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La guerra segreta delle onde

 

 

 

Gli esperimenti che nell'estate del 1935 Guglielmo Marconi ebbe a compiere con la sua nave «Elettra» in prossimità di Santa Margherita Ligure, riempirono di eccitazione le fantasie. In pieno conflitto diplomatico con l'Etiopia e quando già gli abitanti del litorale contavano le navi da carico partite per Massaua e marinai facevano il conto delle scadenze dei turni d'imbarco, da quell'atteggiamento di fredda sicurezza del Governo Italiano, si traevano conferme indirette delle voci correnti.

Guglielmo Marroni - si diceva - ha scoperto il segreto per far scoppiare a distanza i depositi di proiettili, per fermare i i motori di aeroplano, per distruggere, quando e come voglia. ogni efficienza nemica. Poiché in realtà quanto di misterioso avvolgeva nell'isolamento dell'impervio altipiano i progressi raggiunti negli ultimi anni dall'esercito etiopico, induceva a favoleggiare di eserciti resi formidabili dall'armamento moderno, del disprezzo che hanno della morte gli abissini di cui il terribile slancio avrebbe tutto travolto, dall'istinto manovriero di cui quel popolo è dotato per cui ogni vallata ed ogni burrone avrebbero potuto diventare una trappola per un esercito avanzante, infine dalla impenetrabilità dal terreno, favorevole ad azioni di agguato o di guerriglia in modo che pochi guerrieri decisi avrebbero potuto tenere in scacco i migliori raparti europei, lo spirito pubblico si acquietava in quella specie di sicurezza.

Una netta smentita venne a mettere le cose a posto: gli esperimenti marconiani riguardavano le micro-onde il cui impiego nelle trasmissioni a brevi distanze quali erano consentite dall'avanzamento della tecnica in qual momento, garantivano quel segreto delle comunicazioni quale non è possibile ottenere con l'impiego di altra gamma d'onda facilmente intercettabili. Se però nella guerra mancò l'onda distruttrice non mancò invece la guerra segreta dalle onde.

Per comprendere tutta l'importanza della comunicazioni radio in guerra bisogna rifarsi ai precedenti dal conflitto mondiale. "All'inizio di esso - narra il generale Cartier che durante la conflagrazione diresse il servizio cifra francese - nostri posti di ascolto intercettarono un testo di cui ecco l'equivalente in italiano: etata pnoce ttelo tocom aigna miggo. Dobbiamo confessare che dinanzi a questo primo enigma qualche novellino provò un certo senso di sgomento ma ecco cha il nemico inviava allo stesso corrispondente un massaggio dalla stessa lunghezza emesso dalla stessa stazione: oggim angia mocot olett econp atate, Non era difficile dopo di ciò rendersi conto dal significato della frase: oggi mangiamo cotolette con patate".

Si trattava di una comunicazione scherzosa fra la stazioni di due raparti? oppure era una specie di irrisione al sistema criptografico francese? od anche più probabilmente era una semplice trovata di propaganda, un sistema par far sapere al mondo che la Germania in guerra conservava il suo buonumore e soprattutto aveva modo di trattare i soldati con la massima larghezza?

Non ci si preoccupò di dar risposta all'una o all'altra domanda, ma si cercò piuttosto di identificare la stazione trasmittente per seguirne le comunicazioni poiché, in guerra, ogni comunicazione, anche la più innocente, scopre qualche cosa e le comunicazioni inutili sono senz'altro delle imprudenze. Se peraltro il messaggio aveva lo scopo di ostentar disprezzo per il servizio criptografico degli Alleati sottoponendolo inizialmente alla prova di un indovinello tanto ingenuo da apparire perfino ingiurioso, costituì un errore di psicologia, perché non conviene mai disprezzare il proprio avversario. Fu difatti in questa atmosfera di presunta superiorità che i tedeschi commisero una serie di imprudenze.

Quanto alle stazioni degli Alleati, anche esse, in questa prima fase della guerra delle onde, commisero certamente una serie di errori per cui può dirsi che nessuna delle grandi azioni per la riuscita delle quali si contava sulla sorpresa fu ignota all'avversario che, attraverso le intercettazioni, ebbe perfino a conoscerne l'ora di inizio, ma tuttavia furono presto in grado di intercettare la quasi totalità delle comunicazioni con un numero di parole che soltanto per quel che riguarda la Francia si considerò superiore ai cento milioni.

