gruppi e 4
Squadriglie autonome, la cui composizione è
riportata nelle tabelle seguenti.
147°
Gruppo T |
N° |
148°
Gruppo T |
N° |
149°
Gruppo T |
N° |
SM 75 |
13 |
SM 73 |
13 |
SM 82 |
12 |
-
604° Sq. |
N° |
610° Sq. |
N° |
611° Sq. |
N° |
615° Sq. |
N° |
SM
75 |
6 |
SM
75 |
8 |
Ba
44 |
5 |
SM
83 |
8 |
Tabella 8:
composizione dei Reparti Trasporto T all’inizio
della guerra.
Dati
elaborati da: Civoli M. “S.A.S. I Servizi Aerei
Speciali della Regia Aeronautica 1940-1943” -
Gribaudo 2000.
Questa embrionale composizione sarebbe cresciuta e
sarebbe diventata di fatto nel corso della guerra
(inizio 1942) una Grande Unità costituita da 4
Stormi Trasporti (44°, 45°, 18° e 48°), oltre ai 3
Nuclei Comunicazione. Le perdite subite ad opera del
nemico e per incidenti sarebbero state ripianate
continuamente, e gli iniziali problemi di
tempestività ed efficacia delle operazioni collegate
all’aerotrasporti quali la disponibilità dei
carichi, carico e scarico dei materiali e la
sistemazione logistica degli equipaggi sarebbero
stati risolti da soddisfacenti provvedimenti
tecnico-organizzativi, dimostrando l’importanza del
ruolo dei S.A.S. nella valutazione dei comandi
superiori della Regia Aeronautica.
Sulla attività dei S.A.S. manca e non è possibile
ricostruire una documentazione statistica completa,
precisa e sicura. Nei trentacinque mesi di guerra i
S.A.S. avevano trasportato in Africa Settentrionale
circa 20.000 tonnellate di merci, dal carburante, ai
viveri, alla posta, ai siluri, alle armi e circa
240.000 uomini, comprese intere divisioni (Folgore,
Pistoia, La Spezia).
Nel corso della campagna di Tunisia i S.A.S. erano
stati affiancati nel trasporto aereo di uomini e
materiali dai Transportgruppen tedeschi.
-
destinazione |
periodo |
uomini |
Materiali (ton.) |
Libia |
11 giugno 40-gennaio 41 |
8.469 |
1.061 |
Libia |
febbraio-dicembre 41 |
17.658 |
2.177 |
Libia |
gennaio-dicembre1942 |
142.986 |
12.391 |
Tunisia (S.A.S.) |
novembre 42-maggio 43 |
71.892 |
5.126 |
Totale S.A.S |
241.005 |
20.755 |
Tunisia (Transportgruppen) * |
novembre 42-maggio 43 |
40.000 |
14.000 |
Tabella
9: trasporti dei S.A.S e Transportgruppen per
l’Africa Settentrionale.
Dati
elaborati da: Santoro G. “L’Aeronautica italiana
nella seconda guerra mondiale” - Vol. I e II -
Edizioni Esse 1957.
* Dati
elaborati da: Pedriali F. “Operazione Flax” Storia
Militare febbraio 2004.
11. Il
contributo del regio Esercito alla protezione del
traffico
Il
5 luglio 1941 il Comando Supremo, vista la crescente
minaccia dei sommergibili nemici specie nel Tirreno
e constatata la situazione della ricognizione
marittima falcidiata in un anno di operazioni, aveva
consigliato di far concorrere la ricognizione
terrestre (Osservazione Aerea) alla esplorazione,
limitatamente alle rotte costiere. L’adesione di
Esercitavia, l’Aviazione per il Regio Esercito, non
poteva mancare, anche perché sul suolo metropolitano
stazionavano inoperose varie squadriglie O.A. Il 18
luglio veniva concordata una vigilanza antisom fino
a 10 miglia dalla costa con l’impiego dei bimotori
Ca.311 (in quanto capaci di trasportare un carico
bellico) e proponendo per gli osservatori la
frequenza d’un breve corso ad hoc. S’instaurava così
un’altra prassi che, al pari di tanti casi analoghi
in altri settori dello sforzo bellico, sarebbe
andata al di là delle iniziali limitazioni, tanto in
durata quanto nell’impiego dei mezzi, protraendosi
sino al termine delle ostilità e vedendovi impegnati
anche i biplani Ro.37 ben oltre le 10 miglia dalla
costa.
