La Campagna in Africa
Orientale 1935-1936
e i volontari
italoargentini
(del Prof. Hernan
Capizzano*)
Hernan Capizzano è un giovane professore di storia in Argentina (è nato
nel 1973). Ha attualmente in corso un lavoro di ricerca sul periodo
1930-1940 del suo paese ed ha già pubblicato alcune opere. Quello che
leggete è invece un capitolo, il settimo, del suo libro sugli
italoargentini durante la guerra d'Etiopia del 1935-1936 da me tradotto che mi ha
gentilmente concesso di pubblicare sul sito di Regio Esercito.
Antefatto del conflitto
Il 14 marzo 1934 Italia e Argentina firmarono un patto di non belligeranza
proposto da un progetto del cancelliere Saaveda Lamas. Con questo patto crebbe
l’intenzione pacifista dell’Argentina, ma come conseguenza si ebbe l’estendersi
delle sanzioni che la Società delle Nazioni impose all’Italia al momento
dell’attacco all’Etiopia, nell’ottobre del 1935. Mussolini desiderò
espandere la vocazione imperialista di un’Italia che aveva subito disastri a
tutti i livelli. Conquistare l’Etiopia, vendicando la sconfitta subita nel 1896,
fu la coronazione della nuova Italia fascista. Per questo Mussolini contò
sull’entusiasmo e sull’appoggio della maggioranza dell’opinione pubblica. Negli
anni precedenti si era cominciato a preparare militarmente per prepararsi alla
contesa. L’Italia già possedeva l’Eritrea e la Somalia, regioni che erano
separate dall’Etiopia, o Abissinia, e la missione era di unire questi territori
per far nascere l’Impero.
A partire dal 1930 cominciarono a verificarsi degli incidenti di frontiera fra
italiani e abissini. Furono intavolate velocemente incessanti trattative con il
Negus, ma Mussolini volle confermare il protettorato rompendo con il passato.
Tutti gli intenti per arrivare ad un accordo, inclusi i tentativi della Società
delle Nazioni, furono vanificati il 1° ottobre 1935 quando il Regio Esercito
prese l’iniziativa cominciando le operazioni militari.
Pur contando sulla
superiorità tecnica e militare, la campagna non fu una passeggiata per gli
italiani. Di base essi avevano quattro svantaggi:
-
Politico, vista
l’opposizione di quasi tutti gli stati del mondo incluso gli aiuti e il
sostegno delle nazioni europee nei confronti dell’Etiopia;
-
L’esercito abissino
possedeva una superiorità numerica molto importante;
-
Tatticamente la
posizione centrale dell’Etiopia rispetto ai territori coloniali dell’Eritrea e
della Somalia posseduti dagli italiani permetteva loro un miglior controllo
della situazione;
-
Per ultimo, il
terreno era un elemento molto ostile all’esercito italiano rispetto alla
conoscenza del terreno e alle capacità di movimento 1 del soldato
abissino.
Non vedremo qui tutta
la campagna militare che si può consultare su opere specifiche.
Il reclutamento in
Argentina
A Roma, il 6 agosto
1935, poco meno di un mese prima dell’inizio delle operazioni, venne rilasciato
un comunicato militare che fra le altre cose informava: “Si stabilisce la
formazione di una sesta Divisione di Camicie Nere, costituita da volontari
italiani residenti all’estero e con battaglioni composti da mutilati, ex
combattenti e volontari ex arditi della Grande Guerra. Questa Divisione si
chiamerà Tevere e sarà comandata dal generale Boscardi” 2.
Dal contenuto del
comunicato possiamo intuire che non si attendeva la costituzione della Divisione
Tevere per cominciare le operazioni. Inoltre, vista la sua composizione con
uomini di una certa età, come gli ex combattenti della Grande Guerra o con
mutilati, tutti volontari come gli italiani residenti all’estero, la Divisione Tevere
poteva
essere considerata come una divisione simbolo dell’eroismo e della volontà
italica. Di fatto, militarmente la Divisione Tevere non poté fare molto poiché la
comunicazione della sua formazione, indubbiamente, ritardò l’inizio della sua
entrata nelle operazioni militari. Riunire i contingenti in arrivo da altri
continenti voleva il suo tempo e solo nell’aprile del 1936 essa ebbe il suo
battesimo del fuoco.