Poiché naturalmente le principali comunicazioni venivano irradiate in cifra, accanto al servizio di intercettazione si ebbe quello criptografico e bisogna dire che in tale ufficio nessuno fu in grado di superare gli specialisti italiani dimostratisi subito i più celeri, abili e geniali, ai quali spesso si dovette ricorrere per consiglio.

Durante la guerra mondiale non esisteva ancora la telefonia senza fili e però le intercettazioni riguardavano soltanto i radiotelegrammi, ma poiché sulle linee si faceva larghissimo uso di telefoni dalle linee volanti con isolamento che lasciava molto a desiderare, si pensò di sfruttare il fenomeno della induzione che manifestandosi sul terreno permetteva, a mezzo da un induttore piantato nel suolo nemico oltre lo proprie linee, di creare una specie di derivazione alla linea principale degli avversari di cui il nuovo estremo andava a finire nel posto d'ascolto di qualche trincea avanzata. Può affermarsi che proprio da questi esperimenti sia nata la telefonia senza fili che doveva aver, così gran sviluppo subito dopo la guerra; comunque alle complicazioni create dal nuovo sistema, veniva ad aggiungersi l'arduo, complicato, massacrante lavoro dello comunicazioni marittime allorché la guerra sottomarina sembrò dovesse cambiare i connotati al volto già tanto severo e crucciato della guerra.

Se tutti i trasporti fra l'Italia e la Francia son potuti giungere a destinazione senza che alcuno di essi silurato ciò si deve soprattutto ai servizi radiotelegrafici e criptograficì...

Quanto ai siluramenti in altri settori essi si verificarono là dove l'avviso radiotelegrafico non poté giungere salvo nel caso del "Lusitania" che, forse sicuro della propria incolumità, non volle, secondo il consiglio, modificare il proprio itinerario che doveva condurlo al terribile annientamento.

Anche le grandi navi dell'aria, gli "Zeppelin", erano seguiti minuto per minuto. Un fatto curioso consentiva di prevedere le incursioni delle areonavi, perché esse erano infallibilmente precedute da un radiotelegramma meteorologico emesso dalla stazione di Zeebruge e che un posto sulla costa tedesca soleva ripetere probabilmente perché fosse più chiaramente inteso dall'equipaggio del dirigibile. Il radiotelegramma indicava la direzione e la velocità del vento a varie altezze, ma il giorno in cui la Germania perdé tre delle sue migliori unità aeree, il telegramma era incompleto di tali indicazioni e la piccola flotta che procedeva sicura del bel tempo verso la casta inglese, fu invece presa da raffiche che la spinsero verso il continente, tre unità trovando la loro fine sul territorio francese.

Ben s'intende che il servizio radio lavorasse d'accordo anche col servizio riservato e cioè coi servizio dello spionaggio, e - episodio che più di ogni altro ha colpito le fantasie o il suo carattere romantico - si deve a questa collaborazione l'arresto della famosa Mata Hari.

L'allora capitano Ladoux che diresse il servizio del controspionaggio francese, ha potuto precisare nelle sue memorie come appunto a mezzo di un radiotelegramma egli apprendesse che un diplomatica spagnolo, noto per la sua germanofilia, era stato incaricato di trasportare nella valigia il segreto di un nuovo cifrario che doveva servire allo scambio d'informazioni fra la Spagna e la Germania. Il Ladoux espose subito il progetto, poiché quel diplomatico doveva passare dalla Francia, di inscenare nel momento che egli stava per cambiar treno, - una specie di rissa fra facchini, che avrebbe consentito con un casuale quanto opportuno spintone, di togliere la valigia al suo legittimo proprietario, ma tal progetto, per ragioni di convenienza politica, fu senz'altro respinto. La notizia aveva però richiamato l'attenzione sulla importanza delle comunicazioni con la Spagna e della funzione che questa rivestiva nella condotta della guerra tedesca. Si seppe dell'arrivo di un sottomarino a Cartagena dove sembrava fosse organizzato un posto di rifornimento e la necessità di conoscere il cifrario per le comunicazioni fra Germania e Spagna si manifestò anche più impellente. Poiché la valigia diplomatica per non correre rischi in mare passava per la Svizzera e traversava la Francia e la radio indicava all'arrivo e al ritorno gli orari di partenza, si riuscì durante una sosta di frontiera a sottrarre per qualche minuto la valigia riuscendo a fotografarne, in un tempo pur così breve, tutta quella parte del contenuto che sembrò interessante.

