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Il palazzo della S.d.N. a Ginevra dove sono state decretate le sanzioni contro l'Italia. Archivio Vito Zita ©

Fonte: Cronache illustrate dell'azione italiana in A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936

 

 

 

La fine delle sanzioni 

L'iniziativa Abbiamo considerato nel fascicolo IX come il tentativo di conciliazione messo in atto per iniziativa francese con le proposte Hoare-Laval sia rapidamente caduto per il rifiuto del Negus e per l'opposizione dell'opinione pubblica internazionale e particolarmente inglese, insorta contro quello che si voleva raffigurare come un premio concesso all'Italia considerata sempre come aggressore. Quel negoziato diplomatico ebbe tuttavia come ripercussione immediata una sosta momentanea nell'azione intrapresa dai più accesi sostenitori del sanzionismo ginevrino. Ricordiamo come le proposte Hoare-Laval vennero presentate in un momento in cui da varie parti si chiedeva insistentemente di estendere l'embargo già stabilito su vari prodotti-chiave, comprendendovi il petrolio, il ferro, l'acciaio e altri metalli. Il tentativo di conciliazione, per quanto soffocato, testimoniava tuttavia come persistessero delle forti correnti in favore di una soluzione pacifica e come l'edificio dell'umanità raggiunta nelle deliberazioni di Ginevra non fosse ancora sufficientemente consolidato. La proposta del nuovo embargo venne quindi rinviata ad una ulteriore data, ritenendosi intanto opportuno esaminare quale fosse l'atteggiamento sostanziale dei vari Stati nell'applicazione delle sanzioni già adottate e scandagliare attentamente le correnti dell'opinione pubblica mondiale, onde non compromettere con un'azione affrettata i risultati già acquisiti dalla coalizione societaria. Sembrava d'altra parte, molto importante attendere di conoscere quale sarebbe stato l'atteggiamento degli Stati Uniti del Nord-America, la cui legge dì neutralità avrebbe dovuto essere riesaminata in quel torno di tempo. Si giudicava che per rendere efficace un'even-
tuale embargo sul petrolio e sulle altre materie prime fosse indispensabile che gli Stati Uniti, che hanno una produzione molto importante di tali prodotti, si associassero, sia pure per diverse considerazioni, alla linea di condotta adottata dalla Lega. In realtà una corrente molto notevole dell'opinione pubblica americana reclamava da tempo delle misure più estese nei riguardi dei belligeranti, misure che con il divieto di rifornimento di materie prime, avrebbero mirato a tenere quanto più possibile estranea ad ogni conflitto la Confederazione nord-americana. Tale corrente che trovava negli ambienti di governo il favore di uomini responsabili, faceva sperare ai sanzionisti che. in sede dì revisione della legge sulla neutralità, il Congresso americano giungesse a comprendere fra i prodotti da sottoporre a embargo in caso di conflitto anche le materie prime che, come il petrolio e i metalli, ancora non figuravano nei provvedimenti votati dalla Lega contro l'Italia.
Ma non sfuggiva invece a molti uomini politici nord-americani e alla gran massa di quel popolo il pericolo che votando un allargamento della legge sulla neutralità si sarebbe giunti a identificare nelle sue conseguenze la politica nord-americana con quella della Lega. E ciò anziché allontanare i pericoli di complicazioni, li avrebbe sicuramente avvicinati minacciando di trascinare la Confederazione verso avvenimenti suscettibili di violarne la neutralità.
Tale corrente, fedele del resto alla tradizione politica prevalente nel Nord America dalla mancata ratifica dei Trattati dì Pace in poi. di mantenersi estranea alla Lega delle Nazioni, ebbe la prevalenza nelle discussioni svoltesi poi al Congresso, talché la vecchia legge sulla neutralità venne approvata nel febbraio 1936 senza sensibili né sostanziali modificazioni. Venne cosi a mancare ai fautori più accaniti di un rincrudimento del sanzioniamo uno dei fattori di maggiore importanza morale, oltreché un elemento giustamente essenziale di ordine materiale per un'efficace applicazione delle proposte nuove sanzioni.