Il
contributo dell’O.A. alle “battaglie dei convogli”
sarebbe stato comunque trascurabile.
Complessivamente l’Osservazione Aerea avrebbe
accumulato 9.330 ore di volo per missioni belliche,
tra il 10 giugno 1940 e il 30 aprile 1942 (biblio
37, pag.459).
12. I
mezzi di contrasto britannico
Nella “battaglia dei convogli” mediterranei i
britannici avevano impiegato massicciamente
soprattutto sommergibili ed aerei provenienti non
solo da Malta ma anche da Gibilterra, Creta,
Alessandria, dal Medio Oriente e, in alcuni periodi,
dalla Cirenaica.
Il
Mediterraneo sarebbe stato il principale campo
d’azione dell’arma subacquea della Royal Navy,
basata ad Alessandria e a Malta con la perdita di 41
battelli, più tre greci e un degaullista. Il
consolidamento di Malta nel dispositivo offensivo
britannico avrebbe determinato, tra dicembre 1940 e
gennaio 1941, il completo rinnovamento dell’iniziale
distaccamento di sommergibili, con la sostituzione
dei superstiti tre grandi della classe “T”, inviati
a Gibilterra a costituire la nuova VIII flottiglia,
con sei più piccoli della classe “U”.
Successivamente dall’1 settembre 1941 sarebbe stata
costituta sull’isola la nuova X flottiglia, non
dipendente più dalla I di Alessandria.
La
Royal Navy aveva impiegato unità navali di
superficie, essenzialmente da Malta, solo per brevi
periodi (aprile-maggio 1941, ottobre-dicembre 1941 e
dal novembre 1942). Si era trattato però di poche
unità navali leggere (cacciatorpediniere e
incrociatori) che però, anche grazie alla fonte
informativa Ultra, avevano conseguito cospicui
risultati.
Il
contributo, per quanto discontinuo, degli
aerosiluranti imbarcati era terminato alla fine di
maggio 1941, quando con il danneggiamento della
Formidable tutta l’attività sarebbe ricaduta fino ad
ottobre sull’unico reparto (squadron) dislocato a
terra, a Malta. Successivamente avrebbero operato al
massimo cinque squadron contemporaneamente tra Malta
e l’Egitto (in confronto, a fine 1942 la Regia
Aeronautica disponeva di 9 gruppi siluranti
equivalenti agli squadron britannici).
Dall’autunno del 1942 i britannici avevano
beneficiato del supporto strategico dell’aviazione
degli Stati Uniti alla “guerra dei convogli” che
aveva reso possibile l’allargamento dell’offensiva
contro i rifornimenti dell’Asse sul fronte libico,
includendo tra i possibili bersagli le principali
basi di partenza dei convogli navali che facevano la
spola tra la penisola e la “quarta sponda”. La 9ª
Air Force dell’USAAF, dopo un primo ciclo di
missioni sui porti della Libia (Bengasi e Tripoli),
dal 4 dicembre 1942 aveva iniziato ad operare sul
territorio italiano bombardando il porto di Napoli.
Tale contributo si sarebbe concluso con la caduta
della Tunisia il 13 maggio 1943.
Rispetto al totale del tonnellaggio mercantile
dell’Asse affondato dagli Alleati (1.278 unità), i
sommergibili erano stati (biblio 20) la prima causa
dei successi (36,5%), seguiti (23%) dai bombardieri
e (10,8%) dagli aerosiluranti (due terzi
attribuibili ai velivoli dislocati a Malta).
La
maggior parte degli affondamenti con bombe era
invece avvenuto in porto (16,5%), e circa il 10% dal
novembre del 1942, cioè dalla comparsa degli
Americani nel Mediterraneo. Alle unità navali di
superficie è invece attribuibile una percentuale
molto bassa di affondamenti (5%).
Restringendo il campo ai soli affondamenti in
navigazione, ai sommergibili spetta, come già
ricordato, più della metà dei successi, mentre alle
navi di superficie è attribuibile il 9,6% (esclusi
autoaffondamenti e cause accidentali).
|
navi militari affondate |
navi mercantili affondate |
ad opera di sommergibili |
ad opera di aerosiluranti |
ad opera di bombardieri |
ad opera di sommergibili |
ad opera di aerosiluranti |
ad opera di bombardieri |
successi
Alleati |
unità |
44 |
9 |
128 |
325 |
61 |
396 |
% di tonn. |
- |
- |
- |
36,5 |
10,8 |
23,1 |
Tabella
10: naviglio italiano perduto in Mediterraneo
dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943.