Era appunto in quell'epoca che Mata Hari già al servizio dello spionaggio francese cominciava ad essere sospettata di intese con le autorità militari tedesche. Il capitano Ladoux la fece chiamare e brutalmente le annunciò che, essendo ormai diventata sospetta, egli aveva ordine di farle raggiungere al più presto il confine olandese. La danzatrice negò da parte sua ogni addebito e per provare la sua fedeltà chiese d'essere inviata a Stenay nel Gran Quartier Generale tedesco dal quale, data la sua amicizia personale col Principe ereditario, avrebbe potuto recare le più importanti informazioni. Aggiunse Che essendo follemente innamorata del capitano Marloff, ufficiale russo che combatteva sul fronte francese, valoroso ma spiantato, desiderava costituirsi la propria dote e sottovoce indicò la cifra di un milione. L'accordo fu concluso, ma il capitano Ladoux lo fece seguire da un avvertimento: «In caso di tradimento sarete fucilata». E fu tanto abile da indurla per stornare qualsiasi sospetto nella sua gita in Germania, di recarsi prima per qualche tempo in Spagna.

Traversata la frontiera, Matti Hari si recò dall'addetto militare tedesco a Madrid e fu questi, Von Kallè, che radiotelegrafò al Gran Quartiere generale tedesco che l'agente H 21 del centro di Anversa, chiedeva istruzioni. Subito la risposta del Gran Quartiere Generale ordinò il ritorno in Francia aggiungendo che al Comptoir d'Escompte, sul conto della Cancelleria di uno Stato neutro l'interessata avrebbe potuto prelevare 15.000 pesetas. Accanto allo sportello della banca la aspettavano due guardie francesi e qualche mese più tardi, accanto al pilone di Vincennes, la salva di fucileria della esecuzione.

In un settore più lontano, l'intercettazione di un segnale radio, scopre la presenza della flotta dell'ammiraglio Von Spee e porta gli inglesi in caccia a vendicare alle Falkland il disastro di Coronel, mentre resta resta ancora un enigma il fatto che la flotta tedesca uscita dalla Baia di Heligoland, serrata fra la costa inglese e lo schieramento delle navi britanniche, abbia potuto sfiorare inavvertita la flotta avversaria in una confusione di segni radiotelegrafici che potettero sviare l'attenzione degli inglesi.

Per l'aggiustamento del tiro delle artiglierie, per la segnalazione dei movimenti del nemico anche gli aeroplani si mettevano frattanto a punteggiare il cielo dei loro segni, e, per i servizi dei comunicati, per controbattere le false notizie, per creare nei paesi ancora indecisi od amici vaste correnti di opinione favorevole, per inviare incitamenti od appelli, perfino perché l'imperatore Guglielmo possa comunicare riservatamente col Presidente Wilson intorno alle possibilità di un non intervento americano, la guerra delle onde intreccia i suoi aerei arabeschi nell'immenso tappeto del destino, mentre cresce, cresce ogni giorni, con l'aggiunta di voci nuove, l'immensa clamore che alla fine reclama la cessazione della strage.

Fatta esperta dei servizi resi dalla radio nel conflitto mondiale, arricchita dalle risorse della nuova tecnica, l'Italia ha fatto della propria organizzazione radio uno dei mezzi di vittoria nell'Africa Orientale. Su nessun territorio tale sistema di comunicazioni poteva dare miglior risultato. La grande guerra aveva immobilizzato gli eserciti nelle posizioni e aveva dato alle avanzate lo slancio di pochi chilometri. In Africa ogni posizione che cadeva, ogni resistenza che veniva travolta, portava invece a sbalzi di centinaia di chilometri lungo i quali ben difficile sarebbe stato svolgere i fili delle normali comunicazioni telegrafiche e telefoniche. Era inoltre in faccia all'esercito attaccante il senso della immensità che è caratteristico dell'Africa e però nulla, per mantenere le comunicazioni fra i reparti operanti spesso a distanze che alla normale considerazione potevano apparire sconfinate, serviva meglio che una rete di comunicazioni radio il cui funzionamento sarebbe stato certamente più sicuro che non quello di una rete ordinaria di cui i fili potevano essere tagliati dal primo predone o dal primo infiltratore che fosse riuscito ad occultarsi fra il pietrame di un uadi disseccato o sperdersi nell'immensa solitudine dei luoghi.