Altri elementi, che vanno tenuti presenti per rendersi conto della sospensiva che si verifica nell'azione sanzionista nei mesi di gennaio e febbraio, sono da ricercarsi: o) nella convinzione che l'applicazione integrale delle sanzioni già votate fosse per sortire in breve termine un effetto decisivo di arresto delle possibilità offensive dell'Italia, attraverso un rapido depauperamento delle sue finanze per l'esodo di oro necessario al rifornimento delle materie prime indispensabili; b) nella quasi certezza, fondata sui giudizi dei più ispirati o cosidetti seri esperti militari stranieri che le operazoni militari italiane in Etiopia si sarebbero arrestate dinanzi alle insormontabili difficoltà dell'impresa — l'apparente ristagno delle operazioni militari nei mesi di gennaio e febbraio sembrava quasi confermarlo — e che comunque nella migliore delle ipotesi non avrebbero certo potuto essere portate a termine se non in un minimo di due o tre anni.
Ma se queste -erano le convinzioni e i più o meno palesi argomenti di sicurezza e di baldanza degli ambienti politici ginevrini, nondimeno la macchina burocratica societaria, rappresentata dal Comitato di Coordinamento per l'applicazione delle sanzioni, non intendeva desistere a lungo dal portare a compimento, attraverso l'ingranaggio dei suoi voti delle sue numerose sedute e delle incoscienti proposte, la nefasta sua attività sanzionista.
Del resto tutta la cronistoria di questo periodo societario deve necessariamente mettere in evidenza come sovente l'opinione pubblica abbia per parte sua influito sulle deliberazioni dei Congressi ginevrini e come d'altra parte le procedure dei Comitati societari abbiano ben sovente forzato la mano ai vari governi e oltrepassato nel superincanto delle iniziative societarie lo spirito stesso dei proponenti.
Nel mese di marzo in una delle periodiche sedute del Comitato di Coordinamento tornava all'ordine del giorno la questione delle nuove misure da adottare contro l'Italia e benché i più considerassero tali misure come un atto di pura follia, vi era da pensare anche che, per l'insipienza colposa e per la irresponsabilità politica dei Delegati tecnici, qualche tendenza oltranzista potesse nuovamente affermarsi, mettendo a repentaglio la pace che sussisteva ancora per esclusivo merito dell'Italia, che aveva sempre cercato di circoscrivere il conflitto.
La Francia si assunse in tale circostanza di ricordare al Comitato come il fallimento del tentativo di conciliazione del dicembre non dispensasse la Lega dal rinnovare a tre mesi di distanza quei tentativi che nello spirito del Patto erano altrettanto necessari quanto l'applicazione delle misure repressive. La proposta francese, che si tradusse poi in un invito ai belligeranti ad avviare trattative di pace, faceva rinviare nuovamente dall'ordine del giorno del Comitato di Coordinamento la questione delle sanzioni sul petrolio. Frattanto la situazione politica europea era lungi da potersi considerare scevra di preoccupazioni e avvenimenti di grande portata maturavano nel Continente, in conseguenza della denuncia tedesca del Trattato di Locamo e della conseguente rimilitarizzazione del Reno. Il riserbo dell'Italia di fronte a tali avvenimenti, riserbo impostole dall'attitudine della Lega nei suoi confronti, non poteva non indurre le Potenze interessate allo Statuto -di Locamo, a riflettere quanto fosse urgente poter contare sulla collaborazione di una Italia amica o quanto meno non ostile.
In questo clima internazionale si staglia il prevalere della nostra travolgente azione militare in Etiopia, che dopo le battaglie dell'Endertà. dello Scirè e del Tembien e la sosta del mese di marzo durante le trattative avviate in seguito alla proposta francese di negoziati di pace, riprendeva la sua marcia vittoriosa nel mese di aprile sconfiggendo il Negus al Lago Ascianghi, invadendo e occupando le provincie più importanti dell'Etiopia, spazzando ogni traccia di resistenza, incontrando anzi ovunque il favore delle popolazioni liberate e giungendo nel cuore dell'Impero ad Addis Abeba il 5 maggio.