Anche gli italiani
d’Argentina chiesero di partecipare come volontari nell’impresa in Africa
Orientale. Questo progetto imperialista italiano coinvolse come nessuna altra
causa la comunità italo argentina 3. Uomini che
niente avevano a che fare con il fascismo aderirono all’iniziativa di
Mussolini così come altri dimostrarono il loro totale rigetto. Por apoyo
o por rechazo la comunidad parecía definirse.
Secondo R.
Newton, la Comunità degli italoargentini reclutò un contingente di
volontari, per partecipare alla campagna dell'Etiopia, composto da più
di settecento uomini che partirono in quattro spedizioni successive. Il
caso dell'Argentina non era unico, nel Brasile il numero di volontari
era più grande ed ancora più quello dell'Africa francese.
Dal porto di
Buenos Aires partirono quattro contingenti di volontari durante i mesi
di ottobre e novembre. Il viaggio fu fatto con la nave Augustus il 1°
ottobre, con l’Oceania il giorno 11 e con il Conte Grande il 18. Il
quarto contingente partì il 19 novembre una volta che l’Augustus fece
rientro dall’Europa.
Nel lasciare
il porto di Buenos Aires un gran numero di parenti e di fascisti ha
salutò i futuri saldati. Li aspettava un viaggio di circa 20 giorni.
Dopo poche ore dalla partenza, la nave fece scalo a Montevideo dove
erano pronti i volontari italiani dell'Uruguay. Dopo alcuni giorni di
navigazione, furono imbarcati anche i volontari di Rio de Janeiro, dove
il numero degli accorsi era ancora più grande.
Fra i
volontari dell'Argentina c’era una sezione costituita dai fascisti
storici di Avellaneda e che era chiamata “Mayor Rosasco”. Fra questi
c’erano Felipe Simeone, Horacio Bianchetti, Ivo Cecarini e Patricio
Tribola, che partirono nel primo o nel secondo contingente 4.
La partenza di questi uomini, nella maggior parte italiani ed alcuni
figli di immigranti, desiderosi di combattere per il paese dei loro
padri, fu motivo di saluti particolarmente commoventi nel porto di
Buenos Aires. I volontari non erano solo residenti di Buenos Aires.
Alcuni italiani arrivavano anche dai porti più distanti di Mendoza,
Rosario e Cordova. Nel secondo scaglione viaggiarono italiani “porteños”,
“mendocinos” e “cordobeses” mentre nel terzo erano pronti
ad imbarcarsi 5 una cinquantina di “cordobeses”. Il reclutamento
degli italiani fu organizzato principalmente dagli agenti consolari e da
simpatizzanti fascisti. Tutto ciò non fu fatto in segreto, ma con
prudenza. D'altra parte i funzionari dei differenti consolati non
nascosero il loro appoggio alla spedizione, essi erano sempre presenti
negli atti di tributo e di saluto ai volontari. Chi collaborò in modo
attivo al reclutamento dei combattenti, fu un sacerdote, Onorato
Amendola di Tebaldi 6.
Questo
religioso che aspirava a diventare cappellano militare, era anche
giornalista e, non solo accompagnò il contingente fino alla sua partenza
per il fronte abissino, ma aveva già partecipato prima alla guerra del
Chaco come corrispondente (di guerra).
Nella così
detta “Chiesa Italiana”, appartenente ai padri salesiani, celebrò una
messa invocando l’aiuto di Dio sull’Italia e la sua benedizione su tutti
i volontari. La cronaca giornalistica riporta brevemente la sua partenza
con la nave Augustus con il quarto contingente: “ ...Padre Amendola
è stato salutato a bordo da una quantità nutrita di amici, che come noi,
che gli augurano un felice viaggio e un ritorno vittorioso. Un gran
numero ha riempito le banchine del porto, ai fianchi della Augustus
salutarono con evviva patriottici i volontari che marciano con rumore?
Verso l’Abissinia. Padre Amendola era al centro di questo valoroso
contingente che partiva elevando il suo spirito verso la vittoria. Il
distinto sacerdote presto ci trasmetterà le sue cronache” 7.