Caratteristica precipua della guerra combattuta in Africa è stata appunto questo sostituirai nelle comunicazioni del sistema senza fili al sistema con filo, sebbene il servizio del genio militare non abbia mancato di distribuire durante la campagna, ben 35.000 chilometri di cordoncino telefonico.

Poiché tale nuova tecnica delle comunicazioni anticipa forse l'avvenire non mancherebbe d'interesse un esame dettagliato dei sistemi tecnici sui quali veniva basata. Ci limiteremo peraltro ad accennare che il servizio venne regolato in rapporto ad una specie di gerarchia di potenzialità degli impianti la quale mentre da una parte prevedeva impianti fissi a carattere stabile ed impianti fissi facilmente spostabili dall'una all'altra località quali furono quelli presso i campi di aviazione e presso le sedi dei grandi comandi attraverso gli impianti camionati, giungeva alla capillarità degli apparecchi volanti dati in dotazione ad ogni reparto, apparecchi che, come quelli montati a bordo degli aeroplani di un tipo assolutamente italiano, erano considerati ed hanno dimostrato di essere, fra i migliori se non i migliori del mondo.

Primo problema da risolvere era quello delle comunicazioni a grande distanza con la madre patria. La marina da guerra che in fatto di comunicazioni radio ha una tradizione propria da quando collaborò con Marconi alle esperienze iniziali di comunicazione a grande distanza provvide immediatamente, e cioè fin dal periodo dell'avanzata preparazione, a rinforzare il traffico radiotelegrafico.

Alla fine del 1934 essa aveva costruito e gestiva in Eritrea e in Somalia 34 stazioni radioriceventi e trasmittenti, due delle quali, quelle di Asmara e Mogadiscio, idonee al traffico intercontinentale e munite di apparati di grande potenza con trasmissioni automatiche celeri che consentivano di disimpegnare anche un importante servizio commerciale. Le nuove grandi esigenze e l'incremento del traffico che ne derivò, resero necessario non soltanto l'aumento delle stazioni, che in breve tempo furono portate a 50, ma altresì il loro perfezionamento e il miglioramento della stazione radio Roma-S. Paolo, testa di linea metropolitana delle comunicazioni radio con l'Africa Orientale. Con tali provvedimenti fu possibile sopperire ai crescenti bisogni ed ottenere negli ultimi mesi di guerra la trasmissione e ricezione di oltre 60.000 parole al giorno, 40.000 delle quali assegnate al servizio della stampa nazionale ed estera. Venne quindi, in aggiunta. il collegamento radiotelefonico. In circa tre mesi la Marina impiantava la grande stazione radiotelefonica trasmittente e ricevente di Asmara e i cieli africani si riempivano di nuovi echi, di parole che echeggiavano una sola parola: la vittoria.

Di pari passo avviandosi la conquista a tappe sempre più rapide e seguendone l'organizzazione dei territori occupati, anche la rete delle comunicazioni aeree si accresceva con l'annessione al nostro servizio delle stazioni che il nemico era costretto ad abbandonare, ultima in ordine di tempo quella dagli stessi italiani costruita, quella che portava il nome dell'ideatore Accademico Vallauri, la stazione di Addis Abeba.

Un apparecchio vola alto e trasmette una semplice cifra ad una batteria. Segnala quindi la scarto del primo colpo, poi di quello che segue, poi ancora del terzo, fino a che il bersaglio è colpito. Questo e un aggiustamento di tiro. Giungono invece dall'alto ad un comando segni convenzionali: questo costituisce l'avvistamento di un movimento di truppe, la segnalazione del punto in è giunta una colonna marciante. dei cui risultati di una missione effettuata, l'assicurazione che nel cielo si è vivi.

