Le sanzioni
	Nel fascicolo precedente abbiamo esaminato in qual modo 
	la Lega sia giunta, nelle sedute del 7-10 ottobre, a considerare l'Italia 
	come «aggressore» dell'Etiopia, secondo gli articoli 12, 13 e 15 del Patto, 
	e accennato anche come solo l'Austria e l'Ungheria si siano dichiarate 
	«contrarie » alle conclusioni degli altri Membri della Società.
	Alcune frasi del discorso pronunciato dal delegato austriaco in tale 
	circostanza meritano di essere ricordate:
	«I legami che uniscono il popolo austriaco all'Italia sono profondi e non è 
	certo l'Austria che mancherà ad una amicizia destinata a durare nei tempi 
	che verranno. Questa amicizia è aumentata da un debito di gratitudine non 
	previsto dal Patto che impone però anche esso dei doveri... L'Austria 
	confida che la S.d.N. prendendo la via delle sanzioni, fatto senza 
	precedenti nei suoi annali, avrà però sempre in vista il suo compito 
	principale che non potrebbe essere altro che la pace».
	A sua volta il delegato ungherese osservò che «la S.d.N. e il suo Patto sono 
	stati creati e esistono con un solo scopo : quello di mantenere la pace. Ora 
	mantenere la pace vuoi dire lavorare a eliminare tutte le cause che 
	potrebbero produrre una guerra... E mi domando se nel caso presente tutti i 
	mezzi sono stati impiegati e esauriti per raggiungere tale scopo...».
	Nella seduta poi dell'11 ottobre anche il Rappresentante dell'Albania aveva 
	preso la parola per dichiarare che il suo Paese, datT i legami di alleanza 
	con l'Italia, non poteva associarsi all'applicazione delle sanzioni.
	Con la strana procedura del silenzio, interpretato come approvazione, il 
	dibattito era ormai chiuso.
	Nondimeno vari delegati di paesi che avevano approvato le conclusioni del 
	rapporto del Consiglio della Lega che considerava «aggressore» l'Italia, 
	presero la parola per esporre il punto di vista dei loro Governi.
	Riteniamo opportuno accennare ad alcune di tali dichiarazioni,
	perché ciò serve a comprendere l'atteggiamento di numerosi paesi in quello 
	storico periodo e a comprenderne in parte le successive evoluzioni.
	Il delegato francese Lavai fece una breve dichiarazione per chiarire che, 
	essendo il Patto della S.d.N. la legge internazionale che il suo paese non 
	avrebbe potuto né infrangere né lasciare indebolire, la Francia avrebbe 
	osservato il Patto: ma che l'amicizia per l'Italia gli dettava altresì il 
	dovere di ricercare contemporaneamente una soluzione conciliativa alla quale 
	il Governo Francese si sarebbe dedicato appassionatamente.
	Il delegato inglese Eden confermò il principio che la politica estera del 
	suo Governo rimaneva solidamente fondata sulla partecipazione alla S.d.N. e 
	che la S.d.N. aveva due scopi principali: evitare se possibile con un 
	regolamento pacifico la guerra e in secondo luogo, non riuscendo in tale 
	tentativo, la S.d.N. aveva il dovere di arrestare la guerra. I membri 
	dell'Assemblea dovevano ora assolvere tale secondo scopo e in base alla 
	efficacia dei risultati che la S.d.N. avesse potuto ottenere in questa sua 
	seconda missione, si sarebbe potuto giudicarla. Dato poi che il dovere dei 
	Membri era quello di agire, l'essenziale era di agire prontamente.
	Il delegato svizzero Motta accentuò ancora in modo più netto la tesi di 
	Lavai che si dovevano continuare gli sforzi di conciliazione e chiarì 
	d'altra parte che data la posizione internazionale speciale della Svizzera, 
	di neutralità perpetua, egli considerava che il suo Governo non era tenuto a 
	applicare delle sanzioni che per la loro natura a r loro effetti avessero 
	potuto esporre LL neutralità svizzera a un reale pericolo.
	Il delegato sovietico, nella chiusa del suo discorso, chiarì quale fosse il 
	vero scopo perseguito dal suo Governo nell'associarsi alla decisione 
	ginevrina, qualificando l'azione internazionale di quel momento come 
	rispondente al bisogno di realizzare la sicurezza collettiva, «il sistema 
	cioè che avrebbe dovuto mettere un freno a qualsiasi ulteriore tentativo, da 
	qualunque parte potesse venire, di infrangere la pace con dei colpi inferii 
	ai punti nevralgici del mondo ».