Il secondo
contingente contava fra i suoi volontari Saverio Patti, membro dirigente
della Unione Calabrese. Non diremo niente di particolare in questo caso
ma riferiremo di una lettera indirizzata al Giornale d'Italia e scritta prima di
partire in data 11/10/1935. La lettera ci darà un'idea di come il fascista italiano viveva
la mobilizzazione ordinata da Mussolini:
“Signor
Presidente della Società Unione Calabrese; membri della Commissione
direttiva; Camerati:
Contro i
selvaggi abissini, per un dovere patrio e per la fede al Duce, Capo
Supremo della nostra grande Italia, partirò venerdì prossimo, undici del
corrente mese per la Madre Patria come volontario nella guerra
italo-abissina. Come squadrista, vecchia Camicia Nera, ho la certezza
di prendere per il collo molti di quelli che un tempo furono un ostacolo
alla nostra grande impresa. A voi camerati il mio fervente saluto e i
miei voti con un “eja” sincero e caloroso alla Unione Calabrese” 8.
Di contro,
altri volontari esprimevano il timore di non arrivare in tempo. Adriano
Trebaiocchi, residente in San Isidro, dichiarava al Giornale d'Italia
“non vedo l'ora di partire, perché temo di non arrivare in tempo,
vista la piega che sta prendendo la politica internazionale”. Si
riferiva a come l'Italia stava manovrando favorevolmente la risposta
alle sanzioni.
L'impresa
indubbiamente ha svegliato in alcuni un sentimento di romanticismo. Non
si trattava solo di partire per un’avventura e andare a combattere per
la patria in terre lontane abbandonando la famiglia e il lavoro. Forse
altri, secondo Fanesi, sono stati tentati dalla possibilità di
sviluppare attività o di acquisire degli appezzamenti di terra. La cosa
certa è che si videro casi come quello del console generale Vincenzo
Tasco che decise di partire come volontario nel quarto contingente a
scapito della sua carriera diplomatica 9.
Inoltre
potrebbe essere osservato che non tutti fossero italiani. Molti erano
figli di immigranti, che erano nati in Argentina, che sentivano come
propria la chiamata di Mussolini agli italiani del mondo. Fra questi
argentini compaiono tra altri i volontari Emilio Carabelli, Achille
Borgatta, Michele de Nicoló, Giovanni Signorelli ed Italo Borgatta. Può
essere notata nei differenti contingenti la presenza di ex combattenti
della Grande Guerra alcuni dei quali ostentavano le loro decorazioni.
Fra i veterani della guerra erano Luigi Moglia, Uras Giammichele,
Raffaele Labonia e Diodato Zoratti.
La gran parte
della Comunità italiana era stata influenzata dall'impresa imperialista
come non lo era stata prima dal fascismo. Immediatamente, non appena
salpò il primo contingente, parecchie associazioni della Comunità
cominciarono a raccogliere sottoscrizioni in denaro a favore delle
famiglie che avevano un volontario partito per la campagna in Africa.
La sottoscrizione più importante fu organizzata dalla Federazione
Generale delle Società Italiane dove si poté vedere nella lista dei
sottoscrittori non solo le società e i centri, ma anche numerosi
individui 10.
In tutti i
modi i capi della Federazione dimostrarono la loro benevolenza e dipese da
loro il sostentamento alle famiglie dei volontari. Trasmisero una
circolare in tale senso ad una gran quantità di società che componevano
la loro organizzazione 11.
I contributi
che furono raccolti, non solo provvedevano alle famiglie ma erano
destinati al fine di sostenere la guerra etiopica anche prima delle
sanzioni internazionali verso l'Italia. Si cominciò col donare i soldi
e gioielli da parte di famiglie intere che si riunivano con quell’obiettivo 12.
Questi dati sono evidenziati dall'ambasciatore italiano allora in
Argentina che faceva presente lo stato di insufficienza degli aiuti: “Certamente
erano partiti alcuni volontari, erano state raccolte delle somme e una
certa quantità di merci durante il periodo delle sanzioni, ma era stato
fatto in misura grandemente inferiore rispetto a quanto si sarebbe
potuto sperare da un paese costituito per una buona metà da italiani...13".
