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Sbarco di
materiali a Massaua. Archivio
Vito Zita © |
Fonte:
Cronache illustrate dell'azione italiana in
A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936 |
Uno sguardo al passato
La storia dell'opera e
dell'attività della Regia Marina in Eritrea e nella Somalia è strettamente
collegata alla storia della nostra penetrazione nel continente africano. Subito
dopo la costituzione del Regno d'Italia e non appena l'apertura del Canale di
Suez permise più rapide comunicazioni fra il Mediterraneo e l'Oriente, le nostre
navi da guerra furono inviate sulle coste del Mar Rosso e poi. più tardi,
dell'Oceano Indiano, a mostrarvi la nostra bandiera e a studiare e a preparare
le vie della nostra espansione coloniale.
L'opera di queste navi che infaticabili, incuranti delle difficoltà, degli
ostacoli e dei disagi d'ogni genere, tessevano giorno per giorno la trama
sottile e pur così resistente e ardita di un'altissima opera di civiltà, è ancor
oggi poco conosciuta. Forse una spiegabile ragione si può trovare nelle
circostanze stesse in cui le navi agivano e cioè in regioni lontane, prive di
mezzi di comunicazioni con il consorzio civile.
«Bisogna pensare che specialmente quando non esisteva la radiotelegrafia. gli
ordini alle navi dislocate in Mar Rosso erano impartiti con telegrammi
appoggiati ad Aden e, per quelle operanti in Benadir, a Mombasa o Zanzibar. Per
recarsi a telegrafare, la nave doveva spostarsi dal luogo dove stazionava
percorrendo a volte centinaia e centinaia di miglia. E poiché d'altra parte si
trattava quasi sempre di questioni delicate che non potevano essere
immediatamente divulgate, si comprende come l'attività della Marina restasse
ignorata dal pubblico e venisse poi consacrata agli archivi. Le rare discussioni
parlamentari ed i sobri annunzi che i quotidiani ne facevano di volta in volta,
non potevano illuminare che parzialmente l'opinione pubblica, la quale non
avvertiva che come semplice notizia di cronaca. la partenza o l'arrivo di uno
stazionario coloniale, ignorando che i lunghi mesi o gli anni di assenza dalla
madrepatria venivano trascorsi in rade aperte, di fronte a spiagge deserte e
nauticamente pericolose». Nè il pubblico poteva rendersi conto delle immense
difficoltà che ostacolavano l'esplicazione di mansioni le più disparate e il
compimento di missioni che richiedevano energia, tatto, abilità e nello stesso
tempo imponevano ai comandanti numerose e spesso assai gravi responsabilità.
Oggi, riguardando a tanta distanza di tempo il cammino percorso, si può ben dire
che si deve all'azione energica e accorta delle nostre navi se l'Italia poté
porre piede in Mar Rosso e sulle coste dell'Oceano Indiano e, a poco a poco,
realizzare la costituzione di due primi nuclei embrionali intorno a cui dovevano
più tardi svilupparsi le due colonie dell'Eritrea e della Somalia. Esitante e
incerta era l'azione dèi governi di allora, assorbiti da "difficoltà politiche e
da gravi vicende interne, e nessuna rispondenza trovavano nell'opinione pubblica
i problemi coloniali. Basti pensare che la base che nel 1870 la Società Rubattino, con chiaro intuito del futuro sviluppo dei commerci, aveva istituito
ad Assab per il rifornimento dei suoi piroscafi, rimase ufficialmente ignorata
fino al Natale del 1879. Fu solo allora che il governo si decise ad appoggiare
l'iniziativa della società e a mandarvi una nave da guerra - l'Esploratore - con
a bordo una spedizione geografica.