Elaborazione dei dati da “La Marina Italiana nella
seconda guerra mondiale - Volume I “Dati statistici”
- U.S.M.M. 1972, (pag. 214-226 e 230-239).
13. I
convogli britannici
Nella valutazione complessiva della guerra del
Mediterraneo, gli sforzi della Regia Marina a
sostegno delle proprie linee di comunicazione non
possono essere paragonati a quelli esigui sostenuti
nello stesso teatro dalla Royal Navy. I convogli
britannici infatti avevano potuto beneficiare anche
delle rotte alternative transoceaniche, soprattutto
per le comunicazioni con l’Egitto.
Fino ai primi di dicembre del 1942 il rifornimento
di Malta era stato realizzato dai britannici
attraverso solo sedici convogli. Lo sbarco in
Marocco ed Algeria dell’8 novembre 1942 rappresenta
lo spartiacque nella guerra mediterranea per
l’arrivo delle forze statunitensi a supporto dei
britannici.
Meno strategici sotto il profilo storico benché
coronati da successo, possono essere considerati i
complessivi 15 convogli bisettimanali (operazione
“Lustre”) che dal 4 marzo al 24 aprile avevano
permesso il trasporto dall’Egitto in Grecia dei
reparti e degli equipaggiamenti britannici. Solo 7
dei 25 mercantili perduti (più un incrociatore)
erano stati affondati in mare, i restanti invece
erano stati affondati nei porti greci.
Infine, non meno importante era stato il contributo
dell’eterogenea divisione navale (Force W, dal 5
gennaio del 1941 Inshore squadron), costituita in
Africa settentrionale dai britannici dal settembre
del 1940 come supporto all’Esercito dal mare, ma
utilizzata anche per il trasporto di materiali
urgenti fin sulle linee del fronte terrestre e la
scorta
di piccoli
convogli costieri.
In
occasione del primo assedio di Tobruch (dall’11
aprile al 9 dicembre 1941) i rifornimenti della
piazzaforte (distante da Alessandria circa 300
miglia) per mezzo dell’Inshore squadron erano stati
integrati da trasporti per l’avvicendamento dei
reparti assediati composti prevalentemente da due
posamine veloci e altrettanti cacciatorpediniere
(quattro operazioni da settembre a novembre di circa
dieci viaggi ciascuna). Complessivamente nel periodo
dell’assedio erano andate perdute 27 unità da guerra
o ausiliarie e 5 mercantili.
Durante il secondo assedio di Tobruch (dal 5
febbraio al 21 giugno 1942) il rifornimento della
piazzaforte via mare da Alessandria era avvenuto
attraverso 49 convogli nei due sensi (denominati AT
e TA) ed aveva comportato la perdita di 6 navi da
guerra o ausiliarie e di 9 mercantili.
14. Un bilancio
della guerra aeronavale
Le
“battaglie dei convogli” sono solo uno degli aspetti
dell’intera guerra nel Mediterraneo. Non può essere
compresa la portata delle “battaglie dei convogli” senza
prendere in considerazione gli altri avvenimenti che
contestualmente si erano svolti nell’area e che ne
venivano condizionati e le condizionavano.
L’abbandono dell’Africa, il 13 maggio del 1943, aveva
posto fine a quello che per 35 mesi era stato l’impegno
principale della Regia Marina: sostenere l’esercito
combattente in Africa Settentrionale. Gli Alleati ormai
minacciavano direttamente la penisola ma la Regia Marina
non sembrava poter e voler prendere iniziative, pertanto
gli avvenimenti successivi sarebbero stati irrilevanti
sotto il profilo aeronavale pur richiedendo ulteriori
sacrifici. La guerra aeronavale, anche se formalmente
sarebbe durata fino all’8 settembre, era perciò
virtualmente conclusa.
Il
rifornimento dell’Africa Settentrionale era stato più
gravoso di quello del fronte greco-albanese, sia per la
maggior vicinanza ai porti della madrepatria, sia perché
la componente aerea nemica basata a Malta non poteva
operare. Sul totale di 4.385 convogli organizzati nei
due sensi durante l’intero conflitto, 3.116 erano stati
destinati verso l’Albania, la Grecia e l’Egeo, portando
a destinazione tutto o quasi.