	Il delegato del Cile, dopo avere ricordato i vincoli 
	secolari di simpatia e gli interessi di ogni natura che legano il Cile 
	all'Italia, dichiarò che il suo Governo era tuttavia convinto che le misure 
	repressive che si stavano per adottare non sarebbero state che provvisorie e 
	destinate al solo ristabilimento della pace. Egli aveva la ferma speranza 
	che non si sarebbero manifestate necessarie per lungo tempo e che la S.d.N. 
	avrebbe presto trovato una soluzione giusta e equa del conflitto.
	Il delegato dell'Uruguay espresse delle riserve a nome del suo Governo, 
	basate sulla situazione speciale idi alcuni paesi e sulla difficoltà che 
	talune sanzioni avrebbero potuto portare per quegli Stati in cui l'elemento 
	straniero italiano rappresenta una proporzione importante della popolazione. 
	Dopo avere reso un caldo omaggio agli italiani dell'Uruguay, auspicò andi'egli 
	a una soluzione conciliativa nella vera atmosfera di Ginevra, con una 
	formula cioè di pace e di amicizia.
	Il delegato della Bolivia nell'accennare al passato del conflitto del Chaco 
	in cui il suo Paese era in causa, dichiarò che dei dubbi potevano sussistere 
	circa la responsabilità dell'inizio delle ostilità in un paese litigioso 
	senza frontiere tracciate. Ricordò che la Bolivia aveva chiesto 
	l'applicazione del Patto in un momento doloroso della sua storia e si disse 
	lieto di constatare che l'Assemblea intendeva ora mettere fine a quello che 
	egli aveva osato chiamare una politica stagionale dei due pesi e delle due 
	misure. Vedeva ora iniziarsi una politica di solidarietà nelle 
	responsabilità di ogni genere e in ogni circostanza di tempo e di luogo; la 
	Delegazione Boliviana, prendendo atto di questo nuovo principio, avrebbe 
	apportato la sua adesione alle risoluzioni del Consiglio.
	I delegati della Intesa Balcanica e della Piccola Intesa credettero 
	necessario di fare ancora delle brevi e nette dichiarazioni per confermare 
	il loro attaccamento al Patto, di cui avrebbero scrupolosamente osservato le 
	disposizioni.
	Si chiudeva cosi la prima fase del procedimento ginevrino contro l'Italia e 
	si iniziava la seconda.
	Prima che questa avesse inizio, l'Italia, che non poteva riconoscere neppure 
	formalmente alcun valore alla pseudo-sentenza della Lega, tenne a mettere 
	individualmente i vari Governi che si erano associati alle conclusioni 
	ginevrine di fronte alla propria responsabilità verso la Storia e verso il 
	popolo italiano. I Rappresentanti diplomatici italiani presentarono quindi a 
	tutti quei Governi una nota verbale in data 12 novembre per ribadire le 
	circostanze di fatto della vertenza italo-etiopica e gli argomenti 
	inoppugnabili di diritto che giustificavano la nostra azione, argomenti che 
	trovavano nel pur breve periodo trascorso dalle ultime riunioni del 
	Consiglio, nuove prove e conferme nelle spontanee sottomissioni degli 
	indigeni dei territori etiopici occupati e nella vasta azione civilizzatrice 
	italiana, che va dalla liberazione degli schiavi alla istituzione di scuole 
	e ospedali.
	Ma la pesante macchina ginevrina, generalmente così lenta e prudente nei 
	suoi movimenti, si è rivelata nei nostri riguardi insolitamente agitata e 
	avventata. Sotto la direzione della «bacchetta» inglese, il «concerto 
	leghista». di solito così lento a formarsi e così pronto a sciogliersi, 
	sedette in permanenza, di giorno e di notte, in atmosfera pesante e 
	corrotta, estranea alla realtà ed a ogni ponderato senso di misura, sino a 
	che non credette avere soddisfatto agli inusitati compiti assegnatigli, 
	sacrificando ognuno sull'altare di una utopia insensata le proprie relazioni 
	con l'Italia, maturate attraverso i secoli dì storia e vincoli di ogni 
	genere. L'Inghilterra ha svolto in quei giorni una attività diplomatica e 
	politica mai vista sino allora, serrando da presso di volta in volta gli 
	incerti i dubbiosi i possibili retrivi, con ogni sorta di intimidazioni, di 
	ricatti e di lusinghe, senza lasciare un attimo di tregua ai dibattiti, 
	facendo votare anche di notte ciò che si era appena incominciato a discutere 
	qualche ora prima, agitando dinnanzi a tutti il mito della pace e della 
	sicurezza collettiva.