Le vittorie militari, come sono state elemento decisivo della situazione politica interna dell'Impero, sono state altresì l'elemento risolutivo inequivocabile della situazione politica internazionale, così come si è sempre verificato da che la Storia considera il divenire dei popoli. Vittorie militari e successo politico tenacemente agognati e conquistati per virtù e passione del nostro popolo, infervorato ed entusiasta per la grande impresa voluta dal Duce ma assolutamente inattesa in tutto il mondo. Ond'è che quel senso di sicuro e facile ottimismo societario e ginevrino nella riuscita della azione sanzionista veniva a perdere improvvisamente ogni base di calcolo, ogni punto di riferimento e qualsiasi speranza nella sua politica utopistica nei nostri confronti.
I memorabili discorsi del Duce del 5 maggio sulla cessazione delle ostilità e del 9 maggio sull'annessione dell'Etiopia e la proclamazione dell'Impero, annunziarono al mondo quale fosse la soluzione definitiva e totalitaria che l'Italia vittoriosa intendeva dare al conflitto.
Nella riunione del Comitato della Lega dell'll maggio, venendo la questione etiopica all'ordine del giorno, il Delegato italiano Barone Aloisi abbandonava Ginevra perché si era consentito che un pseudo rappresentante etiopico dell'ex-Negus continuasse ancora ad essere ammesso alle sedute del Consiglio. I lavori ginevrini di quella sessione si concludevano in una risoluzione che, constatando le gravi iniziative prese dal Governo italiano e riconoscendo la necessità di lasciar tempo ai membri del Consiglio di esaminare la nuova situazione, rinviava ogni deliberazione al 15 giugno,
Grande smarrimento ed incertezza continuano a regnare nell'opinione pubblica internazionale durante il periodo che va dal maggio alle metà di giugno. Ma mentre i governi non si pronunciano, si fanno ovunque più forti le voci di coloro che riconoscono fallita pienamente la politica di errori seguita a Ginevra, ingiuste e dannose le misure adottate contro di noi, che non hanno neppure più una base giuridica nel Covenant. Si afferma ormai apertamente il concetto che le sanzioni sono previste dal Patto con un compito preventivo della guerra, mentre la guerra è ora finita e non si sa quindi a quale scopo esse possano esser mantenute. Probabilmente esse danneggiano più i sanzionisti che il sanzionato, che ha dimostrato di poter bastare a sé stesso e di avviarsi verso una completa autarchia economica. Si diffonde insomma la sensazione che è necessario uscire dalla assurda situazione diplomatica creata dalla politica ginevrina nei confronti di una grande Nazione, piena di prestigio, forte nelle armi e nel diritto, senza di cui non è possibile costruire alcunché di durevole in questa Europa travagliata. Ma non è agevole. Non è sopratutto possibile uscirne con dei compromessi che l'Italia non ammette perché contrari ai principii e alla realtà per cui si è battuta a viso aperto. Occorre una soluzione netta e lineare : l'abolizione delle sanzioni, il riconoscimento ufficiale dell'errore, il rinnega-mento non tanto dei principii societari quanto della bestiale loro applicazione al caso etiopico, cioè di tutta l'azione ginevrina dall'inizio del conflitto. Chi si assumerà il compito di prendere l'iniziativa chiarificatrice? Il Cile fa a Ginevra una proposta per l'abolizione delle sanzioni, ma essa non trova ancora un terreno favorevole. E' tuttavia un passo, ma occorre che una delle maggiori potenze continentali si pronunci. La Francia sarebbe la più indicata: i suoi uomini politici hanno spiegato sempre un'attività conciliatrice, gran parte del paese ha condannato le sanzioni, l'interesse politico dovrebbe portarla a compiere un passo che le concili le simpatie dell'Italia: ma il nuovo Governo del fronte popolare si lascia sfuggire un'occasione preziosa e dichiara non esser disposto a prender nessuna iniziativa né prò né contro le sanzioni.
E' invece Flnghilterra che dopo la dura esperienza degli errori commessi in tutta la questione etiopica, avrà finalmente la sensazione realistica del da farsi.
Non è il consiglio della Lega che dovrà prendere una decisione perché l'Assemblea viene convocata su richiesta dell'Argentina, per il 30 giugno. Questa iniziativa argentina è una delle ultime manovre di carattere societario : la discussione riaperta a tutti i membri della Lega può servire a molte cose, anche all'abolizione delle sanzioni se tutti vi consentono, ma si può prestare altresì a manifestazioni inopportune, a nuove condanne di principio, ad affermazioni di non riconoscimento dell'annessione dell'Etiopia, a deplorazioni ed altro. Sono però gli ultimi aneliti di una esaltazione collettiva che la realtà sta piegando.