Le parole pessimistiche dell'ambasciatore sarebbero adatte se si
riferissero al popolo degli immigranti come fascisti, però abbiamo visto
che non è stato così, e che solo una metà era composta di italiani. In
realtà, nonostante l’individualismo permanente della maggioranza e
nonostante l’antifascismo, la causa abissina poteva essere un buon
motivo per provare ad unificare gli spiriti e le intenzioni. A Rosario,
per esempio, una ventina di società e di centri italiani si trovarono
d’accordo nel firmare un manifesto in cui pubblicamente si impegnavano
a mettere da parte le rivalità per il bene della causa dell'Italia in
Africa Orientale 14.
Anche
individualmente furono prodotte delle definizioni a favore dell’Italia.
Fu possibile aderire al boicottaggio contro i prodotti inglesi poiché
questa nazione guidava l'offensiva antitaliana della Società delle
Nazioni. Però la coerenza assoluta ebbe il suo maggiore esponente
nell'industriale Vittorio Valdani. Questi svolgeva una funzione pubblica
come diretto dipendente dello stato argentino. Quando il paese votò
contro l'Italia nella Società delle Nazioni, Valdani sentì il dovere di
dimettersi dal suo incarico alla Dirección del Impuesto a los Réditos 15
(Direzione delle Imposte sui redditi).
Nella
campagna
I contingenti
di italoargentini cominciarono ad arrivare in Italia a partire dal 17
ottobre. Il primo, imbarcato sull’Augustus, arrivò con 450
uomini fra i volontari di Argentina, Uruguay e Brasile. A Mogadiscio,
nella Somalia italiana confinante con l'Etiopia, arrivarono già
all'inizio di dicembre del 1935 potenziando la Divisione Tevere.
Furono accampati colà e passarono agli ordini diretti di Piero Parini,
un leggendario fascista funzionario di Mussolini ed ex combattente della
Grande Guerra. I volontari attesero quattro mesi a Mogadiscio prima di
poter essere condotti in battaglia. È possibile che questo ritardo fosse
dovuto, oltre che al tempo necessario per costituire ed addestrare la
divisione, ad un problema di mobilità poiché i volontari parteciparono
alla campagna solo quando arrivò un gran numero di camion dagli Stati
Uniti per il relativo trasporto. Veicoli che furono donati dalla
Comunità italiana di quel paese.
Mentre alcuni
volontari stavano arrivando dall'Italia la situazione in Argentina,
andava parallelamente crescendo con una propaganda sia anti-italiana che
pro-italiana. Già a partire da vari mesi prima dell’inizio delle
operazioni militari, la sinistra antifascista cominciò a promuovere
l'opinione contro tutto l'intervento italiano in Etiopia. All'interno e
fuori della collettività, si organizzavano conferenze, riunioni e nuovi
fronti antifascisti. Il “Comitato degli Italiani all'Estero contro la
guerra di Abissinia” organizzò un atto di considerevoli proporzioni
durante la prima settimana di ottobre come la risposta alle prime
operazioni italiane in Etiopia. Ventimila persone corsero a Plaza de
Italia a Buenos Aires per protestare contro l'invasione fascista.
Dall’altra
parte, le associazioni italiane favorevoli ai fascisti provarono ad
agitare l'opinione pubblica a favore della contesa. Si trattò di
propagare l'idea che l’Abissinia era una causa patriottica e di tutto il
popolo italiano. Oltre che i volontari e le già accennate collette, fu
organizzato un Comitato pro Italia che pubblicava le dichiarazioni in
parecchi giornali a difesa della causa italiana e che affrontano le
sanzioni promosse dalla Società delle Nazioni. Inoltre furono
realizzate delle conferenze presso i consolati permanenti in modo da
spiegare i particolari e gli antefatti della campagna italiana in
Abissinia. Basta leggere il Giornale d'Italia per avere un'idea della
mobilizzazione causata da questo tema. Risulta essere chiaro che non si
poté realizzare un incontro di massa come lo fecero gli antifascisti.
Nella collettività il fascismo continuava ad essere una minoranza anche
se più rispettabile di quella del decennio precedente.