In una formazione di pattuglia o di stormo aereo un apparecchio invece chiama l'altro. Voci amiche nel cielo, modo di incoraggiarsi a vicenda, oppure disposizioni par un'azione che dovrà essere fatta in un certo ordine. A quale profondità si nel territorio nemico? Avete subito danni? Un apparecchio che si piega verso terra, che colpito è costretto ad atterrare fuori campo, vede un compagno che lo segue e l'equipaggio è sicuro che se il proprio segnale di incidente non è pervenuto alla stazione del campo, non mancherà di pervenire quello dell'apparecchio indenne. È raro che qualcuna di queste voci calme, tranquille nel pericolo, si spezzi ad un tratto. In tal caso è il dramma.

Anche in basso - se pur nel caso della radio l'espressione può aver significato - si svolgono colloqui. Sono reparti che si scambiano le loro posizioni, sono richieste di rifornimenti o di vettovagliamenti, sono notizie dell'avanzata. Una piccola stazione chiama l'altra. Un posto avanzato comunica con un comando di reggimento, un comando di reggimento trasmette ad un comando di brigata, il comando di brigata riferisce ad un comando di settore, il comando di settore si rivolge al comando di corpo d'armata, il comando dì corpo d'armata informa il comando delle operazioni. Balzano le parole come le palle dalle racchette in una partita di tennis, come un tempo alla chiusura di una giornata i raggi di sole dagli specchi degli eliografi nelle antiche campagne coloniali inglesi. Quanto progresso da allora! Intanto nominativo tale, chiama nominativo talaltro. - Mi senti? - Ti sento! - Come è consuetudine, ogni frase si ripete tre volte allungando i colloqui che si intrecciano a intere giornate di marcia. - Collazionato, ripetete testo. - In chiaro o in convenzionale, rovesciandosi dall'uno all'altro apparecchio, la comunicazione si riproduce monotona. A sera, adunata generale, rapporto ideale dì tutti i mille - ché tanti furono - apparecchi dello schieramento. - «Dare situazione e novità»... - Se una voce mancasse all'appello, bisognerebbe pur dire che un reparto è stato sopraffatto: apparecchi come questi difficilmente ammutoliscono in modo diverso.

Le stazioni dell'aviazione ricevono da parte loro i nominativi, dal cielo. Segnano la rotta ideale ad apparecchi che superano i mari, trasvolano ì deserti, scavalcano le montagne, ingoiano lungo il loro corso le foreste, apparecchi che giungono dall'Italia o vanno, carichi di posta, di notizie, di affetti, dì tutta la trepidazione di un popolo verso i suoi figli. - Vi sentiamo, vi sentiamo, vi sentiamo. - Vostro volume buono, buono, buono... date posizione, date posizione... calcoliamo tanti chilometri, tanti chilometri, tanti chilometri, abbiamo detto tanti.. condizioni atmosferiche... -

Voci che sì trovano e si perdono. Prima che comincino a trasmettere le cartelle dei loro servizi, avventurando le sensazioni ed ì racconti in quel che appare il baratro dell'infinito, i giornalisti odono ì colloquia impassibili dei telegrafisti: - Roma, Roma, Roma... parla Asmara, parla Asmara, parla Asmara, uno, due, tre, quattro, cinque, sei.. pronti Asmara... -

Abbiamo parlato così della radio come mezzo di guerra messo a disposizione di comandi e reparti per le loro comunicazioni palesi od occulte. Ma è oltre tale impiego che ha inizio la guerra delle onde, in cui gli apparecchi assumono personalità propria, funzione di protagonisti.

L'applicazione delle sanzioni ha diviso il mondo in due parti: vaste correnti dì opinione pubblica si manifestano in favore della civiltà, o, ligie ai precetti di Ginevra e al mobilitato spirito di sopraffazione delle nazioni soddisfatte, in favore dei principi della democrazia, dell'autodecisione dei popoli, nel famoso quadro societario. Verso l'una o l'altra corrente la forza occulta che guida il Negus nelle sue iniziative e nei suoi atteggiamenti, lancia a mezzo della stazione radio dì Addis Abeba, ì suoi incitamenti, i suoi appelli, le sue falsità. Poiché le notizie partono da un mondo inviolabile, dove nessun controllo è possibile, si accreditano le voci più fantastiche, ché l'assoluta libertà della fantasia ha vantaggio nel creare ì più impensati effetti di commozione. Si fabbricano così notizie dì strepitose vittorie, di eserciti italiani accerchiati o in pericolo, di defezioni di interi reparti, di bombardamenti aerei che hanno fatto strage di donne e bambini, di ospedali distrutti con fredda premeditazione servendosi delle croci rosse come di bersagli, di immense nuvole vaganti di gas asfissianti. Tre, quattro volte, si annuncia la rioccupazione di Macallè, due o tre volte l'invasione dell'Eritrea.