L'Esploratore, coadiuvato dalla R.N. lschia giunta poco dopo, contribuì
validamente ai lavori d'impianto della colonia. Assai interessante è il rapporto
del Comandante della nave: «Quanto di serio, di faticoso, di veramente utile fu
fatto in Assab, in tempo piuttosto breve, come lo sbarcatoio (lungo 60 metri),
lo scalo di alaggio. l'installazione del forno e del distillatore, lo scavo dei
pozzi di acqua dolce, tutto devesi esclusivamente all'opera indefessa degli
equipaggi dell'Esploratore e dell'Ischia, che durante l'attuale stagione diedero
ad ogni istante prove convenienti della potenza di abnegazione e dell'ottima
indole del marinaio italiano...»
Il contributo che la Marina portò alla conquista prima e poi alla valorizzazione
delle nuove terre, abbraccia tutti i campi tutte le attività: missioni politiche
e operazioni belliche; sistemazioni logistiche delle basi e degli approdi sparsi
lungo la costa deserta; esplorazioni nell'interno; e in fine tutta un'imponente
attività scientifica - determinazioni geodetiche di precisione rilievi
idrografici, osservazioni meteorologiche e talassografiche, sistemazione di segnalamenti marittimi e di radiofari,
impianto di una estesa rete di stazioni
radio telegrafiche - attività che pone l'Italia a primissimo posto fra le
nazioni civilizzatrici dell'Africa. Fu dunque opera vasta complessa, difficile,
spesso eroica, che s stende nel tempo senza soluzione di continuità. Riassumere
le varie fasi anche limitandoci ai soli episodi più salienti del lungo e
faticoso cammino, non è possibile. A dare un'idea sommaria di quanto prezioso e
fattivo sia stato in ogni tempo il contributo della Marina basterà qui ricordare
l'alto encomio che il Governatore della Somalia tributò alla R.N. Lussin
nel 1927, quando. per volere del governo fascista, nuovo impulso fu dato
all'assetto definitivo dei nostri possedimenti dell'Oceano Indiano: «In tre mesi
di aspra crociera nell'Oceano Indiano sulle coste della Migiurtinia, comandante,
ufficiali, equipaggio della R.N. Lussin con pochezza di mezzi, senza
sosta. senza riposo e senza risparmio di ogni fatica. davano splendida prova
delle qualità marinaresche della razza e di alto spirito di sacrificio,
contribuendo mirabilmente alla conquista e all'assoggettamento della Migiurtinia».
In queste parole è sintetizzata tutta l'opera silenziosa e tenace che la Marina
ha svolto per anni e anni e che cori nuova fede e nuovo entusiasmo continua a
svolgere ora che la Nazione italiana ha ritrovato la coscienza dei suoi destini
imperiali. Destini, la cui realizzazione ha avuto finalmente inizio nell'anno
XIII dell'E. F., con una grandiosa preparazione bellica e con il passaggio
risoluto dei confini, che non erano soltanto quelli tra le nostre colonie
dell'A.O. e l'Abissinia, ma tra la civiltà e la barbarie.
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Sbarco di
materiali a Mogadiscio. Archivio
Vito Zita © |
Fonte:
Cronache illustrate dell'azione italiana in
A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936 |
Le basi marittime per le operazioni del 1935
Il problema più grave e più importante fra i moltissimi che si presentarono al
primo delinearsi del conflitto con l'Etiopia, fu senza,dubbio quello delle basi
marittime di operazioni. Per una spedizione (l'oltremare, la base è «come il
polmone che dà respiro al grande organismo costituito dall'esercito operante...
Un insufficiente suo sviluppo od un suo manchevole funzionamento possono. prima
o poi. provocare sgradevoli sorprese. se non anche un completo insuccesso».
Nel caso nostro. la vastità di proporzioni dell'impresa - vastità che non ha riscontre nella storia delle guerre coloniali
-; la grande distanza dei teatri
d'operazione dalla madrepatria; le immense difficoltà d'ogni genere - clima,
situazione geografico-strategica, natura del terreno, mancanza di qualsiasi
risorsa locale ponevano il problema delle basi in termini che erano di una
entità assolutamente eccezionale e che imponevano - condizione sine qua non -
di poter disporre di porti ampi, sicuri, bene attrezzati, largamente dotati di
magazzini, di pontili, di mezzi di scarico. La situazione di fatto, quale invece
si presentava ai primi dello scorso anno, era semplicemente tragica: le sole
località di tutta la costa eritrea e somala che potevano essere utilizzate come
basi di operazioni erano Massaua e Mogadiscio. Ma né l'una né l'altra erano in
condizioni da poter assolvere, sia pure approssimativamente, un simile compito.