L’obiettivo di garantire le proprie linee di
rifornimento, impedendo quelle del nemico era stato il
motivo dominante della guerra. La Royal Navy infatti si
era trovata nell’analoga necessità di sostenere
soprattutto il caposaldo maltese, diventato ben presto
il cardine del dispositivo per annientare i rifornimenti
italiani per l’Africa Settentrionale.
Tutte
le azioni aeronavali italiane, tranne che in due
circostanze (Capo Spada e Gaudo-Matapan, provocate da
due iniziative di attacco alle comunicazioni britanniche
tra la Grecia e l’Egitto), erano state la conclusione di
iniziative tese ad ostacolare le intermittenti necessità
britanniche di rifornire Malta, tuttavia non erano
riuscite ad annientare la resistenza dell’isola.
L’analisi dei risultati conseguiti da ciascuno
schieramento nel contrasto delle linee di rifornimento
dell’avversario deve necessariamente far riferimento a
tre periodi distinti, in relazione allo svolgersi degli
avvenimenti. Fino all’8 settembre del 1943, per il
calcolo delle perdite complessive subite, fino al maggio
del 1943, per le comunicazioni italiane verso l’Africa
Settentrionale, e fino al novembre del 1942, per quelle
britanniche verso Malta.
Da un
punto di vista quantitativo, fino all’8 settembre 1943,
l’esito della guerra aeronavale in termini di perdite
materiali accusate da entrambi gli schieramenti militari
(affondamenti o danneggiamenti) sarebbe stato
sostanzialmente pari Se il tonnellaggio perduto
complessivamente dalla Royal Navy risulta largamente
superiore a quello della Regia Marina, per la
concorrenza di unità di maggior dislocamento,
numericamente si è verificato il contrario. Tra l’altro,
circa la metà del dislocamento perso in Mediterraneo
dalla Royal Navy e, comunque, le navi maggiori affondate
(Ark Royal, Barham e Eagle), erano state appannaggio
delle forze aeronavali tedesche.
Dal
punto di vista degli obiettivi conseguiti dagli italiani
nella guerra aeronavale nel Mediterraneo l’analisi deve
essere circoscritta agli avvenimenti legati alla difesa
del traffico con l’Africa Settentrionale giacché la
flotta da guerra italiana era stata impiegata quasi
esclusivamente a questo scopo. Se per quanto riguarda la
Regia Marina era mancato infatti l’uso strategico della
flotta, non tanto come ricerca della battaglia,
piuttosto come blocco delle comunicazioni avversarie e
pressione sul fronte terrestre, per la Royal Navy non vi
era stata questa limitazione. Le incursioni navali della
Mediterranean fleet contro le basi costiere cirenaiche e
perfino tripolitane, condotte anche con le unità
maggiori, erano state numerose ed erano iniziate già nei
primissimi giorni della guerra nel Mediterraneo,
prendendo di mira non soli i porti e le installazioni
costiere litoranee, ma anche le più importanti città
costiere, fino a Tripoli.
Alle
tre battaglie dei convogli, combattute per sostenere le
linee di rifornimento italiane per l’Africa
Settentrionale, si erano contrapposte operazioni
britanniche meno frequenti ma non meno indispensabili,
in alcuni casi effettuate contestualmente. Queste erano
state sia i “Malta Convoys”, ossia i convogli britannici
per il rifornimento della piazzaforte mediterranea, sia
le venticinque missioni di aviolancio effettuate dalle
portaerei britanniche per l’Egitto e per Malta
(operazioni apparentemente secondarie in realtà
fondamentali per la difesa dell’isola), sia gli
sporadici convogli di rifornimento destinati all’VIII
Armata britannica in Africa Settentrionale.
I
convogli effettuati nei due sensi dagli italiani erano
stati 993 per la Libia (fino a gennaio 1943) e 276 per
la Tunisia (novembre 1942 - maggio 1943): numero di gran
lunga superiore a quello dei convogli britannici.