Come abbiamo
già affermato, chi comandava i contingenti dei “fasci all’estero” era
Piero Parini. In Etiopia la sua unità prese il nome di “Legione Parini”
e militarmente era integrata nella Divisione Tevere con la
denominazione di 221a legione. Nell’aprile del 1936 questa
unità era pronta ad entrare in battaglia, con le limitazioni proprie di
un contingente che includeva mutilati della Grande Guerra, uomini
anziani e italiani lontani dalla propria terra e dalle arti militari.
In effetti, la campagna militare era già determinata e già molto avanti
a favore degli italiani. Malgrado ciò, all’inizio del mese fu dato loro
ordine di prepararsi ad avanzare all’interno di una offensiva generale
che partiva dal sud dell’Abissinia. Essi facevano parte della colonna
del generale Frusci ed entrarono in combattimento il giorno 24 sulle
alture di Gomar e Dane. La Legione Parini era schierata al centro,
mentre alle sue parti c’erano unità arabe e somale che combattevano per
l'Italia. Così un Generale italiano riferisce le azioni:
“La
resistenza del nemico è sanguinosa, l'attacco più risoluto lo ricaccia
sulla fossa di Birgod, posizione fortificata di rinforzo, ad avanguardia
della linea di difesa principale di Hamanlei. Durante il giorno 24, gli
assalti succedono agli assalti; la difesa è sempre tenace. Le caverne
ben dissimulate offrono un sicuro riparo e le numerose mitragliatrici di
cui dispongono gli abissini permettono di tenere a distanza le nostre
valorose unità. Durante la notte, dopo un ultimo tentativo di
controffensiva, la difesa si ripara nelle trincee e nelle caverne della
posizione principale. All'alba del 25, il Generale Frusci fa avanzare
le batterie da 65 a trecento metri dal nemico e, dopo una violentissima
azione di fuoco, lancia all’assalto le unità del settore centrale
composta dalle unità arabo-somali…” 16. Da allora si
produsse una grande quantità di perdite fra gli arabo-somali che si
lanciarono in uno scontro corpo a corpo. Secondo la relazione, la
Legione Parini partecipò accusando una sola perdita. Infine la
posizione fortificata di Hamanlei fu conquistata il giorno 25 aprile.
Questo fu il battesimo del fuoco per la Legione Parini.
Per il giorno
29 i “fasci all’estero” in Abissinia si dedicarono ad inseguire il
nemico in ritirata. L’aspetto più duro della lotta era forse dover
combattere su un terreno pantanoso e inondato dalle piogge di una
furiosa tempesta. Senza altra resistenza furono catturati altri luoghi
prima dell'avanzata delle varie unità italiane. I giorni successivi si
continuò ad avanzare e il problema più grande fu il terreno ed il
clima. Per il 9 maggio, la Legione Parini arrivò definitivamente a Dire
Daua.
Si ebbero
cinque morti in tutta la campagna. Il contingente più grande arrivò a
Buenos Aires nel dicembre 1936 17. Evidentemente i volontari
italoargentini avevano fatto parte di una unità militare più simbolica
che combattente, il cui reclutamento era stato più utile per la
propaganda fascista di quanto effettivamente fece in campo bellico.
Tuttavia, i volontari dovettero affrontare i rigori del clima, di una
terra e di una geografia ostile, lasciando i loro posti di lavoro
quotidiano in onore di una causa che consideravano patriottica 18.
NOTE
1 Aldo Cabiati, “La conquista del Imperio”, Círculo Militar,
volume 257, Bs As, 1940, pag. 135.
2 Aldo Cabiati, ibid..., pag. 266.
3 Così sostiene Ronald Newton. Al contrario, Llairó
e Siepe
affermano l’indifferenza della comunità italo argentina a
fronte del conflitto etiopico.
María
Monserrat Llairó y Raimundo Siepe, “La Argentina en la
Sociedad de las Naciones; La agresión de Italia a Etiopía”,
en “Desmemoria”, n° 16, oct-dic 1997, Buenos Aires,
pag. 55-56.