Massaua era una tranquilla cittadina tropicale di tre mila abitanti. Affacciata
in un mare che, dopo il Golfo Persico, è il più caldo del mondo, viveva
modestamente e come rassegnata sotto il peso del destino che le ha imposto
l'incomodo privilegio di ospitare l'equatore termico. La mancanza
di acqua, il clima afoso e snervante, rendevano il soggiorno degli europei, se non proprio impossibile, certo molto difficile e sembravano negarle ogni
possibilità di sviluppo.
Davanti al suo porto, i grandi piroscafi di linea passavano veloci e come
impazienti di sboccare nell'Oceano e solo i postali italiani, qualche misto
inglese, i soliti piroscafi giapponesi che caricavano sale per le Indie e
qualche centinaio di sambuchi vi gettavano l'ancora. In media, il traffico
mensile si aggirava sulle 2.000 tonnellate. E poiché le banchine, i mezzi
meccanici di elevazione, i raccordi ferroviari, i magazzini - tutto ciò,
insomma, che serve alla vita di un porto - era proporzionato al ritmo lento e
senza fretta di questo traffico, le operazioni di scarico erano una faccenda
spesso complicata, sempre molto lenta.
Fu questo porto che da un giorno all'altro gli avvenimenti chiamarono a
sostenere un traffico colossale e vertiginoso.
Le 2.000 tonnellate mensili di merci diventarono in un primo tempo 25 mila e,
subito dopo, 60 mila e più; i pochi e rari passeggeri di un tempo diventarono
intere divisioni, che bisognava far sbarcare rapidamente affinché le truppe
restassero il meno possibile nel difficile clima di Massaua.
Soltanto un miracolo poteva permettere di superare le difficoltà e gli ostacoli
immensi che si opponevano alla realizzazione di così vasta impresa. Chiunque
altro si sarebbe scoraggiato: non si scoraggiò certo l'animo tetragono di Emilio
de Bono e dei suoi collaboratori della R. Marina.
Ed il miracolo fu compiuto.
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Sbarco di una
Littorina a Massaua. Archivio
Vito Zita © |
Fonte:
Cronache illustrate dell'azione italiana in
A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936 |
La Marina italiana, che è avvezza a osare I'inosabile e a lottare ogni giorno,
ogni ora, contro difficoltà e ostacoli d'ogni genere, prese su di sé,
serenamente, la responsabilità della riuscita. Le sue molteplici esperienze in
materia di organizzazione portuaria - guerra libica, impresa di Albania,
salvataggio dell'esercito serbo, operazioni di guerra in Macedonia - le davano
la certezza di vittoria anche in questa dura battaglia logistica.
Il primo ostacolo da superare era quello della piccolezza del porto: a
costruirne un altro non c'era neppure da pensare. L'unica via che restava aperta
era quella di tentare d'ingrandire alla meglio le opere esistenti.
E questo fu fatto.
Senza che il ritmo febbrile delle operazioni di sbarco avesse a subire intralci
o rallentamenti di sorta, furono prolungate le banchine, gettati nuovi moli e
nuovi pontili, dragati ampi specchi d'acqua, rendendoli accessibili anche ai più
grossi piroscafi; furono approntati alcuni scali sussidiari nelle vicine
insenature, costruiti nuovi raccordi ferroviari, larghi piazzali, ampi magazzini
e tutta una rete di binari fra le banchine ed i magazzini stessi.