La speculazione internazionale, impadronendosi dell'elemento di curiosità e di commozione di queste trasmissioni, la tenue voce di Addis Abeba, si moltiplica nel coro delle voci di tutta la potente organizzazione radio internazionale in possesso dei paesi aderenti a Ginevra.

A controbattere il coro, la voce di Roma è sola. Servizi quotidiani per tutte le destinazioni: per l'America del Nord e del Sud, per l'Estremo Oriente, per il Mediterraneo, nella propria lingua per ogni paese europeo, servizi ad onde corte perché possano andare nelle più lontane parti del mondo. I collegamenti con reti nazionali di altri paesi, salvo poche eccezioni di paesi amici, impossibili. Dopo le tempestose giornate di Ginevra in cui le sanzioni vengono decise, Guglielmo Marroni chiede di poter esporre le buone ragioni dell'Italia agli ascoltatori del Nord America. La Radio inglese si nega a far da tramite. L'inventore della radiotelegrafia non ha diritto dì servirsi del proprio mezzo. La Radio inglese è già sanzionista. Ancora in un'altra direzione si volge però la voce della Radio italiana. Niente polemica: serena, pacata, sicura, e indirizza ai soldati e ai lavoratori mobilitati «perché essi n sentano in alcun momento il distacco dalla Patria».

Nella solitudine d'Africa, grande solitudine anche quando si è in molti, giunge, unica voce femminile, quella della annunciatrice. Essa riassume tutte le voci delle madri delle fidanzate, delle sorelle. «Quando ci mandate le notizie della guerra sentiamo che la voce vi trema: non si legge così senza una grande commozione nel cuore», scrive un alto ufficiale alla «ignota della radio». Ma la commozione, meglio la trepidazione, è in tutti i cuori d'Italia. Nella lontanissima landa somala in cui il destino di combattente delle sabbie e del deserto lo ha cacciato, anche il Generale Grazìani ascolta attentamente. «Le notizie che mi giungevano attraverso Roma - ha avuto egli occasione dì dire - mi sono state di grande utilità, perché mi informavano meglio di ogni altro servizio degli avvenimenti nei diversi settori e determinavano quindi le mie decisioni».

Nell'atto stesso che si innalza l'antenna della radio abbandonata a Neghelli dai fuggenti di Ras Desta la voce di Roma gli comunicava il testo del telegramma col quale il Duce gli esprimeva le congratulazioni per la sua vittoria, telegramma che non aveva potuto pervenirgli dal suo comando lasciato indietro dalla fantastica cavalcata di oltre 300 chilometri.

Ma questo degli apparecchi nemici costituisce un altro argomento. Si cominciò con l'abbandono, da parte dell'operatore italiano che era preposto, della stazione di Harrar. Scoppiata la guerra, eludendo la sorveglianza strettissima, travestito da indigeno, il radiotelegrafista, dopo alcuni giorni di peregrinazioni e di stenti riuscì a raggiungere le linee italiane che nell'impeto del primo balzo gli sembrava corressero verso di lui. Poiché aveva sottratto alcune parti essenziali dell'impianto, la stazione taceva. Addis Abeba non riusciva più ad avere notizie degli eserciti di Ras Cassa e Ras Sejum in crisi di mobilitazione di avvicinamento e peggio avvenne quando nella faccenda intervennero le stazioni italiane. Informate ormai dei nominativi e dei convenzionali assumevano esse la voce della stazione silenziosa alimentando nello spirito diffidente del Negus le preoccupazioni del tradimento. Da Addis Abeba i corrispondenti di tutti i giornali del mondo, diffondevano l'atroce senso di preoccupazione. «Nessuna notizia si ha dell'esercito di Ras Cassa, sembra che esso abbia deviato dalla strada prescritta, pare che e i sia sperduto nel deserto...». Scherzo atroce, beffa senza eguali per il sentimento di inferiorità che ingenerava. La ripeté Graziani per quattro giorni di seguito dopo che in una caverna fu rinvenuta la trasmittente di Ras Destà, in un serrato dialogo facendosi mandare le novità di Addis Abeba i cui telegrafisti credevano ancora di parlare con i loro compagni lontani. Qualche diversione dal formulario abituale ingenerò i primi sospetti, poi giunse come un fulmine la notizia della sconfitta ed il dialogo si chiuse sullo scoppio di una incontenibile risata.

