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Daniele Lembo ha
dato alle stampe, per i tipi della Delta
editrice di Parma, una nuova ed agevole
monografia dal titolo “I Paracadutisti -
italiani nella seconda guerra mondiale”.
In circa cinquanta
di pagine, riccamente illustrate, l’autore
tratta dei paracadutisti nazionali a partire dai
primordi, ovvero dalla nascita della Scuola
Paracadutisti di Castel Benito in Libia,
fondata il 28 marzo ’38. A questa sarebbero
seguite la scuola di Tarquinia e poi la Scuola
di Viterbo.
Nelle due Scuole
di Paracadutismo nazionali, benché per
previsione di legge fossero dipendenti dalla
Regia Aeronautica, si addestrarono anche reparti
di paracadutisti dell’Esercito, della Regia
Aeronautica e della Regia Marina.
A Tarquinia fu
costituita e addestrata la 185° Divisione
Paracadutisti “Folgore” su 9 battaglioni, 3
gruppi di artiglieria e reparti divisionali. A
questa si sarebbe aggiunta la 184° Divisione
Paracadutisti “Nembo”. Inoltre, sempre a
Tarquinia, furono addestrati il 1° Btg. Reali
Carabinieri Paracadutisti, gli Arditi
Paracadutisti del 10° Reggimento Arditi del
Regio Esercito, il 1° Battaglione d’Assalto
della Regia Aeronautica e il 2° Battaglione
A.D.R.A. “Arditi Distruttori Regia Aeronautica”
e i 650 Nuotatori Paracadutisti del Battaglione
S. Marco, dipendente dalla Regia Marina. Infine,
non bisogna dimenticare di una compagnia di
indiani ex prigionieri di guerra, arruolati dal
Regio Esercito e addestrati ai lanci e gli
uomini del S.I.M. brevettati paracadutisti. A
Viterbo, invece fu completata la Divisione Nembo
(battaglioni 13°, 14°, 15° e 16 e un gruppo di
artiglieria), addestrati complementi per gli
ADRA della R.A. e per gli N.P. della Regia
Marina e i battaglioni 17°, 18°, 19° e 20° della
progettata Divisione Ciclone.
I paracadutisti
Libici furono impiegati a protezione della prima
ritirata in Africa settentrionale e, in tale
occasione, ebbe avvio quella che sarebbe stata
una triste usanza italiana: l’impiego di truppe
paracadutiste come ordinaria fanteria d’assalto.
Si dovette aspettare l’aprile del 1941 perche i
paracadutisti di Tarquinia fossero finalmente
impiegati in un lancio di guerra sull’isola di
Cefalonia. Alla
triste regola dei paracadutisti “appiedati” non
si sarebbero sottratti, in Nord Africa, anche
gli uomini del 1° Btg. Carabinieri
Paracadutisti.
I parà italiani,
sebbene utilizzati come fanteria d’assalto,
avrebbero vissuto momenti di gloria nel deserto
Egiziano. Se c’è un reparto che ha fatto del
paracadutismo italiano una leggenda, questo è
sicuramente la Divisione Folgore che fu
trasferita in Africa Settentrionale nella
seconda decade di luglio 1942. Al momento della
partenza per l’A.S.I., la Divisione fu contratta
su soli due Reggimenti, il 186° e il 187° ed un
Reggimento di artiglieria con modestissimi pezzi
da 47/32. Pertanto, la Grande Unità, venendo
inviata in Africa Settentrionale, fu privata
degli uomini dei Servizi e del 185° Reggimento
Folgore che rimase nelle Puglie.
In Africa
Settentrionale, i folgorini furono trasferiti in
territorio Egiziano ed assegnati al fronte ad El
Alamein che si estendeva per circa sessanta km.
da nord a sud, ovvero dalla costa fino alla
depressione di El Qattara dove ripiegava ad
ovest per una decina di km. Agli uomini della
Divisione Folgore fu affidato l’estremo settore
sud del fronte. Destinati a presidiare circa
quindici km tra Qaret el Himelmat e la zona di
Deir El Munasib, vi avrebbero scritto vere
pagine di gloria
Nella notte tra il
2 e il 3 novembre 1942 arrivò al Comando Folgore
l’ordine di abbandonare la linea e ritirarsi.
Per i paracadutisti la ritirata fu fatta a piedi
e continuando a combattere. I reparti superstiti
si sarebbero poi fatti onore nell’ultima difesa
della Tunisia.