Mediamente ogni convoglio italiano era stato composto da
due navi, rivelando un sistema di miniconvogliamento a
cui si aggiungeva il sottocarico delle navi trasporto
(mediamente fino al 50% della portata reale). Questo
quasi costante sistema di traffico risultava solo
parzialmente giustificabile dalle urgenze, dai modesti
quantitativi di rifornimenti disponibili, dalla
suddivisione del rischio su più bersagli e dalla scarsa
ricettività dei porti di destinazione. Comunque, era in
contraddizione con quanto previsto prima della guerra,
quando si riteneva che i trasporti con la Libia in caso
di guerra avrebbero richiesto grandi convogli a lunghi
intervalli tra loro e scortati dal grosso delle forze
navali.
I
britannici erano ricorsi alla via mediterranea solo in
condizioni di emergenza per rifornire soprattutto
l’isola di Malta, disponendo in alternativa della via
del Capo, più lunga ma più sicura, per rifornire
l’Africa Settentrionale o della rotta aerea dall’approdo
di Takoradi (in Costa d’Oro oggi Ghana). La prima non
permetteva, però, di raggiungere con sicurezza Malta,
per la facilità di intercettazione dei convogli da
Oriente, da parte della squadra navale italiana
dislocata a Taranto. La seconda sarebbe diventata
pienamente operativa solamente nel 1941, risultando
sempre più importante. Al momento dell’offensiva di
Rommel nel 1942, l’Egitto sarebbe stato salvato anche
grazie a questa rotta.

Figura 2: la rotta aerea di Takoradi
Fino
ai primi di dicembre del 1942 il rifornimento di Malta,
a parte lo sporadico ricorso ad isolate navi da guerra
(posamine veloci classe Abdiel), sommergibili (51
missioni) o singoli mercantili isolati o comunque
scortati, era stato realizzato dai britannici attraverso
sedici convogli, spesso nell’ambito di complesse
operazioni su più direttrici di rifornimento. Dall’11
dicembre 1942 altri convogli avrebbero raggiunto l’isola
ma non si sarebbe trattato più di operazioni concepite e
condotte esclusivamente per il rifornimento della
piazzaforte: essi erano diretti a Bengasi o a Tripoli,
oramai in mano britannica, e solo alcune delle navi
erano destinate a Malta. Un numero quasi analogo di
convogli di navi scariche aveva percorso il Mediterraneo
in direzione inversa.
All’esiguità dei convogli britannici transitati
attraverso il Mediterraneo in circa 27 mesi (dal
settembre 1940 al dicembre 1942) fa riscontro l’elevato
numero di questi giunti a destinazione senza perdite e
talvolta senza contrasto. Solamente a fine settembre del
1941, durante l’Operazione Harberd, cioè in occasione
del decimo “Malta Convoys”, i britannici avevano perduto
la prima unità da carico sulle rotte per Malta.
Successivamente, solo durante le operazioni del 1942 di
metà giugno (operazione “Harpoon”) e di metà agosto
(operazione “Pedestal”) avrebbero subito rilevanti
perdite di unità da carico, rispettivamente 4 su 6
mercantili e 9 su 14.
Dalla
figura 3 si evince l’oneroso andamento delle perdite di
materiali subite dai convogli italiani per la Libia nel
corso delle due battaglie dei convogli. Non altrettanto
alte erano risultate, invece, le perdite nei convogli
britannici. Se da un lato è plausibile considerare
perdite commisurate alla alta densità di traffico
italiano, dall’altra invece risulta incomprensibile che
rari convogli britannici non abbiano risentito della
potenziale concentrazione offensiva nemica.

Figura
3:
Tonnellate di materiali, compresi i combustibili liquidi, partiti e non
giunti in Libia.
Le percentuali si
riferiscono ai materiali non giunti rispetto a quelli partiti.
Elaborazione dei
dati dell’USMM (Dati Statistici)
-
|
Durata
(mesi) |
Periodo |
Tonnellate di materiali
arrivati a destinazione |
|
12 |
Giugno 1940 - Maggio 1941 |
|
669.298 |
Prima
battaglia dei convogli |
6 |
Giugno 1941 - Novembre 1941 |
442.478 |
|
|
7 |
Dicembre 1941 - Giugno 1942 |
|
480.780 |
Seconda battaglia dei convogli |
5 |
Luglio 1942 - Novembre 1942 |
331.106 |
|
|
2 |
Dicembre 1942 - Gennaio 1943 |
|
6.303 |
Terza battaglia dei convogli |
7 |
Novembre 1942 - Maggio 1943 |
306.532 |
|
TOTALI |
1.080.116 |
1.156.381 |
2.236.497 |
Tabella 11:
trasporti via mare dall’Italia in Africa Settentrionale.