Con molta cortesia invece il capo di una grande unità avendo raggiunto fra gli obiettivi assegnatigli anche la sede di un comando avversario poté esser pronto alla chiamata di un altro capo abissino in ansia per l'esito della battaglia, annunciandogli come si fosse sostituito ormai sul luogo al collega richiesto.

Interferenze e sovrapposizioni della radio anche in altri campi. Mentre a Ginevra il Consiglio della Lega si riunisce per deliberare circa l'inasprimento delle sanzioni e in Inghilterra gli amici della Lega mobilitano l'opinione pubblica in riunioni e comizi, l'organizzazione radio internazionale si presta a radiodiffondere un appello della stessa Imperatrice. In un imparaticcio inglese, preparato naturalmente da altre menti e da altre mani, la sposa del Negus inizia il suo dire, ma intimidita dal microfono le parole le si smorzano sulla bocca e cade svenuta. Prende il suo posto la figlia. Sull'omelia si sovrappone però d'un tratto un'altra voce. Essa porta eco di catene spezzate, di schiavi liberati, di una benefica civiltà in marcia, di a vittoria volante. Una semplice confusione di onde ha dato la parola all'Italia e la voce è assai più chiara e squillante.

Questa voce diventa rombo di folla, diventa grido di popolo, diventa esaltazione di anime, quando il Duce parla in piazza per proclamare i diritti storici dell'Italia nelle immense adunate. Allora tutte le radio del mondo risuonano di questi echi poiché la curiosità e l'ansia delle decisioni superano la stessa determinazione del boicottaggio.

Nel ghebì imperiale anche il Negus ascolta attentamente. Egli attende da Ginevra le decisioni nelle quali ha più fiducia che non nel valore e nella fedeltà del suo esercito, ma ad un tratto, con le notizie della occupazione di Adua, con le parole di commento del Ministro Alfieri, giungono gli echi della Marcia Reale e di Giovinezza. Egli ha timore che la musica irrompente possa sentirsi oltre le pareti della residenza imperiale e chiude l'apparecchio. Accade così che la figura dell'ex Negus si stagli su quella di tutti gli altri innumerevoli ascoltatori. Nel silenzio del ghebi mentre la grande notte africana tutte le cose, egli è solo, egli medita alla sua sorte e fosche ombre staccandosi dal suo passato che non fa apparir chiaro il modo col quale è giunto al trono, è preso dalla torbida melanconia del suo temperamento. Poiché non resiste a quella solitudine e per non sentire le voci interne ha bisogno di ascoltarne altre che vengano da fuori, apre la piccola cassetta in fondo alla stanza. Chiara, esultante, la voce d'Italia prende possesso di tutte le cose.

Comincia a questo punto la vera guerra segreta delle onde. Essa si svolge in due settori. Quello della intercettazione che consente di penetrare i misteri del nemico e quello delle false comunicazioni che tende ad ingannarlo sulle proprie intenzioni.

Le trasmissioni radio difficilmente sfuggono alla intercettazione e perciò vengono diffuse in cifra o in linguaggio, convenzionale. Tutto sta a penetrarne il segreto e a questo provvede il servizio criptografico quando addirittura non soccorre lo spionaggio procurando la copia di un cifrario o di un altro "riservato" di pari importanza.

In questo gioco di abilità e di furberia vince naturalmente l'esercito che ha più pratica dei mezzi, dispone di un più saldo sentimento patriottico e di un più vivo spirito di disciplina, doti indispensabili nel mantenimento del segreto; che ha una più immediata percezione della realtà per modo che ogni piccolo elemento, ogni particolare possa indurre a salire con profonda adesione alla realtà ad interpretazioni vaste ed esaurienti.

Dotata soprattutto di une tecnica enormemente più raffinata, può dirsi che l'Italia abbia avuto fin dall'inizio il Negus in sua balia, lo svolgimento degli avvenimenti incaricandosi di dimostrare l'esattezza del giudizio che i mezzi moderni sui quali più faceva assegnamento, ed in specie la radio, hanno in definitiva costituito il principale fattore della rovina del Negus.