Tocca all'Inghilterra, responsabile di aver suscitato questa esaltazione societaria, il compito di diradare l'atmosfera della Lega riconoscendo apertamente il fallimento dell'esperimento. Vi è a ciò incoraggiata dalle dichiarazioni che il Duce fa al principio di giugno in due sensazionali interviste di stampa a Ward Price e Gordon Lennox : l'Italia è soddisfatta avendo risolto il problema
coloniale — essa è pronta a collaborare al risanamento dell'Europa se cessa l'ingiustizia ginevrina.
La parola è all'Inghilterra. E Eden che ha capitanato il sanzio-nismo la prende coraggiosamente : le sue dichiarazioni ai Comuni a metà giugno sono un'anticipazione dell'atteggiamento che il suo paese prenderà a Ginevra dinanzi l'Assemblea: — la guerra è finita, l'Etiopia ha cessato di esistere come stato, i pochi predoni che rimangono nell'ovest etiopico non rappresentano nessun governo, le sanzioni non hanno più ragione d'essere.
Nelle schiere dei sanzionisti ad oltranza queste dichiarazioni vengono accolte con puritano orrore. Protesteranno ancora, indi-srnati del tradimento, i piccoli stati nordici che erano stati mobilitati all'attacco sanzionista e che ora dovranno ripiegare senza esser neppur consultati. Ma nessuno si fa più soverchie illusioni: è la fine. Rapida, come lo sfacelo dell'Impero etiopico dinanzi ai nostri legionari.
L'Italia non presenzia alle sedute dell'Assemblea e riconferma il suo riserbo fintante che non cesseranno tutte le misure decretate a suo carico. A nulla serve la presenza dell'ex-Negus a Ginevra, se non a metter a confronto l'imperatore fuggiasco e incendiario, strumento della manovra societaria, con i responsabili dell'aberrazione ginevrina.
L'Assemblea si apre il 30 giugno e vien data subito lettura della nota che riassume il punto di vista del governo italiano. E' un documento fondamentale con cui l'Italia prende posizione : rifa brevemente la storia delle operazioni e delle condizioni in cui l'Etiopia si è venuta a trovare dopo la fuga del Negus, afferma il dovere e il diritto del nostro paese a portare in Etiopia l'ordine e il progresso, vivamente desiderati dalle popolazioni che si sono sottomesse plebiscitariamente, assume l'impegno solenne di assicurare la pace, la giustizia e la sicurezza nel paese, dichiara di votarsi a tale impresa inspirandosi ai principi del Patto. Sarà per l'Italia un titolo d'onore d'informare la Società dei progressi realizzati nell'opera di civilizzazione dell'Etiopia.
All'ex Negus, che è presente, vien data la parola, ed egli pronuncia in amarico una lunga omelia che cade nel silenzio. Poi è la volta di vari delegati, tra cui solo quello del Sud Africa chiede il mantenimento delle sanzioni mentre quello dell'Australia ne dimostra l'inutilità. I delegati della Svizzera, Lituania, Olanda, Cile, Svezia ed altri riconoscono che le sanzioni hanno finito di esistere. I discorsi si succedono nei giorni 2 e 3 luglio e il 4 viene messa a votazione una deliberazione con la quale — constatando come diverse circostanze hanno impedito l'applicazione del Patto, ai cui principi tuttavia rimane fedelmente attaccata, l'Assemblea emette il voto che il Comitato di Coordinamento faccia tute le proposte utili per metter fine alle misure prese in esecuzione dall'ari. 16. Dei 49 presenti, 44 l'approvano, 4 si astengono, 1 (l'Etiopia) è contrario.
Non è ancora finito il calvario della Lega, perché Nasibù chiede che si voti su due sue proposte di risoluzione: la prima secondo cui l'Assemblea proclama di non riconoscere alcuna annessione ottenuta con le armi — la seconda per raccomandare ai Governi di garantire un prestito all'ex Negus di 10 milioni di sterline!
La procedura usata contro di noi viene ora impiegata contro la prima proposta di Nasibù. Se tutti i Membri tacciono si intenderà respinta e così avviene infatti. La seconda richiesta, quella del prestito, vien messa ai voti : dei 49 votanti, 23 rispondono no, 25 si astengono, e uno (Nasibù) l'approva.
Il Comitato di Coordinamento riunitesi poco dopo fissa la cessazione delle sanzioni al 15 luglio.
Sugli spalti del sanzionismo si alza infine la bandiera bianca.
 

 

A. C.
 

 

 

segue

 

 

 

 


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