Elaborazione
dei dati dell’USMM (Dati Statistici).
Il
fatto che la flotta fosse vincolata dalla difesa al
traffico tra la madrepatria e i fronti d’oltremare,
compito che si voleva assolto grazie alla semplice
permanenza nei porti della squadra da battaglia, secondo
la teoria della “fleet in being”, ha portato al
paradosso della Regia Marina vincitrice nella sua unica
battaglia. Il successo complessivo riportato nella
battaglia dei convogli (l’85,9% di materiali e il 91,6%
di uomini per la Libia e il 71% di materiali e il 93% di
uomini per la Tunisia giunti rispetto ai partiti) ha,
infatti, alimentato tale impropria interpretazione dei
fatti rivolta essenzialmente alla rivalutazione della
Forza Armata attraverso la svalutazione di quella flotta
da battaglia sulla quale si addensavano le maggiori
delusioni e polemiche da Lissa all’armistizio del 1943.
Tale interpretazione costituirebbe pertanto solo “una
vittoria statistica”. Vi erano stati, infatti, alcuni
periodi cruciali nei quali i rifornimenti erano stati
gravemente decurtati dall’offesa nemica, proprio in
coincidenza con cicli operativi importanti sul fronte
terrestre africano e, spesso, con l’efficace intervento
delle forze aeronavali di Malta. Tali periodi si erano
avuti in occasione dell’inizio delle offensive
britanniche della fine del 1940 (quasi l’11% di carichi
complessivi persi nel dicembre) della fine del 1941 (più
del 62% di carichi complessivi persi nel mese di
novembre, tra cui oltre il 90% dei combustibili) e della
fine del 1942 (più del 44% dei carichi complessivi persi
nell’ottobre, tra cui oltre il 52% di combustibili).

Figura 4: Le
offensive in Africa Settentrionale.
(A) |
13 settembre
1940 - 16 settembre 1940: |
offensiva di
Graziani fino a Sidi el Barrani |
(B) |
8 dicembre
1940 - 9 febbraio 1941: |
offensiva di
Wavell e conquista di tutta la Cirenaica (op. Compass) |
(C) |
22 marzo 1941
- 29 aprile 1941: |
offensiva di
Rommel fino al confine egiziano |
(D) |
18 novembre
1941 - 12 gennaio 1942: |
offensiva di
Auchinleck e riconquista di tutta la Cirenaica (op. Crusader) |
(E) |
21 gennaio
1942 - 10 febbraio 1942: |
offensiva di
Rommel fino a Tobruch |
(F) |
26 maggio
1942 - 1 luglio 1942: |
offensiva di
Rommel fino a el Alamein |
(G) |
23 ottobre -
4 novembre 1942: |
terza
battaglia di el Alamein e sfondamento definitivo di Montgomery
(op. Lightfoot). |
La
valutazione dei risultati inoltre non può essere
limitata alla sola attraversata via mare dei
rifornimenti ma deve estendersi su tutto l’arco di
responsabilità. Le statistiche infatti sono riferite
al naviglio mercantile giunto nei porti di arrivo e
non tengono conto delle perdite per offesa area dei
materiali in attesa di essere scaricati nei porti o
giacenti sulle banchine. Nelle operazioni di
scarico, lunghe e complesse per la limitata capacità
dei porti di arrivo, la Marina aveva la sua parte di
responsabilità nell’organizzazione e nella difesa
antiarea dei porti e nelle operazioni di carico e di
scarico delle navi, con propri organismi.
Paradossalmente se fosse vera la tesi della vittoria
si dovrebbe concludere che a perdere la guerra
sarebbero state esclusivamente le altre due Forze
Armate e che la guerra marittima non avrebbe avuto
alcuna influenza sull’andamento del conflitto nel
Mediterraneo, dato che poi, nel 1943, gli Alleati
erano riusciti a sbarcare in Sicilia e a costringere
l’Italia alla resa. Viceversa il merito della
presunta vittoria andrebbe condiviso sia con tutte
le Forze Armate nazionali e tedesche, coinvolte
nell’organizzazione e nella difesa dei traffici
marittimi, sia con la Marina Mercantile.