Le radiocomunicazioni dell'avversario scoperte o in cifra, data l'abilità dei nostri servizi, furono per noi egualmente chiare. Per l'uso incauto che gli abissini fecero della radio non esistettero segreti. A prescindere da altre precedenti comunicazioni, non fu difficile farsi un'idea della capacità di resistenza del nemico quando il 4 marzo si poté leggere il telegramma col quale il Governo invitava il Negus ad «accettare subito la conciliazione perché l'avere uno spazio di tempo ci gioverebbe per la riorganizzazione». Delle condizioni dell'esercito dopo la battaglia dello Scirè ci informava poi Ras Immirù telegrafando al Negus: «La maggior parte delle truppe del Goggiam ha disertato e rifiuta di battersi se non nel proprio paese; i pochi rimasti hanno fatto opera di disgregazione, anche fra i nostri armati personali, così che non abbiamo potuto eseguire il nostro piano. Tutte le popolazioni hanno, non solo disertato, ma dimostrato poco rispetto al loro capo Deggiac Aialeù rispondendogli con schioppettate».

Veniva così dallo stesso nemico l'incitamento a condurre l'azione risolutiva. Anch'esso del resto credeva di conoscere le nostre più riposte intenzioni. Venuto in possesso di un nostro cifrario ed incapace di rendersi conto della malizia con la quale conformavano ad esso alcune comunicazioni, si indusse alla battaglia del Lago Ascianghi incoraggiato dalla sicurezza di coglierci in condizioni di inferiorità numerica e in crisi di assestamento. Le notizie che accortamente venivano diffuse dicevano difatti come il balzo seguito alla vittoria dello Scirè avesse portato in posizioni troppo avanzate i reparti e che la rete stradale non procedeva con la celerità voluta e che il fronte era sguarnito di cannoni e che, data la difficoltà dei rifornimenti, soltanto alcune migliaia di uomini tenevano la linea. Dopo il consiglio di guerra del 26 marzo, in cui i capi avevano consigliato il ripiegamento, più che non i sarcasmi di quanti erano invece favorevoli all'offensiva e l'ossequio alla legge tradizionale che impone il combattimento guidato dallo stesso imperatore, dovettero essere queste informazioni ad indurre il Negus ad affrontar battaglia in condizioni che mai avrebbero potuto presentarsi più favorevoli.

Con maggiore sincerità la radio ci riportava d'altra parte le più riposte intenzioni avversarie. In data 27 marzo il Negus telegrafa alla Imperatrice: «Ci troviamo schierati davanti al nemico osservandoci l'un l'altro col binocolo. Ci dicono che il nemico non superi i diecimila uomini. Le nostre truppe ammontano esattamente a 31.000. Poiché la nostra fede è riposta nel nostro Creatore e nella speranza che egli ci aiuti, avendo noi deciso di avanzare ed entrare nelle fortificazioni, confida in segreto questa nostra decisione all'Abuna, ai ministri ed ai dignitari e rivolgete a Dio le vostre decise preghiere»

Un telegramma successivo precisava la decisione di attaccare le posizioni italiane dei passi Mecan è di Monte Bohorà sabato 28 a lunedì 30.

Sembra che la comunicazione definitiva sia stata la seguente: «Gli italiani sono deboli. Con l'aiuto di Dio domani alle sei attacco, pregate per noi».

Tutte queste informazioni avevano consentito precise misure allo stesso tempo, offensive e difensive e particolarmente un concentramento di fuoco sul nemico, sui punti di passaggio obbligato, per cui all'atto stesso del rovesciarsi delle prime ondate la violenza del bombardamento fa tale che i reparti sembrarono liquefarsi a tanta furia e che alle ricognizioni successive il terreno apparve come un immenso scollarono.

Ancora il Negus poteva telegrafare alla moglie la sconfitta, ancora il governo li Addis Abeba poteva rivolgersi alla legazione etiopica di Parigi, chiedendo consigli sulle misure da prendere.

La conquista di Addis Abeba, facendo cadere nelle nostre mani l'ultima stazione radio del Negus. metteva fine alla guerra segreta delle onde.

ITALO SCELBI

FONTI

(*) L'Illustrazione Italiana, anno LXIII, n. 20, 16 maggio 1937-XI, pag. 517-520.



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