	Non dimentichiamo che l'Inghilterra aveva creduto necessario appoggiare 
	questa sua febbrile attività politica con lo schieramento nel Mediterraneo 
	della flotta reputata sin qui la più potente del mondo. £' con questo sfondo 
	grigio e minaccioso di colossi del mare, la cui presenza nel Mare Nostro non 
	era tuttavia autorizzata da nessuna disposizione del Patto e di cui nessun 
	membro della S.d.N. aveva manifestato il desiderio, che la scena ginevrina 
	si svolge rapidamente, con la parola d'ordine: tutto il Patto, niente altro 
	che il Patto.
	Non è ancora spenta l'eco dei discorsi dei rappresentanti dei Governi che 
	invocano la pace come unico scopo del Patto della S.d.N. che già si parla di 
	sanzioni, piano inclinato verso la guerra.
	E' l'art. 16 del Patto, di cui si chiede l'applicazione. Esso dice che un 
	membro il quale ricorre alla guerra contrariamente agli impegni presi cogli 
	articoli 12, 13 e 15. è considerato ipso facto come avente compiuto un atto 
	di guerra contro tutti gli altri membri della S.d.N.. e questi si impegnano 
	a rompere immediatamente tutte le relazioni commerciali e finanziarie con lo 
	Stato in rottura del Patto.
	Questo articolo esplosivo aggiunge anche che il Consiglio ha il dovere di 
	raccomandare ai Governi gli effettivi militari, navali e aerei coi quali i 
	membri della S.d.N. contribuiranno rispettivamente alla forza armata 
	destinata a far rispettare gli impegni della Società. Dice ancora l'art. 16 
	che i membri della Società si presteranno aiuto reciproco nell'applicazione 
	delle misure econo-miche e finanziarie e per resistere a tutte le misure 
	speciali dirette contilo alcuni di essi dallo Stato in rottura del Patto (è 
	su questo capoverso che l'Inghilterra si baserà per chiedere alla Francia e 
	a vari altri Stati mediterranei il loro appoggio contro l'Italia 
	nell'eventualità che questa la ... aggredisca!).
	L'11 ottobre veniva costituito il Comitato di Coordinamento delle sanzioni. 
	Ne fu eletto presidente il delegato portoghese Pe Vasconcellos, antifascista 
	e massonico. Questo grande Comitato, in cui sono rappresentati 49 Stati, ha 
	creato subito un comitato più ristretto che è stato incaricato di fare delle 
	dettagliate proposte e che si è chiamato il Comitato dei Diciotto. E' il 
	quarto e non ultimo dei comitati creati per il conflitto italo-etiopico: 
	abbiamo già visto infatti quello dei Cinque, dei Sei, dei Tredici e ora 
	quello dei Diciotto ; la progressione dell'ordine numerico di questi 
	Comitati è stata inversamente proporzionale alla saggezza dei loro 
	deliberati!
	Se è vero, come abbiamo osservato, che la manovra sanzionista si appoggiava 
	sulla presenza minacciosa della flotta britannica nel Mediterraneo, va detto 
	subito anche per ben comprendere il senso e la portata degli atteggiamenti 
	societari dell'ottobre e novembre, che un altro fattore fondamentale aveva 
	rischiarato il problema di luce inequivocabile : la dichiarazione del Duce 
	fatta il 2 ottobre aveva messo il mondo di fronte alle proprie 
	responsabilità, affermando che il popolo italiano avrebbe risposto alle 
	sanzioni eco-nomiche col proprio senso di disciplina e di sacrificio, ma che 
	alle misure militari avrebbe opposto misure militari e che ad atti di guerra 
	avrebbe risposto con atti di guerra. Non rimaneva così alternativa di sorta 
	per i sanzionisti a rimorchio dell'utopia ginevrina.
	Queste premesse dovettero essere certo ben presenti alle menti responsabili 
	dei vari Governi poiché si dileguarono dopo di allora le minacce agitate 
	quotidianamente durante il mese di settembre e ai primi di ottobre relativi 
	alla chiusura del Canale di Suez, al blocco e a ogni altra vera e propria 
	misura di guerra. Ma nei limiti fissati dalla parola ammonitrice del Capo 
	del Governo dobbiamo ben constatare che il Comitato di Coordinamento delle 
	sanzioni è giunto al massimo delle sanzioni economiche proponibili senza 
	rischio di provocare la guerra.
A. C.