Relativamente a quest’ultima era andato perduto in
Mediterraneo, dal 10 giugno del 1940 all’8 settembre
del 1943, un patrimonio immenso, in quantità e
qualità: 567 unità (460 con bandiera italiana) con
una stazza unitaria superiore alle 500 t.s.l. a
fronte di una consistenza iniziale di 786 unità
nazionali (di cui 212 perse il primo giorno perché
sorprese in porti non nazionali) e 56 tedesche. Le
integrazioni ottenute durante il conflitto erano
state pari a 210 unità con bandiera italiana e 124
tedesca. Proprio la consistenza delle perdite
scredita ulteriormente la tesi della vittoria.
Mercantili in
Mediterraneo |
Italiani |
Tedeschi |
TOTALI |
al
10/6/1940 |
786-212 |
56 |
630 |
persi
all’8/9/1943 |
- 460 |
- 107 |
- 567 |
integrazioni |
+ 210 |
+124 |
+ 334 |
consistenza
all’8/9/1943 |
324 |
73 |
397 |
Tabella
12: mercantili dell’Asse in Mediterraneo.
Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici).
Sono passati circa sessant’anni dagli eventi, tutti
i principali protagonisti sono ormai scomparsi,
eppure gli storici e comunque gli appassionati della
storia patria sono ancora divisi nel giudicare il
comportamento delle forze aero-navali italiane,
soprattutto in particolari momenti della guerra.
Il
confronto dialettico tra l’interpretazione
“istituzionale” della vittoria nella battaglia dei
convogli, enunciata dal Cocchia, medaglia d’oro
protagonista degli avvenimenti e poi Capo dell’USMM,
e ripresa da altri storici, e quella “revisionista”
di questi ultimi anni, si è esteso poi a tutti gli
altri aspetti della guerra aeronavale, ritenuta dai
più comunque insoddisfacente sotto il profilo
militare. L’iniziale isolamento della Gran Bretagna,
la posizione centrale della penisola italiana nel
Mediterraneo, la ristrettezza del Canale di Sicilia,
ed i non trascurabili mezzi aeronavali a
disposizione dell’Italia, tutti concentrati nel
teatro bellico a differenza dell’avversario, sono
riportati come esempi di vantaggi non sfruttati
opportunamente. L’impreparazione, la mancanza del
radar e di portaerei, la teoria della “fleet in
being”, la decrittazione dei messaggi segreti, la
penuria di combustibili, ecc., sono invece invocati
a giustificazione dei risultati. Molti interrogativi
ancora aperti sul piano storico. Molte tessere da
comporre per cercare di fare maggiore chiarezza nel
mosaico della guerra italiana che ancora oggi
suscita atteggiamenti contraddittori tra
celebrazione del valore e del sacrificio dei soldati
e compiacimento per la loro sconfitta, quest’ultima
come condizione per la caduta del fascismo.
NOTE
1)
I cacciatorpediniere, nati per combattere le
torpediniere (da torpedine ossia siluro), finirono
per assorbirne i compiti determinandone la scomparsa
da quasi tutte le flotte. Nella marina italiana il
termine torpediniera sarebbe rimasto, ma solo per
indicare una sottoclasse di cacciatorpediniere.
In base ad una disposizione del 1929, le siluranti
da mille a tremila tonnellate erano chiamate
cacciatorpediniere, quelle di tonnellaggio inferiore
erano denominate torpediniere. Nel 1938 le unità
fino ad allora denominate “esploratori” furono
declassate a cacciatorpediniere, mentre gli “avvisi”
e alcuni vecchi cacciatorpediniere, di dislocamento
superiore alle mille tonnellate, furono declassati a
torpediniere.
2)
Destroyer, contrazione di “torpedo boat destroyers”,
è un termine inglese, in uso anche presso la marina
francese, col quale venivano classificate le
siluranti corrispondenti ai cacciatorpediniere
italiani.
Bibliografia
-
AA.VV. “La battaglia dei convogli 1940-1943” -
U.S.M.M. 1994.
-
Bagnasco E., Cernuschi E. “Le navi da guerra
italiane 1940 - 1945” - Ermanno Albertelli Editore
2003.
-
Bragadin M. “Il dramma della marina Italiana
1940-1945” - Mondadori 1972.
-
Botti F. “Problemi logistici del secondo anno di
guerra - aspetti interforze” L’Italia in guerra il
secondo anno - 1941 - Commissione Italiana di Storia
Militare - U.S.M.M. 1992.