4 Crisol 03/10/1935 y 13/05/1936.
5 Giornale d´Italia 06, 11 y 29/10/1935.
6 Honorato Antonio Améndola de Tebaldi era
figlio di un colonnello italiano morto nel 1915 e di Edwige
Tebaldi. Nacque a Pesaro, Italia, il 19 febbraio 1901. Partì
con la famiglia per l’America nel 1924. Due anni più tardi fu
ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di La Plata. Poco più
tardi, si iscrisse nel Fascio di Bahía Blanca. Fu economo,
parroco, e vicario foraneo del suo arzobispo. Pacheco come
Capellano Vicario. Temporaneamente ebbe l'incarico di professore
di italiano
e filosofia all'Università nazionale. Nel 1931 fondò l'associazione Goliárdica de Artístas e
Periodístas. Nel 1934 fu delegato e oratore durante il XXXII
Congreso Eucarístico Internacional di Buenos Aires. Fu
membro corrispondente della Ciencias y Letras di Roma.
Nel 1960 ha compiuto il ministero del Gral.
7 Crisol, 15 e 20/11/1935.
8 Giornale d´Italia, 11/10/1935.
9 Giornale d´Italia, 17/11/1935.
10 Giornale d´Italia 15, 25, 30/10/1935 e
03/11/1935. In tutti i numeri corrispondenti a questo
giorno, compare una estesa lista di contribuenti.
11 Giornale d´Italia, 05/10/1935. Altre
sottoscrizioni importanti furono realizzate dal Club
Italiano, Unione Calabrese e dalla società Nazionale
Italiana.
12 Testimonianza di un italoargentino. In uno
di questi casi un imprenditore italiano, insieme al
famoso aviatore Olivero, organizzarono la colletta
riunendosi in una fabbrica di artigiani. Guglielmo Borghini
per esempio donò le sue medaglie d’argento vinte alle
prove sportive di Firenze. Giornale d´Italia, 15/10/1935.
13 Pietro Rinaldo Fanesi, ibid..., pag. 83.
14 Giornale d´Italia, 27/10/1935.
15 Giornale d´Italia, 23/10/1935.
16 Aldo Cabiati, ibid..., pag. 207.
17 Ronald Newton, ibid..., pag. 410-11.
Pietro Rinaldo Fanesi, ibid..., pag. 97.
18 Viene qui riportato il discorso del
Maresciallo Graziani tenuto alla 221a e 321a
Legione dei Fasci Italiani all´Estero quando partirono da
Addis Abeba il 25/08/1936 per ritornare in Italia. Erano
presenti i generali Pedretti, Gariboldi, Gallina e Broglia.
Il discorso è presente in un quotidiano della collettività
italiana di Buenos Aires chiamato Il Mattino d´Italia
con data 25/08/1936.
"Ufficiali, graduati, legionari:
Potete partire soddisfatti di voi stessi, cosí come io
sono soddisfatto di voi. Nei disagi, gagliardamente sopportati, come nei
combattimenti, valorosamente sostenuti, avete assolto in pieno il vostro
dovere di soldati dell¨Italia fascista.
Il vostro
sangue generoso ha contribuito a fecondare il nuovo impero d´Italia
voluto dal Duce, germogliato dalla Rivoluzione fascista, realizzato dai
soldati d´Italia nel nome del Re.
Tornate ora ai
lontani paesi esteri dai quali siete venuti e tornatevi con la fronte
alta a rappresentarvi la nuova Italia vittoriosa. Cittadini dell´Impero
d´Italia, siate sempre all´estero buoni italiani come siete stati buoni
soldati. Ovunque andiate e in qualsiasi circostanza, siate sempre
orgogliosi della vostra patria, sempre fieri di appartenere al nostro
popolo millenario che nulla ha da apprendere dagli altri, che alle altre
genti molto ha insegnato nei secoli come ora.
Oltre che alla
conquista dell´Impero avete avuto l´onore di contribuire al suo
consolidamento nelle recenti operazioni di polizia coloniale durante le
quali foste gli stessi superbi legionari di Sassabaneh.
Bravi. Che la
vita ora vi sorrida e la fortuna vi assista. In alto i gagliardetti
gloriosi.
Saluto al Re!
Saluto al Duce!"
FONTI
H. Capizzano, "La Campagna in Africa Orientale del
1935-1936 e i volontari italoargentini"
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