Contemporaneamente, dalle basi navali della madrepatria venivano inviati
numerosi rimorchiatori, chiatte, zatteroni e bettoline d'ogni genere e d'ogni
capacità, insieme con due navi - Sesia e Garigliano che per le loro speciali
caratteristiche erano particolarmente adatte a facilitare lo sbarco delle
truppe. L'invio di questi natanti non fu facile impresa. Se quelli di peso non
superiore alle 10 tonnellate potevano essere spediti sui piroscafi, gli altri -
ed erano i più - dovevano necessariamente essere rimorchiati. E rimorchiarli
significava affrontare i rischi di una lunghissima navigazione e i mille
pericoli derivanti dalle mutevoli condizioni meteorologiche.
Le seguenti cifre potranno dare un'idea dell'entità del l'impresa : nel corso
del 1935 sono stati inviati in Eritrea 134 zatteroni da sbarco, 24 pontili
speciali, 8 rimorchiatori, 14 pirobarche, 17 motolance. 3 barche-pompa, 2
motocisterne, 3 pontoni a biga, 1 pontone per la produzione di energia elettrica,
18 bettoline per trasporto di materiali vari e di nafta. Nello stesso periodo,
sono stati inviati in Somalia 2 rimorchiatori, 7 bettoline e numerose zattere, motolance, barche a vapore, ecc.
Mentre i lavori di ampliamento del porto si venivano compiendo con febbrile
alacrità, e i primi mezzi cominciavano ad affluire, la situazione fu sovente
quasi drammatica: la scarsezza della mano d'opera, soprattutto per effetto dei
divieti di emigrazione promulgati dall'Egitto. dal Sudan e dagli altri paesi
soggetti a dominazione britannica, contribuiva a rendere lento il ritmo delle
operazioni di scarico, cosicché i piroscafi erano costretti a lunghe soste in
rada; l'insufficienza dei mezzi di trasporto impediva lo sgombero delle banchine
e le merci, talune delle quali deteriorabili, si accumulavano un po'
dappertutto. Ci furono dei momenti in cui veramente parve che le difficoltà
fossero più forti degli uomini. Ma capi e gregari non disperarono, non ebbero né
esitazioni né dubbi. La loro volontà e il loro entusiasmo riuscirono ad aver
ragione di ogni ostacolo. A poco a poco, a furia di imparare, di migliorare, di
organizzare, di perseverare, la meta che pareva irraggiungibile fu, non solo
raggiunta, ma superata. In breve, dalle 80 tonnellate giornaliere che a stento
in principio era possibile scaricare, si giunse alla fantastica cifra di quasi
2.500 tonnellate. in pari tempo, la potenzialità di ricovero, che era di tre o
quattro piroscafi, salì fino a 50 circa.
E mentre nel maggio 1935, e cioè prima che la Marina si assumesse
l'organizzazione del porto di Massaua, in corrispondenza di 18 piroscafi
presenti in media nel porto, si aveva una sosta di giorni 6 per i trasporti di
truppa e di giorni 18 per i trasporti di quadrupedi o di materiali, già verso la
fine di agosto, pur essendo aumentato progressivamente il numero medio di
piroscafi presenti, fino a raggiungere la cifra giornaliera di 50, la sosta
media di trasporti truppa si era ridotta a 1 o 2 giorni e quella delle navi da
carico a circa 7 giorni.
Ma accanto al problema dell'organizzazione del porto, altri numerosissimi
sorsero ed erano tutti di difficile e non meno urgente soluzione. Primo, quello
del rifornimento dell'acqua.
Oggi Massaua. alle risorse idriche del sottosuolo convenientemente sfruttate,
aggiunge un impianto industriale capace di produrre 7.500 tonnellate giornaliere
di acqua distillata ed aereata; ma all'epoca in cui cominciarono a sbarcare i
primi contingenti di truppe, l'acqua era appena sufficiente ai bisogni della
popolazione indigena. Questa scarsezza d'acqua, insieme con la mancanza di
ghiaccio e di mezzi sanitari, rendeva penoso il lavoro delle maestranze venute
dall'Italia.
Alla mancanza di ghiaccio e di mezzi sanitari. fu relativamente facile
provvedere dislocando le navi refrigeranti Serdica e Asmara e provvedendo ad
allestire rapidamente un certo numero di navi-ospedale. La prima di queste fu il
piroscafo California, opportunamente trasformato e adattato in un tempo
incredibilmente breve.