-
Botti F. “Strategia e logistica in un’ottica
interforze” L’Italia in guerra il terzo anno - 1942
- Commissione Italiana di Storia Militare - U.S.M.M.
1993.
-
Botti F. “La guerra dei convogli 1940-1943” Storia
Militare, febbraio 2005.
-
Caruana J. “I rifornimenti d’emergenza per Malta” -
Storia Militare, maggio 1996.
-
Caruana J. “I convogli britannici per Malta” -
Storia Militare, aprile 1997.
-
Caruana J. “Caccia per Malta” - Storia Militare,
marzo 1999.
-
Cernuschi E. “Domenico Cavagnari storia di un
ammiraglio” - allegato Rivista Marittima, febbraio
2001.
-
Cernuschi E. “…Sulla battaglia dei convogli
1940-1943“- Storia Militare, aprile 2005.
-
Civoli M. “S.A.S. I Servizi Aerei Speciali della
Regia Aeronautica 1940-1943” - Gribaudo 2000.
-
Cocchia A. “La Marina Italiana nella seconda guerra
mondiale” - Volume VI “La difesa del traffico con
l’Africa settentrionale dal 10 giugno 1940 al 30
settembre 1941” - U.S.M.M. 1978.
-
Cocchia A. “La Marina Italiana nella seconda guerra
mondiale” - Volume VII “La difesa del traffico con
l’Africa settentrionale dal 1° ottobre 1941 al 30
settembre 1942” - U.S.M.M. 1976.
-
De Belot R. “La guerra aeronavale nel Mediterraneo
1939 - 1945” - Longanesi 1971.
-
De Felice R. “Mussolini l’alleato” vol. II - Einaudi
1996.
-
De La Sierra L. “La guerra navale nel Mediterraneo
1940-1943” - Mursia 1976.
-
De Toro A. “La difesa del traffico e la flotta
italiana in guerra” - Storia Militare, settembre
1994.
-
Fioravanzo G. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume VIII “La difesa del
traffico con l’Africa settentrionale dal 1° ottobre
1942 alla caduta della Tunisia” - U.S.M.M. 1964.
-
Fioravanzo G. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume I “Dati statistici” -
U.S.M.M. 1972.
-
Fioravanzo G. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume II “Navi militari perdute”
- U.S.M.M. 1975.
-
Fioravanzo G. “L’organizzazione della marina durante
il conflitto” - Volume XXI Tomo II - U.S.M.M. 1975.
-
Fioravanzo G. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume IV “Le azioni navali in
Mediterraneo dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941” -
U.S.M.M. 1976.
-
Fioravanzo G. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume V “Le azioni navali in
Mediterraneo dal 1° aprile 1941 all’8 settembre
1943” - U.S.M.M. 1970.
-
Fraccaroli A. “Italian warship of world war II” -
Ian Allan 1968.
-
Giorgerini G. “La battaglia dei convogli in
Mediterraneo” - Mursia 1977.
-
Giorgerini G. “Da Matapan al Golfo Persico” -
Mondadori 1989.
-
Giorgerini G. “La guerra italiana sul mare” -
Mondadori 2001.
-
Lupinacci P. “La Marina Italiana nella seconda
guerra mondiale” - Volume IX “La difesa del traffico
con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” - U.S.M.M. 1965.
-
Marcon T. “L’idroaviazione italiana nella 2ª Guerra
Mondiale” - RID, febbraio 1985.
-
Marcon T. “L’aviazione per il Regio Esercito” -
Storia Militare, agosto 1995.
-
Marcon T. “L’aviazione antisom in Mediterraneo -
parte 1ª” - Storia Militare, luglio 1999.
-
Petacco A. “Le battaglie navali del Mediterraneo
nella seconda guerra mondiale” - Mondadori 1976.
-
Santoni A. “La politica delle costruzioni navali del
fascismo” - Storia Militare, agosto 1994.
-
Santoni A., Mattesini F. “La partecipazione tedesca
alla guerra aeronavale nel Mediterraneo 1940-1945” -
Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri 1980.
-
Santoni A. “Tobruk run” ” - Storia Militare, marzo
2007.
-
Santoro G. “L’Aeronautica italiana nella seconda
guerra mondiale” - Vol. I e II - Edizioni Esse 1957.
-
Woodman R. “Malta convoys 1940-1943” - John Murray
2000.
ver. 2.1
|