Ma quanti furono i
caduti della Folgore nel corso degli scontri ad
El Alamein? La rivista Storia Illustrata, anni
fa, avrebbe riportato che: “dei 5000
paracadutisti della Folgore ne torneranno in
Italia meno di 300”.
Il dato citato
dalla sia pur prestigiosa e compianta rivista,
risulta sicuramente esagerato. Più vicino al
vero è quanto riferito da Nino Arena il quale,
confrontando diverse fonti quali “rapporti di
reparto, ruolini di marcia, brogliacci, diari di
guerra, modulistica specifica e taccuini
privati” arriva a sostenere che
“Sicuramente la Folgore ebbe circa 400 caduti e
dispersi, oltre 650 feriti, un migliaio di
nominativi depennati fra luglio/ottobre per
malattie e rimpatri, poco più di 3000
prigionieri e un migliaio di superstiti
transitati in altri reparti: all’incirca 6000
uomini quanti ne contava al momento in cui fu
trasferita in A.S. escludendo i militari dei
servizi”
Al bivio dell’8
settembre, ovvero alla proclamazione
dell’Armistizio, i paracadutisti, come del resto
l’intera Italia, si divisero in due fronti.
Alcuni reparti, adempiendo alle disposizioni
armistiziali, stettero con le armi al piede,
mentre altri rifiutarono quell’armistizio che
sapeva di sconfitta, continuando a combattere a
fianco dei tedeschi. I primi avrebbero
continuato poi a combattere con le insegne del
re con l’esercito cobelligerante del Sud, mentre
i secondi avrebbero aderito alla Repubblica
Sociale di Mussolini, combattendo dal fronte di
Anzio fin sulle Alpi, al confine con la Francia,
e in difesa della Venezia Giulia.
L’agevole e
gradevole monografia di Lembo non tratta solo
dei reparti ordinari di paracadutisti, ma anche
di quei reparti creati ed addestrati
specificamente per portare a termine operazioni
di sabotaggio da commandos, reparti quali gli
A.D.R.A. – Arditi Distruttori Regia Aeronautica,
gli N.P. della Regia Marina e i paracadutisti
del X Reggimento Arditi, descrivendone le
operazioni a cui presero parte.
A chi si chiedesse
perché nasce un’opera del genere, può dare
risposta lo stesso Lembo che, interrogato in
merito, ha risposto: “Quando ero bambino, mio
padre, per arrotondare lo stitico bilancio
familiare, teneva la contabilità dell’unico
cinema del paese. Nel suo compenso era compreso
il fatto che i figli avessero libero accesso
alle proiezioni. E’ inutile dire che i migliori
momenti della mia infanzia li ho passati in quel
cinema a respirare fumo di sigarette e aria
d’avventura. Avrò avuto otto anni e quel giorno
davano una pellicola in prima visione, fatto
eccezionale per quella sala periferica. Il
titolo del film era: La battaglia di El Alamein.
La trama raccontava di due fratelli, un
maresciallo dei bersaglieri e un tenente dei
paracadutisti, immersi con i loro reparti nella
sabbia del deserto, impegnati entrambi nei fatti
di quella battaglia. La scena finale del film
era favolosa e vedeva i parà della Folgore nella
veste di “cacciatori di carri”. Restai come
incantato nel vedere i folgorini saltare fuori
dalle buche, armati di bottiglie incendiare, e
dare l’assalto ai carri armati inglesi. Entrato
alle 16,00 in sala, ora della prima proiezione,
rividi la pellicola fino all’ultima replica. Mi
ripresentai a casa che era circa mezzanotte e vi
trovai mi madre che, a digiuno delle nozioni
della moderna pedagogia che prevedeva che i
bambini non andassero picchiati, mi spiegò a suo
modo che la sera si doveva essere a casa per
cena e, credetemi, mammà era peggio di un carro
armato inglese.”
Daniele Lembo ha
concluso dicendo: “Dedico questa monografia a
me bambino – e al bambino che spero sia ancora
in chi avrà la bontà di leggerla - che quella
sera, in quel cinema, si incantò a vedere la
Folgore in azione, sebbene si trattasse solo di
una finzione cinematografica.”
Benchè si tratti di un’opera di
modeste dimensioni, per la completezza degli
argomenti trattati e per la ricercatezza nelle
illustrazioni dalle quali è arricchita, è
sicuramente degna di essere presente non solo
nelle biblioteche degli appassionati dello
specifico settore, ma anche in quelle di chi
volesse solamente sapere di più sullo specifico
argomento.
Per contattare
l’autore:
danielelembo@email.it
Edizioni Delta
EDITRICE - Copia costo Euro 6,80. |