La sua presenza a Massaua permise di prodigare ai nostri portuali un'efficace ed
amorevole assistenza.
Assai più difficile fu la soluzione del problema idrico. Tanto più difficile in
quanto non bisognava provvedere solamente al rifornimento di Massaua ma anche a
quello di Mogadiscio e delle basi di sbarco sussidiarie Bender Kassim, Alula,
Chisimaio, Obbia, ecc. - che man mano la Marina veniva approntando. Fra i primi
e più importanti provvedimenti vi fu quello di inviare a Massaua la R.N. Città
di Siracusa adattata a nave-distillatrice. In pari tempo, si stabilì che i
piroscafi arrivassero in porto col carico d'acqua quanto più possibile al
completo, in modo da essere nelle condizioni di poterne cedere una parte alla
città e si provvide a concentrare in Mar Rosso tutte le navi-cisterna. grandi e
piccole, di cui la Marina disponeva.
Dalmazia, Istria, Garigliano, Sesia, Sebeto,
Anteo e tante e tante altre che
troppo lungo sarebbe enumerare. furono subito dislocate a Massaua e non ebbero
se non qualche adattamento di fortuna per affrontare il clima tropicale. Quasi
da un giorno all'altro queste navi passarono dalla tranquilla e metodica
attività che svolgevano nelle acque della madrepatria, ad un lavoro faticoso e
incessante, che assoggettava uomini e macchine ad uno sforzo senza pari.
Le macchine qualche volta cedettero: gli uomini mai. Sorretti da una volontà
tenace, incuranti della fatica, dei disagi, del clima, i marinai lottarono
contro ogni difficoltà, trionfarono di ogni ostacolo. Non ebbero mai né un
giorno né un'ora di riposo. Tutto il loro mondo cominciava e finiva ai fianchi
delle loro navi e, per mesi e mesi, nell'atmosfera infocata del Mar Rosso. non
ebbero altra preoccupazione all'infuori di quella di mantenere in perfetta
efficienza gli apparati motori, affinché la loro attività, che era così
necessaria, non subisse il più piccolo arresto. Appena il tempo di scaricare il
prezioso liquido e subito ripartivano per Massaua dove, attraccate ai fianchi
dei grossi piroscafi provenienti dall'Italia, si rifornivano del prezioso
liquido...
Assai peggiore era la situazione di Mogadiscio e assai più gravi le difficoltà
da superare. Tutto sommato, Massaua un porto l'aveva. Piccolo, modesto, male
attrezzato, ma pur sempre porto. Mogadiscio non aveva nemmen quello. I piroscafi
erano costretti a dar fondo in rada aperta e battuta dal monsone, sì che a mala
pena era possibile scaricare - in buone condizioni di tempo e, con maestranze
particolarmente allenate - qualche diecina di tonnellate al giorno di materiali
vari.
Per dare un'idea dello sforzo compiuto dalla Marina nell'improvvisazione di
opportuni apprestamenti, basterà accennare che oggi a Mogadiscio è possibile
scaricare circa 2.000 tonnellate di materiali vari al giorno, e che la sosta
media delle navi trasportanti truppe si è ridotta dagli altissimi valori
iniziali a circa 10 giorni e a circa 20 giorni quella delle navi (la carico, pur
essendo salito da 10 a 25 circa il numero dei piroscafi giornalmente alla fonda
in rada.
Contemporaneamente, anche le basi di Bender Kassim, Aiuta, Dante, Obbia, MIerca,
Brava, venivano opportunamente attrezzate e in esse potevano essere sbarcate
complessivamente 500 tonnellate giornaliere di materiali.
Un giorno, forse, le statistiche diranno colla fredda concisione dei numeri di
quanta abnegazione e di quanti sacrifizi è frutto la meta raggiunta. Ora, ai
marinai è premio l'aver assolto il proprio compito al di là di ogni aspettativa,
e di avere contribuito con tutte le loro forze a questa grandiosa opera di
guerra e di civiltà dell'Italia Fascista.
segue